lunedì 26 febbraio 2007

La mela quotidiana

(sabato 14 ottobre 2006, copyright Ore Piccole)

Basta, devo trovarmi la ragazza fissa e deve essere di Modena (sono troppo pigro per cercare fortuna altrove) e possibilmente anche ricca (sono laureato in filosofia). Ne conviene anche Camillo Langone il quale, di fronte a una bottiglia non troppo entusiasmante di Montepulciano stappato malissimo, canta le lodi del matrimonio (il mio) e della prospettiva di dare nuovi figli alla Cristianità. Si dà il caso che Langone stesso abbia inaugurato quest’estate la serie di trentasette saggi sulla concupiscenza pubblicati da Il Foglio e ora raccolti in un unico volume venduto in allegato col quotidiano: prodotto elegante, stampato e rilegato dai poligrafici Mondadori, copertina impreziosita da un nudo sdraiato di Andrea Fortina (nel senso che Fortina l’ha dipinto in olio su ardesia, non che s’è fotografato allo specchio similimodo Paolina Borghese) e della quale ho dovuto vergognarmi di fronte alle mie colleghe filosofesse che son tutte atee bigotte, perché il paio di languidi seni sul recto passi, ma la fica sul verso, insomma, per di più con la mano inguantata così vicina.
Le mie due amiche lettoni - nel frattempo diventate amiche anche di Langone - sono andate via a mezza bottiglia accampando un treno da prendere (vero, sembra) e un conseguente non possiamo, non dobbiamo, non vogliamo di sapore papalino: di modo tale che Langone non è riuscito a convertirle alla vera fede (io, essendo rinunciatario, avevo rinunciato in partenza) sia perché sono di background ortodosso e quindi dogmaticamente inattaccabili, sia perché sono bellissime e alte complessivamente tre metri e sessantacinque senza tacchi, quindi incutono un certo timore; sia - soprattutto - perché un’oretta scarsa, fra cometichiami e tutto, non è sufficiente a esprimere il concetto che Langone ha tuttavia sintetizzato mirabilmente nelle sue cinque pagine di intervento, ovvero che “è svilente, insultante pensare che Gesù si sia fatto inchiodare a una croce per impedirci di rubare la marmellata e di toccarci il pisello”.
Letti singolarmente come ho fatto quest’estate, magari saltandone qualcuno perché talvolta l’ignavia non mi spingeva nemmeno dal giornalaio, i brevi saggi de Il Foglio sono stati una più che piacevole compagnia (benché non paragonabile a quella delle amiche lettoni, che per fortuna nulla hanno da spartire con la filosofia); messi insieme in un volume, miracolosamente, non costituiscono una raccolta - termine che ha sempre il sapore della raffazzonatura, della catasta di materiale di risulta - ma un libro vero e proprio. Quot homines, tot concupiscentiae, una concupiscenza a testa per Paola Mastrocola, Giampiero Mughini, Giuliano Zincone, Saverio Vertone, Edoardo Camurri, don Gianni Baget Bozzo, Ruggero Guarini, Mauro Suttora, Massimo Fini, Andrea Marcenaro, Lanfranco Pace, Filippo Facci e compagnia desiderante, col risultato di una compagnia di giro in cui ognuno dice la propria, un caleidoscopio di molteplice unità.
Ecco, caleidoscopio di molteplice unità è visibilmente frutto del Montepulciano bevuto a digiuno: a mente fredda non avrei azzardato tanto. A mente fredda, parimenti, sarei incapace di illanguidirmi tanto da entrare in un’agenzia viaggi e chiedere alla signorina il catalogo di ogni possibile viaggio di nozze. “E dove preferirebbe andare?” “Decidi tu, l’importante è che mi sposi. Cioè, che tu mi sposi.” Col volume del Foglio sotto braccio, col titolo Concupiscenza stampato in rosso su fondo nero, sarei in grado di spingermi fino a cercare un lavoro vero, altro che il dottorato, purché nel contratto siano previste moglie e famiglia. Invece sono condannato a un’eterna inconcludenza e ad accontentarmi delle zozzerie che tutti i mariti sognano extraconiugalmente.
Il colloquio fra Giulio Meotti e Roger Scruton (quest’ultimo visiting professor di università in cui non mi lascerebbero nemmeno mettere piede) apre il volume e si fonda sulla consapevolezza, espressa dal titolo, che siamo gli unici animali che ridono. Massimo Fini a questo punto si alzerebbe ad aggiungere che siamo anche i soli animali ad essere vestiti, ed elogerebbe la mutanda quale indispensabile involucro che impreziosisce il taglio, il vuoto, l’assenza dalla quale siamo usciti e nella quale tutti desideriamo rientrare in un modo o nell’altro. Paola Mastrocola preciserebbe che intanto esistiamo come essere umani in quanto desideriamo (concupio è pervicace rafforzativo di cupio) la mutanda in ragione di quel che nasconde, o la cosa nascosta in ragione della mutanda, esattamente come da bambini mangiavamo la cioccolata col pane per attutire un piacere altrimenti insostenibile, e finiva che si inghiottiva il pane e ci si conservava la cioccolata per tempi migliori - quando, tradotto, l’avremmo trovata inesorabilmente sciolta, perduta e imbrattante. Dopo di che la Mastrocola farebbe arrossire le meravigliose fossette che ha, ma Eugenia Roccella avrebbe già argomentato sicilianamente che in fin dei conti “cumannari è megghiu ca futtiri”. Giampiero Mughini sosterrebbe di preferire alla volgare scopata che è in fin dei conti uno spreco di sudore e di energie (per non dire di soldi, a ripensarci) l’inafferrabile “chimica del femminile”, ovvero ciò che rende effettivamente venerabile la donna, esattamente come soltanto un ottuso calvinista può farsi la comunione pensando di star mangiando una rondella di pane e basta là, mentre l’astuto cattolico canta: O res mirabilis / manducat Dominum / pauper servus et humilis.
