lunedì 26 febbraio 2007

Brianza opaca


(venerdì 29 settembre 2006, copyright Ore Piccole)


Avete mai visto un film per sole donne? Fiori d’Acciaio ad esempio, oppure meglio ancora Pomodori Verdi Fritti alla Fermata del Treno, in cui Kathy Bates interpreta un’isterica, ovviamente cicciona, che per ribellarsi alla noia della vita coniugale si mette ad abbattere pareti, vestirsi di cellophane, frequentare sconosciute negli ospizi e intensificare gli esercizi ginnici; soprattutto, postula una crociata contro le conigliette di Playboy (una delle poche consolazioni in questa valle di lacrime) e distrugge l’automobile di due signorine ree di essere più giovani di lei e più veloci a parcheggiare. Vista l’assurdità del suo comportamento psicotico, il target del film è evidentemente composto da sole liceali anoressico-bulimiche, mogli frustrate, statali sottopagate, giovani invecchiate, casalinghe annoiate (non disperate, però), laureate coi baffi e lettrici della Repubblica; quanto a noialtri maschietti, è comunque bene vederlo di modo tale da rendersi conto che l’unica reazione ragionevole di fronte all’eventualità di sposare una delle suddette è quella resa immortale da Alberto Sordi: “E che, mi metto un’estranea in casa?”
Poiché l’altra sera mi era capitato di rivedere Pomodori Verdi Fritti pur non essendo una donna (controllare per credere), ho dovuto controbilanciare leggendo volentieri un romanzo per soli uomini: Brianza Vigila, Bolivia Spera (No Reply, 2006) di Cosimo Argentina. Un quarantenne immaturo costretto a masturbarsi a orari fissi per tenere sotto controllo la pressione sanguigna; una mamma investigatrice troppo appariscente e ancor più oppressiva; una prostituta minorenne, deforme e slava; uno zio in grado di pronunziare una sola parola di senso compiuto, film; agenti di polizia alti più di due metri o meno di uno e cinquanta che urlano in stampatello; un sindaco ammalato, moribondo, morto e ciò nondimeno sempre rieletto; un capobanda che parla con incomprensibili gorgheggi; un pappone premuroso che si chiama Organo Enfiato e così via per cento pagine: si tratta indubbiamente di un romanzo per soli uomini, così come in alcuni club conservatori inglesi (e non saprei dar loro torto) è interdetto l’ingresso a mogli e fidanzate perché rovinerebbero l’atmosfera, chiederebbero di non fumare e causerebbero silenzi imbarazzati tentando di apparire a loro agio.
Così come i film di Ciprì e Maresco, ad esempio, in cui anche i personaggi femminili sono interpretati da uomini perché anche la più repellente delle donne (dalla Kathy Bates dei Pomodori in su) ingentilirebbe la bruttezza del mondo che invece i due registi pretendono assoluta; così Cosimo Argentina ritrae una Brianza in cui la bellezza femminile è sempre deturpata o ridicola o eccessiva, cosizzata, pornografica; una Brianza in cui le prostitute più richieste sono adolescenti o ultrasessantenni. Non che i personaggi se la passino meglio delle personagge (secondo un ragionamento del tipo: se non fossi misantropo, sarei misogino), ma si sa che la laidezza maschile in fin dei conti è ritenuta più accettabile, quasi necessaria allo svolgimento della trama (pensate non dico a Sade ma almeno a Samuel Richardson), per certi versi anche femminista. Infatti ciò che mi fa cambiare canale quando trasmettono Pomodori Verdi Fritti è la lampante e preordinata differenza di direzione fra la bruttezza della protagonista, che cerca comunque un riscatto, un barlume nel buio, e la laidezza di suo marito, condannato alla ripetitività del lavoro, delle cene grasse e delle partite di baseball in tv: condannato insomma all’opacità della vita.
Una tizia (ovviamente isterica, sottopeso, femminista, laureata e baffuta) mi aveva detto qualche tempo fa che uomini e donne non possono condividere lo stesso appartamento perché non saprebbero coordinarsi nelle pulizie: l’uomo dispone di più forza fisica nello spazzare, mentre la donna vede dello sporco che l’uomo ignora. Se la tizia avesse meritato una risposta, le avrei detto che per le donne (tutte tendenzialmente protestanti) la sporcizia è un male da estirpare, un’impurità da cui guardarsi; per gli uomini (tutti tendenzialmente cattolici) la sporcizia è perpetua e irrimediabile: già che c’è, tanto vale rotolarcisi dentro sperando in tempi migliori indipendenti dalla propria volontà.
