sabato 15 dicembre 2007

Lo Stato dei Licei: 4, il gran consiglio (bis)

[Mannaggia. Io sono intollerante, ragion per cui non tollero i treni, le femministe, i comunisti, i mussulmani, i propagandisti dell’omoerotismo, i venditori ambulanti, l’Inter, l’Alto Adige, i punti esclamativi, le dichiarazioni d’amore (attive e passive), Repubblica e le dediche. Ciò nondimeno stamattina riflettevo che sarebbe stato un buon gesto dedicare la mia tesi di dottorato alla memoria del mio primo professore di filosofia, sempre che ciò non gli implicasse l’addossamento della colpa di essere diventato filosofo di professione (o meglio storico della filosofia, ché confondere gli uni e gli altri è come scambiare i cavalli per fantini). Piuttosto perché da ragazzini si tende a focalizzare, isolare, rifiutare quelli che possono essere i singoli inevitabili difetti di ogni insegnante; salvo poi ritrovarsi pari pari addosso gli stessi difetti, gli stessi tic metodologici, le stesse circonlocuzioni e talvolta gli stessi errori – così come la tragedia di ognuno consiste nel voler scappare dai suoi genitori e poi, una volta riuscitoci, nel guardarsi allo specchio e scorgervi un preoccupante miscuglio del peggio di suo padre e sua madre. Fissando per iscritto ciò che ci urta di ogni adulto o maestro o superiore altro non si fa che esteriorizzare le proprie nevrosi e idiosincrasie finendo per tratteggiare profeticamente il ritratto di come inevitabilmente diventeremo, mannaggia. Ed è quello che presumibilmente non sa di aver fatto Silvia G nella continuazione della sua carrellata professorale:]