È venerdì pomeriggio, invece di bere con Langone e senza più le amiche lettoni dovrei andare a sentire Marilù Esse Manzini che presenta il suo Libro Nero dell’Erotismo o cose del genere; invece ho l’enorme problema di spiegare tutto questo a - poniamo - la matricola più carina che quest’anno sia entrata in collegio, tripudio di forme e altezza e occhi azzurri, che sarebbe madre ideale per i miei figli. Come potrei, tuttavia, benché incoraggiato a ciò dal Montepulciano mediocre, andarglielo a spiegare sulla scorta dei brevi saggi della tribù del Foglio? Le porto Langone che cerca di convertirla mentre io la catechizzo su come la fertilità inizi a calare dopo i suoi prossimi felici vent’anni? Le fotocopio il saggio autobiografico di Suttora, che è fidanzato beato lui con una newyorchese bella, ricca e teo-con? Io, invece, quando ho chiesto alla mia migliore amica di sposarmi, non sono manco stato preso sul serio (“Vuoi sposarmi?” “Ma come?” “Con rito religioso, ovvio.” “Ma io non sono credente.” “Vorrà dire che per la cerimonia noleggeremo una figurante”); se quindi mi azzardassi a dimostrare alla matricola carina che fra un paio d’anni lei che si sente giovanissima sarà - da un punto di vista di concupiscenza totalmente animale e riproduttiva - già discretamente passatella e che prima di quanto se ne accorga non potrò più sperare di riempirla dei miei bambini, se soltanto mi azzardassi mi risponderebbe che non ha intenzione di metter su famiglia prima dei quarant’anni e che alla sua età vuole divertirsi e basta (senza nemmeno aver letto Marilù Esse Manzini): poi mi denuncerebbe per molestie sessuali e andrebbe a offrirsi a una fangosa squadra di rugby. Tanto vale, dunque, che alla fascinosa matricola non rivolga nemmanco la parola, so già come finirebbe.
Il saggio (di) Roger Scruton mette in guardia dalla sterilizzazione del desiderio, che la Roccella definisce “orgasmo medicalmente assistito”. La fecondazione in vitro e fregnacce simili, la pretesa di far figli se si vuole, quando si vuole, come si vuole e addirittura con chi si vuole sono frutto dell’intelletto femminile (il maschio di solito è più pacifico e molle, tranne rare antinoriane eccezioni) di cui una buona sezione è costituita dalle mie colleghe, popolo dalla dura cervice e dall’utero in leasing. Costoro, pensatrici di professione, intelligenti per contratto, sono tanto abituate a mettere i puntini sulle i da infilare le i dove non ci vogliono; così da inventare con le loro comari la concupiscienza, ovvero il desiderio di sapere sempre di più e diventare (in vitro) completamente padrone del proprio destino e dell’altrui, mandando in pensione il vecchio Dio. Una, dopo la prima volta che eravamo usciti insieme, davanti al portone aveva messo in chiaro che voleva fare figli ma solo artificialmente: io sono scappato e ora sono cacchi del suo legittimo. Un’altra ha dichiarato che avrebbe accettato di sposarmi solo se io le avessi giurato che i bambini ci saremmo limitati ad adottarli. “E perché?” “Perché non voglio sfigurarmi.” Lei e loro anelano a restare eterne ragazzette che a trenta, quaranta, cinquecento anni non abbiano altra responsabilità che continuare a studiare i più minchioni fra i pensatori novecenteschi, e si sorprendono che io non voglia fare lo stesso: più studio più mi rendo conto che la troppa istruzione è il cancro del genere umano. Più passa il tempo più sospetto che nell’Eden Adamo ed Eva abbiamo morsicato due mele diverse.Langone chiude l’occhio sinistro e conficca lo sguardo nel collo della bottiglia vuota; poi notifica che non c’è fondo. Strano: da che mondo è mondo, addirittura prima che Newton la scoprisse (con una mela!), tutto è governato dalla forza di gravità per cui nel Montepulciano imbottigliato nel 2004 ciò che è più leggero deve scendere nei bicchieri e ciò che è più pesante restare intrappolato nella bottiglia, così come Dio al secondo giorno separò le acque superiori dalle acque inferiori, e vi pose in mezzo il firmamento (Genesi 1, 7). E vide che era cosa buona; mentre invece il vino che non lascia fondo non è buono affatto, se non come specchietto per allodole e per filosofesse le quali credono che così non una goccia vada sprecata. Il vino senza fondo segna la sostituzione del filtro alla congiunta azione della mano umana, del caso e della Provvidenza; allo stesso modo la concupiscienza sostituisce a maschio e femmina della Genesi due fessacchiotti strilizzati che scopano quando hanno voglia, fanno figli se ne hanno voglia e dicotomizzano il seme: questo per il sano divertimento, questo come dimostrazione d’affetto. Scoperanno sì, si divertiranno anche, e non nego che piaccia a loro come piacerebbe a me; ma a guardarli dentro non si vedrà più il fondo, ad assaggiarli sapranno di tappo e a berli si penserà al filtro. Così verrà la fine del mondo, quando non ci sarà più nessuna da convertire alla vera fede perché tutte si sentiranno finalmente felici e realizzate, senza nessuna mancanza da poter desiderare.

Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.