venerdì 8 febbraio 2008

Lo Stato dei Licei, 10: psicopatologia dell'insegnante quotidiana

[E così, Gurrado se ne va a Padova senza nemmeno aspettare che finisca la settimana lavorativa (d’altronde non lavora, lui); e così, Silvia G prende possesso del suo portatile senza nemmeno aspettare la consueta scadenza del sabato, così da garantirsi un po’ più di tempo libero e un’ulteriore serata da trascorrere in discoteca a ballare seminuda su enormi cubi di ghiaccio a iniettarsi sostanze chimiche nella spina dorsale come qualunque adolescentessa che si rispetti. Pertanto scrive:]

Dal momento che, come confermano i giornali, la televisione e addirittura internet, quella di noi studenti liceali odierni è una generazione degenerata, il sommo dirigente scolastico del liceo Voltaire ha pensato bene di assumere una giovane psicologa (o psicanalista, o psicoterapeuta, o psichiatra, o, più probabilmente, psicopatica), la quale, tutti i pomeriggi, tiene uno “sportello di ascolto” per gli studenti che sentono la necessità di esternare i loro drammi interiori e di dar sfogo ai tanti problemi che affollano la loro testolina. È stata consigliata la frequentazione dello “sportello” a tutti coloro che intendo parlare di insuccessi scolastici, episodi di bullismo, anticoncezionali, sfruttamento, fobie, attacchi di panico, interpretazione dei sogni, sesso, droga e rock’n’roll. La dottoressa in questione si chiama Alda Filippi e, non potendo vantare particolari doti fisiche, né alcuna affabilità caratteriale, è stata presa poco in considerazione sia dagli alunni maschi del liceo Voltaire, sia dalle femmine; i giovani infatti, vergognosi di esporre i loro problemi adolescenziali davanti ad un’estranea, non hanno mai prenotato nemmeno un’ora di “sportello di ascolto”, lasciando la dottoressa Filippi sola o, tutt’al più, con l’unica compagnia della Settimana Enigmistica.

Capitò un giorno che, durante i ricevimenti generali pomeridiani con gli insegnanti, nessun genitore si presentasse al cospetto della professoressa Gatto, docente di educazione fisica. Costei, indispettita dal fatto che né i padri, né le madri dei suoi alunni si interessassero alle prestazioni dei ragazzi alla spalliera, lasciò la sala udienze con un gesto di teatrale disappunto e decise di concedersi un cappuccino molto zuccherato alla macchinetta automatica. Il caso volle che, proprio in quel momento, proprio davanti alla stessa macchinetta, la dottoressa Filippi stesse cercando di prelevare il proprio resto di venticinque centesimi, che era rimasto incastrato nell’infernale apparecchio. Spinta da un moto di solidarietà e, soprattutto, dall’impazienza di sorseggiare il cappuccino, la professoressa Gatto mostrò alla dottoressa come costringere la macchinetta a tirare fuori le monetine, assestando alla stessa un poderosissimo cazzotto (si valuti che la Gatto, in gioventù, era stata atleta). La dottoressa Filippi, traboccante di riconoscenza, offrì un cappuccino alla professoressa con il resto appena prelevato, e le signore si misero dunque a fare due chiacchiere; le chiacchiere, come spesso accade, si moltiplicarono, divenendo quattro, otto, sedici e così via, avendo la professoressa Gatto deciso di sfogare sulla psicologa tutta la stizza che la sua condizione di insegnante di educazione fisica le procurava. Si lagnò della scarsa considerazione che le era riservata, di come i colleghi di lettere la guardassero dall’alto in basso, dei ragazzi, che, a furia di star piegati sui libri, venivano su con la schiena storta senza che lei potesse intervenire a dovere. La dottoressa, molto professionalmente, ascoltava annuendo di tanto in tanto; estratto poi un blocchetto di fogli dalla borsa, si mise a prendere appunti. Infine, quasi dispiaciuta, si congedò dalla professoressa Gatto, pregandola di tornare da lei ogni qual volta ne avvertisse la necessità.

La Gatto, molto amica della professoressa Ivani e della professoressa Pedro, confidò loro della chiacchierata con la psicologa, e di come quella giovane dottoressa si fosse mostrata disponibile nei suoi confronti, e di quanto si fosse tolta un peso dal cuore parlando con lei, e di come le avrebbe fatto piacere tornarci. Il giorno dopo, anche l’Ivani si recò dalla dottoressa Filippi, per esternare il suo dramma di insegnante di lingua viva, l’inglese, messa in competizione con delle lingue morte, e da esse puntualmente sconfitta. La Filippi ascoltava, annuiva, prendeva appunti. Così fece anche con la professoressa Pedro, insegnante di matematica, che le parlò della sua dipendenza ossessiva dal caffé; così con la professoressa Selli, che raccontò le dolorose origini della natura femminista che la caratterizzava, la quale affondava le sue radici nell’abbandono da parte del fidanzato a un passo dall’altare. La Filippi ascoltava, dava consigli, sorrideva.

Le professoresse, nel giro di una settimana, cambiarono: si dimostravano pazienti nei confronti degli alunni, e disponibili ad ascoltarli. Non provavano più un sadico divertimento nel veder soffrire i giovani discepoli, certo perché le sedute della dottoressa Filippi avevano sortito un insperato effetto benefico sul loro umore e sul loro carattere. Fu grande dunque la loro sofferenza quando, a causa dello scarso successo che la psicologa aveva riscosso tra gli studenti del liceo Voltaire, il sommo dirigente scolastico decise di licenziarla, ritenendola giustamente un’inutile spesa che gravava sul bilancio della scuola. Le povere donne avrebbero voluto intervenire, raccogliere firme, costruire barricate sui corridoi per impedire che la loro sola fonte di soddisfazione venisse congedata in quel modo. Tutto si rivelò inutile.

Dal momento che i benefici effetti della dottoressa Filippi sull’inclinazione delle insegnanti stanno cominciando a dissolversi, gli studenti del liceo Voltaire (e della Terzaddì in particolare) cominciano a simulare gravi sintomi di squilibrio al cospetto del sommo dirigente: c’è speranza che, seppur indirettamente, la psicologa torni ad alleviare un poco le sofferenze dei giovani alunni e, curando le loro professoresse, ad aiutarli almeno in parte a risolvere i propri prob [Ma ecco che scatta l’allarme a orologeria predisposto da Gurrado in partenza, e il portatile si richiude all’improvviso sulle mani innocenti di Silvia G, come una cozza ipertecnologica, come una ghigliottina postmoderna; ne consegue che il file termina qui]

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