-ficienti. [Nota di Gurrado: non è che Silvia G è improvvisamente diventata dadaista o scema, è che sto riproducendo la pagina successiva del resoconto che avevo già iniziato a trascrivere, tramandare e travasare già la settimana scorsa]
-Come avrete notato-, introduce la Fiorello, -vi abbiamo fatte entrare con venti minuti di ritardo. Ciò non è certo dovuto a una nostra leggerezza, credetemi. Avevamo molto di cui discutere-, a questo punto alza lo sguardo severo e accigliato verso di me, pietrificando i miei sensi e trasmettendomi sentimenti di aspra ostilità, -molto di cui discutere, care le mie ragazze. Davvero molto.
-Tralasciando momentaneamente il vostro rendimento generale-, prosegue la professoressa Selli, -mi risulta che alcuni di voi, la settimana scorsa, si divertissero a giocare con le macchinine durante le mie lezioni, costruendo tra l’altro delle rampe di lancio in ultima fila e facendo a gara per chi riuscisse a scagliare il suo mezzo più lontano.
[NdG: ce l’ho: ai miei tempi però giocavamo a Shangai, che era più pacifico. Ma talvolta simulavamo risse.]
-Per la verità-, interviene la mia collega Eleonora F, -non si trattava di macchinine, bensì di piccoli skateboard trovati in una confezione di merendine. I mezzi in questione, tra l’altro, erano solo due.
-Sorvolerò su questa precisazione-, sospira la professoressa Fiorello, -ma mi è stato riferito inoltre che alcuni di voi hanno introdotto nell’edificio scolastico degli alcolici
[NdG: noialtri non solo avevamo celebrato l’ultimo compito di latino stappando spumante invece di pensare alla versione, ma avevamo anche filmato il tutto. Però all’epoca non esisteva YouTube, e forse nemmeno internet]. Questo è un fatto gravissimo e assolutamente inaccettabile!
Deglutisco a fatica; i pochi argomenti di difesa che avevo in mente sono drammaticamente evaporati. Che dire?
-Era un termos pieno di vin brulé-, precisa la professoressa Gatto, -ed è stato consumato durante la mia lezione, per festeggiare la vittoria di una partita di calcetto contro la Secondaccì
[NdG: oggi sono sul nostalgico andante (sarà la digestione) e ricordo che le nostre sfide calcistiche, ai tempi, si chiudevano sempre su risultati che ci stavano un po’ stretti: 3-1, 5-1, 14-1, 16-1 – per gli avversari].
-Un termos! Vi siete portati a scuola un intero termos!-, esclama la professoressa Pedro, indignata. Io non mancherei di ricordarle che lei stessa, qualche tempo fa, aveva portato in classe un termos, e che quindi ha ben poco di cui scandalizzarsi; certo, il suo era pieno di caffè, e la nostra situazione è già abbastanza critica, quindi decido di tacere.
-Mi soffermerei inoltre-, prosegue la professoressa Gatto, -sul fatto che gli studenti non arrivino mai puntuali alle mie lezioni di ginnastica.
Felice che l’argomento vin brulé sia caduto, colgo la palla al balzo e intervengo:
-La responsabilità di ciò non è sempre nostra, professoressa. Dobbiamo aspettare che i suoi colleghi delle ore precedenti finiscano la loro spiegazione e, se impiegano qualche minuto in più, noi certo non possiamo andarcene come se nulla fosse.
-Sicuro!-, esclama irata la Gatto, -Quando poi sono io a invadere ore altrui, allora si grida all’ingiustizia e allo scandalo!
Non so nuovamente come ribattere. Sorprendentemente, a venirmi in aiuto è la professoressa Fiorello:
-Non voglio prendere posizioni impopolari, Gemma, ma ammetterai che un’interrogazione di latino, in questa scuola, potrà ancora avere la precedenza sulle prestazioni dei ragazzi alla spalliera.
-Ancora con questa gerarchia delle discipline?-, interviene la professoressa Ivani, insegnante di inglese, -Ancora con l’idea che il greco sia più importante dell’inglese?
-No di certo-, risponde timidamente la professoressa Arcangelo, -però… ammettiamolo… la storia… la filosofia… in un liceo classico…
Esplode il finimondo: l’argomento toccato ha sempre il potere di mettere in crisi l’autocontrollo delle nostre professoresse, che tutte desiderano vedere riconosciuta la propria disciplina come fondamentale e più importante delle altre
[NdG: quando è invece evidente che di tutte si può fare a meno, a parte educazione fisica]. La professoressa Allori, in un delirio di onnipotenza, litiga a turno con la Pedro e la Ivani; la professoressa Fiorello è ora passata a un’animata discussione con la professoressa Selli riguardo all’utilità delle scienze rispetto al greco, lasciando all’Arcangelo la professoressa Gatto, la quale rivendica l’indubbia precedenza che gli esercizi ginnici dovrebbero avere rispetto allo studio di qualche rachitico filosofo del passato, al grido di “mens sana in corpore sano” (che lei storpia, non conoscendo il latino, in “mense sane in porpore sane”); nel frattempo, l’Allori si è scagliata contro la Fiorello, che continua però ad incalzare la Selli, la quale è tornata a litigare animatamente con la Ivani. La mia collega Eleonora F ed io osserviamo la scena, con la sensazione di trovarci nel bel mezzo di un dibattito televisivo della domenica pomeriggio, o di una puntata particolarmente vivace di “Porta a Porta” [NdG: ho appena realizzato, in un loop spaziotemporale, che “Porta a Porta” veniva trasmesso già quando io facevo il liceo]. Il professor Boni, altrettanto turbato, si guarda attorno con aria interrogativa, non avendo ben compreso le origini dell’anarchico conflitto tra le colleghe.
All’improvviso, una bidella bussa alla porta, facendo cadere nell’aula il più religioso silenzio:
-Scusate tanto, ma sono le sette e mezza, e la scuola avrebbe già dovuto chiudere da un’ora…
[NdG: si resta ammirati e pressoché sconvolti di fronte all’idea di una bidella che entra in un’aula dicendo “Scusate tanto”. È tuttavia presumibile che si tratti di una licenza poetica]
-Oh perbacco!-, esclama la Fiorello.
-Accidenti!-, fa eco la Selli.
-Così tardi!-, aggiunge l’Ivani.
-Bene!-, esclamiamo all’unisono la mia collega Eleonora F, il professor Boni e io, -avremo modo di continuare la discussione in un prossimo consiglio di classe.
-Tra cinque mesi…-, sospira la professoressa Fiorello, profondamente avvilita, -e non abbiamo neanche toccato gli argomenti più problematici della vostra sezione!
Nel frattempo, io ho già indossato il mio cappotto, mi sono già avvolta nella sciarpa, ho già salutato educatamente tutti e ho già trascinato la mia collega fuori da quel girone infernale, anche perché il caldo dei termosifoni, così vestita, mi è diventato assolutamente insopportabile.
Il consiglio è sciolto, l’animo è sereno e la notte è giovane.
E noi quindi usciamo a riveder le st
[NdG: sul quaderno di Silvia G c’è un’enorme e imprevista macchia di caffè, pertanto il manoscritto termina qui]

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