lunedì 26 febbraio 2007

Il bianco e il nero, ovvero Due sogni fatti in Sicilia


(sabato 10 giugno 2006, copyright Ore Piccole)


Il caldo impedisce di scrivere decente, esattamente come il freddo (nella sottospecie dell’aria condizionata), il cibo pesante, i mondiali di calcio, l’aver bevuto troppo, il non aver bevuto abbastanza, gli schiamazzi delle donne delle pulizie, le assurdità per cui si viene pagati, il sesso e il culto divino. Ma poiché qualcosa bisogna sempre tirarla fuori, secondo il principio che gli anglosassoni hanno mirabilmente sintetizzato in publish or perish, diventa lecito ricorrere a mezzucci. Ad esempio Snupi, scritto come si legge, è una mia collega filosofa che vive al piano di sotto, di modo tale che - quando l’ascensore è occupato, cioè sempre - l’unica maniera che ho per comunicare con lei è l’interfono, se non altro perché è pure gratìs. Così mi basta autointercettare le nostre conversazioni (d’altronde mio padre tiene per la Juventus, quindi il mio apparecchio è sotto controllo), spostare il discorso su uno o due libri (preferibilmente uno appena uscito e un classico che goda di contiguità immaginaria) che si facciano pubblicità a vicenda, aspettare che la sua sete di cultura (ché io al momento ho solo sete di birra scadente) funga da consono apparato critico, e il gioco è fatto: Snupi sottrae un’ora allo studio di Heidegger e io scrivo tre paginette, o magari due e mezzo perché non ho voglia.
Snupi: “Guarda che studio Hölderlin.” Gurrado: “Me ne fotto. Ti ho chiamata in quanto cefalutan…cefalutes…, insomma ti ho chiamata in quanto vieni da Cefalù e quindi devi per forza aver letto Le Uova del Drago di Pietrangelo Buttafuoco”. S: “Mondadori 2005, ottobre per la precisione? Non l’ho mica letto, ma perché non ho tempo, mica perché è un fascistone.” G: “Mica. Come reagiresti se ti dicessi che non ho letto, che so, le poesie di Nichi Vendola mica perché è omoerotico, ma perché non leggo mai poesie?” S: “Ti direi che sei un pirla.” G: “Me lo dici lo stesso.” S: “Sì, ma i motivi sono sempre nuovi. E questo Buttafuoco, Lanciafiamme, Sparacazzi? Perché mai dovrei averlo letto?”
G: “Innanzitutto perché è sempre meglio leggere un bel romanzo che perdere giorni mesi e anni a studiare Husserl.” S: “Hölderlin.” G: “O chi per lui. In secondo luogo, perché scrive bene, lo leggevo su Panorama e - quand’ero giovane io ed era giovane lui - pure sul Foglio ma una cosa è il trafiletto o anche l’articolo-inchiesta, un’altra cosa è il romanzo di duecentoottantaquattro pagine.” S: “Parli tu che hai la resistenza di un centometrista e la velocità di un marciatore, letterariamente parlando.” G: “Letterariamente parlando sta’ zitta e ascolta. Buttafuoco non si lascia trascinare dalla trama, sincopa le frasi, deforma le desinenze (la nuvolaglia, i fascistissimi), inverte i termini, dialettizza i verbi, guarda gli aggettivi in controluce per capire se vanno bene. Vuoi che ti legga un pezzettino?” S: “Le palle, devo studiare.” G: “Dai, un pezzettino solo. Guarda, c’è il primo capitolo, misteriosamente tutto corsivato come se fosse fuori e dentro al romanzo al tempo stesso, che si intitola ’U cuntu e consta di tredici pagine che andrebbero fatte leggere in tutte le scuole.” S: “Anche nelle università?” G: “L’università andrebbe abolita, è l’unica maniera ragionevole di riformarla.” S: “Ha parlato don Gennarino Parsifàl! Pò, pò! ”
