martedì 7 agosto 2007

Dove si utilizza una raccapricciante quantità di parentesi (alcune delle quali quadre)

Stamattina sono andato a Bari perché il mio sogno, nell’immediato, è di liberarmi dal debito di schiavitù contratto con la Feltrinelli (anzi, visto che a loro piacciono le maiuscole, con La Feltrinelli) sotto forma di carta per la fidelizzazione, che consente di ottenere un cospicuo sconto (trenta euri) previo accumulo di cento punti, ossia previa ben più cospicua spesa (trecento euri circa). Avendo deciso di liberarmi da questo cappio che mi costringe, ogni volta che mi serve un libro (càpita molto meno spesso di quanto crediate) a dover fingere di non vedere tutte le altre librerie nelle quali mi capita d’imbattermi in giro per l’Italia l’Europa e il Mondo (alcune delle quali invero adorabili e decisamente indegne della mia cecità indotta), dopo quindici giorni a Rimini (dove di Feltrinelli nemmeno l’ombra) (e, visto il caldo, niente ombra in assoluto) mi sono trovato costretto nella situazione di spendere il più possibile (complessivamente sessantanove euri, a conti fatti) per risparmiare il minimo indispensabile (i trenta euri di cui sopra) e finalmente volare libero verso librerie dove i libri siano meno spiegazzati o dove (ehm) la loro stessa disposizione non sembri frutto di una studiata ideologia perversa.


Così, benché viva a più di un’ora di macchina, ero davanti alla Feltrinelli di Via Melo già mezz’ora prima dell’apertura (sono mattiniero, io, mica come lorsignori) e appena sono iniziate le danze mi sono fiondato dentro come un falchetto, dritto su due libri di ampia divulgazione che mi servono per [omissis]. La commessa (sicuramente laureata in lettere, come tutti i commessi delLa Feltrinelli), deve avermi preso per un pericoloso maniaco che non dorme tranquillo se non acquista l’opera omnia divulgativa di [omissis]; dopo di che deve aver concluso che il caldo era invero eccessivo, nonostante l’aria condizionata, vedendo l’occhio iniettato di sangue col quale mi dirigevo verso la pila, molto più alta di me (sono 1,79; ma mia madre sostiene che mi decidessi a raddrizzare la spalla arriverei a 2,15 e potrei sputare noccioli di ciliegia in testa ai campioni dell’NBA) – dicevo, l’occhio iniettato di sangue col quale mi dirigevo verso la pila di romanzi di Khaled Hosseini. Khaled Hosseini! Non sapeva, la dottorcommessa, che pur di spendere soldi e liberarmi dal giogo feltrinellesco avevo deciso sull’unghia di mettermi a fare regali con generosità spropositata (due). Peggio ancora, coi tre libri (quello di Hosseini e quelli su [segreto di Stato]) sotto braccio (ma che dico sotto braccio: coi tre libri stretti al petto come fossero il mio cor, anzi, come fossero un pallone da rugby su un campo particolarmente malfrequentato) mi sono precipitato, anzi, mi sono abbattuto sul settore dei romanzi rosa. I romanzi rosa! Regalo per regalo, mi ero detto, tanto vale comprare roba che possa far piacere a chi riceve più che a chi lo fa; e quindi il quarto libro è stato Il Diavolo veste Prada, gesummaria.

Complessivamente, il conto ammontava a cinquantasei euri, che come voi mi insegnate (poiché ogni tre euri di spesa si ha diritto a un punto feltrinello) fanno niente di più niente di meno che diciotto punti, per conseguire i quali sarebbe bastata una ben più contenuta spesa da cinquantaquattro euri. Ma io non sono tipo da farmi fregare due euri da gente che potrebbe votare per Veltroni (ahò, so’ quattromila lire!): così che la commessa ormai terrorizzata mi ha visto tornare sui miei passi e, dalla cassa quasi raggiunta, rimettermi a rovistare fra gli scaffali alla ricerca di qualcosa egoisticamente piacevole (o almeno decente) da leggere per la mia privata e difficile soddisfazione. Risultato, la cassiera (severissima giudice dei miei acquisti) m’avrà preso per schizofrenico, poiché mi sono presentato bellamente con due libri di divulgazione, un immondo pappozzo islamico, un romanzo rosa glamour diventato famoso per colpa di un film e poi (tanto per gradire) Radical Chic di Tom Wolfe e poi ancora (cazzo!) Lunario dell’Orfano Sannita di Manganelli. Dopo di che ho scoperto che per arrivare a cento punti avrei dovuto spendere altri ventuno euri (ma non c’erano più libri accettabili).

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Già che sto vi annunzio che da lunedì 20 agosto riaprirà il blog degli Sleepers, impreziosito (spero) dalla mia compartecipazione. In maniera tale che mi aggiungo a fior di collaboratori del calibro di Gabriele Dadati, Gianluca Morozzi e Alcide Pierantozzi (oltre a tanti altri). Il blog, che ha come unico tema e calamita il sonno nelle sue infinite forme (e, a giudicare da mio padre, probabilmente anche nei suoi infiniti rumori), è stato ideato da Ilaria L. Silvuni (che il correttore automatico di Microsoft Word insiste nel voler ribattezzare Silvani, come la sessuosa signorina di Fantozzi) e Misia Donati (che non ho il piacere di conoscere di persona e che pertanto ho scoperto trattarsi di un maschietto solo quando ho capito che tutte le desinenze in –o degli aggettivi che gli si riferivano non erano dei pervicaci errori di battitura). Poiché siamo gente importante, oggi Ilaria e Misia sono stati intervistati dal sito web libero.it, producendo un interessante colloquio (impreziosito da una foto della medesima Silvuni) che potete leggere cliccando qua sopra (tanta querula dovizia di particolari tecnici è sempre dovuta al fatto che di solito mi legge soltanto mia madre, che è un’internauta neofita). In conclusione, ci tengo a specificare che lo scopo del blog degli Sleepers (altresì autodefiniti Tribù dei Narcolettici) non è quello di far addormentare il lettore.

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