Cosimo Argentina, i suoi romanzi, i suoi personaggi, costituiscono un inno a questa presa di coscienza e anzi, per chi come me ha letto tutto ciò che ha scritto, è evidente un progressivo deteriorarsi delle speranze che, ottimisticamente, percorrerò a ritroso, partendo dalla fine, e cioè da Brianza Vigila, Bolivia Spera, e arrivando all’inizio, cioè a Il Cadetto col quale Argentina esordì nel 1999. Brianza è un divertimento in cui il diavolo è dipinto più grigio di come appare, senza per questo essere un prodotto lamentoso o, peggio ancora, impegnato. Con l’occhio di chi ci vive da troppo poco tempo per essersi uniformato ma da anni sufficienti per aver capito tutto, Argentina dipinge una Brianza per certi versi gaddianamente sudamericanizzata (Barranquilla sul Lambro è una trovata geniale - d’altronde se uno si chiama Argentina…) ma quasi per nulla falsata: il peggio del peggio del peggio, che le cento pagine mostrano con notevole compiacimento, appare deteriore non tanto perché si è calcata la mano nella satira quanto perché si è provveduto ad eliminare i piccoli sorrisi di luce che possono rendere vivibile la quotidianità locale - un po’ come se si descrivesse una fidanzata omettendo i pregi, sapendo che a lungo andare resteranno solo i difetti fino a costituire, nei secoli dei secoli, un mucchietto di ossa e polvere.
Lo sguardo barocco sempre ossessionato dal ticchettio dell’orologio che toglie vita e respiro abbraccia anche il penultimo romanzo di Argentina, Viaggiatori a Sangue Caldo (Avagliano): in una commedia dal sapore orwelliano - ma dell’Orwell più vero, quello di Una Boccata d’Aria - la fuga verso il Portogallo di quattro brianzoli d’adozione dalla terra che li divora è la storia di uno scacco deciso in partenza, di un’evasione che si incenerisce già nella consapevolezza stessa di dover tornare e di non poter più essere ciò che si era: la nostalgia ridotta a nevrosi e la nevrosi passibile di nostalgia.
Non si può tornare com’eravamo negli anni ’70 a Taranto, per esempio, quando Jacovone era un calciatore vivo e non ancora il nome di uno stadio che va svuotandosi negli anni. Cuore di Cuoio (Sironi) presentava stavolta un tuffo carpiato con triplo avvitamento negli anni felici in cui le ragazze venivano classificate coi nomi delle squadre incontrate nelle coppe europee (da un minimo che è Lokomotiv Mosca a un massimo che è, ça va sans dire, Benfica). Allora, sebbene non si faccia motto della grigia Brianza, l’opacità della vita torna alla carica spezzando una gamba al protagonista ed impedendogli un provino nella Juventus e, di conseguenza e in senso lato, sporcandogli il futuro con una macchia indelebile.
Poco prima, Argentina aveva pubblicato Bar Blu Seves (Marsilio) che è l’attacco più sistematico all’opacità e al contempo la sua più consapevole accettazione. Un romanzo-cornice per un racconto a capitolo in cui tutto gravita intorno al bar del titolo, aperto nel 1900, ai tavoli del quale si siede tutta una teoria di reietti, immigrati, pazzi, criminali, prostitute, falliti e così via; una sorta di noir secolare in cui la vena surrealistica di Argentina, vera costante di ogni suo testo, è da un lato la via di fuga più immediata da una realtà disperante, dall’altro un tentativo di rendere digeribile una vita non commestibile. Il fuoco che divampa nel finale, dal quale si spera una purificazione, è invece esclusivamente distruttivo sul versante pubblico (segnando la fine del secolo del bar, o del bar del secolo) ma in qualche modo rigenerativo per il privato (lasciando in sospeso la possibilità di un miglioramento futuro per il protagonista).
Tutti i romanzi di Argentina danno particolare risalto agli umori umani: il sudore, la bile (o semplicemente il vomito), lo sperma, il sangue e le lacrime; ugualmente Argentina è attento agli umori del mondo, tant’è vero che in esergo al proprio esordio (Il Cadetto, Marsilio) aveva posto una citazione di Garcia Marquez sulla distinzione fra città con navi e città senza navi. Parafrasando, potremmo dire distinzione fra i diversi stati dell’acqua: in forma di mare a Taranto, in forma di nebbia in Brianza. La stessa acqua che, mandando le proprie onde a morire sulla costa, sembra quasi voler accarezzare la città e ripulirla - quella stessa acqua appesantisce e insozza corpi e menti della provincia.Il Cadetto era la storia di un ragazzo che cerca di diventare uomo a Taranto poi a Modena poi a Bari poi a Milano: era insomma la storia di un figlio che voleva smettere di essere tale. Brianza Vigila, Bolivia Spera chiude il cerchio: se il protagonista, un quarantenne onanista incapace di staccarsi dalla mamma, appare assolutamente sterile, la dedica al piccolo Argentina junior lo invita a crescere per imparare a sorridere sul nostro insopprimibile stato di minorità.

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