G: “Zitta tu, che sei donna. Parla Buttafuoco, anzi scrive: Capitò che cominciò l’invasione, e Muscarà, sociale fra i sociali, era consegnato in caserma in attesa di una decisione del tribunale militare. Gli eventi lavoravano comunque per lui, nel senso che di lì a poco avrebbero allestito il campo di concentramento di Priolo e i carabinieri del Re ve l’avrebbero portato. A Priolo, appunto: dove, se non il primo, se non il secondo, Muscarà arrivò subito tra gli altri a fare la mirabile sparatoria di scaracchi in faccia al generale badogliano. (Salto due righe, così la smetti di sbuffare.) Ne fece racconto per le lunghe ore dei pomeriggi elettorali al paese, con appeso alla sua cintura di bassettino il ciondolo portachiavi, quello con la fiamma.”
S: “Sentilo, sentilo con la voce spezzata e le corde vocali vibranti di pianto! Non lui, tu, tu, cazzone impanato e fritto alla fermata del treno, uomo di merda che fai dell’intolleranza la tua cifra, della disonestà la tua aspirazione e della rottura di coglie il tuo talento! Che fai di bene tu per quella che chiami Patria? E per il mondo?” G: “Tu frequenti troppi francescani. Lo dice Buttafuoco stesso, non ti fidare di focu di ventu e di monaco nisciutu di conventu!, a pagina 233 - o cacchio, s’è richiuso il libro.” S: “È stato lo Spirito Santo, il vento di Dio?” G: “No, tenevo segnata la pagina aperta col gomito destro ma sono più scoordinato del singhiozzo di un lattante.” S: “Tu e la tua discutibile purezza fideistica preconciliare (Vaticano II? Trento? Nicea?) antiecumenica islamofobica!” G: “Allora tu che sei islamofilica leggiti Buttafuoco, invece di sdilinquirti su Horkheimer…” S:“…Hölderlin…” G: “…il quale Buttafuoco utilizza come leitmotiv e motore di tutta la trama la storia di una banda di undici musulmani (ovviamente travestiti da frati) che fanno squadriglia in favore della resistenza nazifascista post-1943”. S: “Gesù! Non è vero, mistificatore, millantatore, testa di minchia come null’altra.”
G: “Che cos’è la verità?” S: “Mi correggo: pilatesca testa di minchia.” G: “Ma come non è vero? Buttafuoco cita pure un volume, americano per giunta, The East Came West: Muslim, Hind, and Buddhist Volunteers in the German Armed Forces 1941-1945, New York 2001.” S: “Sì, perché ora un romanzo di destra scritto da un giornalista e bestseller Mondadori ha pure la bibliografia?” G: “Ce l’ha e come, due pagine e quindi lunga un po’ più della mia intera tesi, in rigoroso ordine alfabetico d’autore. Questo perché (poiché ogni libro è ciclico nelle mani del lettore che appena chiuso lo può riaprire e, se vuole, ricominciare a leggerlo dall’inizio) - dicevo, questo perché ogni ultima pagina viene prima della prima, e quindi la bibliografia giustifica e completa le cinque righe e mezza di premessa, lì dove esordisce: Personaggi e fatti di questo racconto non sono frutto della fantasia dell’Autore.” S: “S’è detto Autore con la maiuscola?” G: “Sì, perché si sentiva pure al telefono? Fatto sta che - siediti, è un discorso lungo - quando ho letto l’ultima pagina, la prima e tutte quelle in mezzo, ho pensato…” S: “Alla gnocca, tanto pensi sempre a un’arte.” G: “Giammai. Ho pensato a Leonardo Sciascia, racalmutese lui come Buttafuoco è catanese e tu sei cefaluzza.”
S: “Su, di’, parla, ipostatizza la minchiata.” G: “Ora, dapprima si era trattata di una banale dissonanza cromatica. Naturalmente, la Mondadori ha pensato bene di eternare il nome di Buttafuoco su fondo nero che più nero non si può, e se non fosse stato per il disegno grigiolino in copertina, be’, le mie groupies vedendomi leggerlo sarebbero sopraggiunte a porgermi sentite condoglianze.” S: “Tu non hai groupies. Non ti si fila nessuno.” G: “Tutta invidia. L’associazione/dissociazione m’è venuta con l’edizione economica Bompiani delle Opere di Sciascia, bianca che nemmeno col candeggio, e mi è parso curioso che nella stessa regione nascessero libri di colore tanto opposto. Se non che, a ben guardare, Buttafuoco la butta sul nero fascista, il bruno dei mori, il buio della bella morte; Sciascia invece che ti va a scrivere nell’estate del 1977?” S: “Capirai, scriveva una continuazione.” G: “Candido, ovvero Un sogno fatto in Sicilia. Così, aspetta che cerco il passo preciso, ci tiene anche a specificare cromaticamente che il nome del protagonista eponimo è talmente opposto a Bruno (Mussolini, il figlio del padre) prima scelto da cancellarne persino l’intenzione. Come una pagina bianca, il nome Candido: sulla quale, cancellato il fascismo, bisognava imprendere a scrivere vita nuova.”
