domenica 29 aprile 2007

Una Taranto brianzola

(copyright l'immaginazione :bimestrale di letteratura, Manni editore, Anno XXII, numero 228)



Dal 1990 Cosimo Argentina vive e lavora nella grigiastra Brianza; ma, se interrogato al proposito, indefettibilmente risponde di abitare a quindici anni e mille chilometri di distanza da Taranto. Lo scrive anche nel suo ultimo libro, questo Nud’e Cruda (Effigie, 2006) che non è un romanzo perché nulla è inventato, non è autobiografia perché parla soprattutto d’altri, non è un reportage perché c’è troppo sentimento. È uno strano, piacevole miscuglio di memorie, alcune indotte (dalla prima pagina dichiara che si tratta di un testo d’occasione), altre incancellabili nella memoria del migrante postmoderno, altre ancora che sulla scia sorgono indotte e inattese - Argentina le paragonerebbe a un bel po’ di belle ragazze irraggungibili che il caso fa apparire alla tua festa di compleanno perché hanno sbagliato strada.



Tutto è narrato in prima persona. Non occorre conoscere Argentina di persona per sentirne la voce, la cadenza quasi, nel progressivo tarentinizzarsi (si dirà così?) del campo semantico; fino a un punto in cui il dialetto irrompe definitivamente nei dialoghi e, sebbene non tradotto, pare suonare familiare anche alle orecchie non abituate alle sue gutturalità, pare quasi creare una zona franca dove l’Italiano non è più Italiano ma non è ancora Tarantino.



Lingua peculiare per un contenuto peculiare: se nuovamente interrogato al proposito, Argentina vi dirà con mirabile tautologia che Taranto non è in Puglia, ma a Taranto. La sua città, vista coi suoi occhi, non crea una ragnatela di interrelazioni contaminanti col territorio circostante, con le Murge così vicine, col Salento nel quale sarcasticamente l’ultima pagina suggerisce di andare a villeggiare una volta di più; per Argentina, Taranto è un’isola, o meglio è l’Isola e i ponti e i due mari. La tarantinità, il demone meridiano che Argentina si porta dentro e al quale ha dedicato un capitolo specifico, è precisamente localizzabile in una ristretta porzione della città; il resto, l’ottanta per cento se lo può portar via Satana in persona, ciò nondimeno Taranto resterebbe Taranto.



Dalle brevi e dense pagine del testo emerge dunque una Taranto che è città e paese al tempo stesso. I capitoli affastellano luoghi ed eventi, persone e circostanze con rapidità caleidoscopica: si finisce per non sapere più, una volta richiuso il libro, se la tarantinità risieda nella muta pietra toponomastica (via Dante, via Tommaso d’Aquino, piazza Marconi…) oppure nei singolari personaggi che Argentina incontra più o meno di proposito (Luigi, abbandonato dalla donna e rimasto solo con la sua affettatrice; oppure Marc’Polle, descritto in due paginette che avrebbero meritato intorno tutto un romanzo). A me, che ho il cuore sensibile, la Taranto più vera sembra la tredicenne che cerca di zittire il suo bebè, scura madre inadeguata e affettuosa.

Si finisce per voler chiedere all’immagine di quarta di copertina, che ritrae uno sportivo Argentina con la fede in bell’evidenza mentre si versa (malaccio, troppa schiuma) una birra dietro il bancone di un bar di Cesano Maderno, di non fermarsi a pagina novantatre e di raccontare altre storie, altre strade, altre persone: esattamente come aveva fatto nel suo romanzo più bello e (ahimè, ahilui, ahinoi) sottovalutato, quel Bar Blu Seves (Marsilio, 2002) che racconta un anno e un secolo intero con una semplicità di penna davvero sbalorditiva.



Gli occhi della memoria di Argentina sono sempre attenti e mai muti. Taranto era già stata parte integrante del suo esordio con Il Cadetto (Marsilio, 1999) ed era l’unica possibile ambientazione della favola calcistica Cuore di Cuoio (Sironi, 2004). Nud’e Cruda aggiunge un capitolo all’infinito romanzo tarantino che Argentina sta scrivendo da anni; un romanzo che porta con se i detriti del passato, delle frasi dette ed ascoltate, dei volti e dei corpi. Così Argentina insiste nel calibrare la propria vita sulla distanza spaziotemporale che lo separa dalla sua origine. Di volta in volta gli anni aumentano ma i chilometri restano sempre gli stessi, come lui che cresce e resta - per fortuna - sempre uguale.

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