S: “Ma non c’entrava Voltaire?” G: “Voltaire c’entra sempre, soprattutto quando mi pagano per scriverne.” S: “Hai detto niente, duecento euri al mese più vitto e alloggio base.” S: “E Candido perché lo chiamano Candido? Perché nasce nella notte del bombardamento siculo del 9-10 luglio ’43, quando i tuoi genitori, anzi, i tuoi nonni manco ti supponevano. E quando inizia l’azione de Le Uova del Drago? Nel medesimo 1943, testualmente a Nuova York con un antefatto in Baviera.” S: “Dici che ha copiato?” G: “Ma che, scherzi? La trama è tout à fait differente, il fatto è che gli autori sono tutti parenti fra di loro - e Sciascia fa dire a Montesquieu che un’opera originale ne fa quasi sempre nascere cinque o seicento altre; il dato di fatto, piuttosto, mi pare che da trent’anni almeno ci sia una tendenza siciliana a misurarsi col passato bellico, col passaggio da un dominio all’altro…” S: “Sì, il mito fondativo dell’uccisione del padre e del fottimento della madre…” G: “Pure, volendo; l’ha fatto Sciascia e l’ha fatto Buttafuoco, l’ha fatto D’Arrigo e l’ha fatto Camilleri, ognuno secondo le proprie ammirevoli capacità, e tutti sincopando le frasi, deformando le desinenze, invertendo i termini, dialettizzando i verbi, spiando gli aggettivi.”
S: “E Voltaire?” G: “Lascia perdere Voltaire, oggi sono in ferie. Nota invece come al sottotitolo di Sciascia - Un sogno fatto in Sicilia - risponda il sottotitolo di Buttafuoco: Una storia vera al teatro dei pupi. Perché il suo intento esplicito è d’aver trasfigurato il reale stilizzandolo, ovvero seguendo il canovaccio di un falso storico, il che giustifica e sterilizza al contempo la bibliografia saggistica messa in coda al romanzo. E l’elenco delle dramatis personae tutte dal nome ariostesco: Turri Orlando, l’avv. Carlo Magno, Gano Maganza, Don Angelo Ferraù, Angelica La Bella, Rosolino Bradimante, Nazareno Agramante, il cav. Alfio Zappulla…” S: “…il celeberrimo Zappulla reso immortale nell’Innamorato?” G: “Ma vaffanculo, non tutte, quasi tutte. Questo Zappulla è anzi dal sapore pirandelliano, ché a capodanno del ’44, scrive Buttafuoco, per qualche strana ragione che i parenti non sapranno mai spiegarsi, deciderà di mettersi egli stesso al balcone con le vergogne di fuori: ne morirà quello stesso pomeriggio, congelato ma soddisfatto.”S: “Gurrado, di’ quello che vuoi ma io Pirandello me lo sarei fatto in tutte le guise, Buttafuoco invece non so.” G: “Necrofila che non sei altro. Piuttosto, tu l’hai letto il Candido di Sciascia?” S: “No.” G: “Pazienza, allora ti dico come finisce. Don Antonio, il maestro del protagonista eponimo, lo accompagna in rue de Seine, a Parigi, e fa una disperata riverenza alla statua di Voltaire, come Buttafuoco al fantasma del ’43. Questo è il nostro padre, urla don Antonio, questo è il nostro vero padre. Ma Candido lo sorregge e lo trascina via, spiegandogli: Non ricominciamo coi padri, perché, spiega sublime Sciascia, si sentiva figlio della fortuna; e felice. Studio e studio ma ormai la penso così.” S: “Io invece sai cosa penso?” G: “Che è ora di pranzo.” S: “Va’ pure a farti fottere.”

Riattacca e le pagine sono tre, quattro quasi.

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