giovedì 7 febbraio 2008

Perché in quattro

Tema: perché, se pure il Partito Democratico corre da solo, non ha senso che lo faccia anche Forza Italia?

Svolgimento: Perché quelli come me – tredicenni nel ’93, quando allora allora s’affacciavano alla politica – ricordano nitidamente la campagna elettorale per il comune di Roma; durante la quale Silvio Berlusconi azzardò un endorsement, all'epoca scandaloso, per il candidato del MSI Gianfranco Fini a detrimento del candidato progressista Francesco Rutelli. Fini perse (più che onorevolmente, al ballottaggio, con alle spalle un solo partito e per giunta storicamente inadeguato a gestire percentuali pachidermiche) ma i tredicenni del ’93, che adesso hanno ventisette anni, che presto ne avranno trenta, che non studiano più alle medie ma si allenano a diventare contribuenti, professionisti, classe dirigente ed eventualmente rappresentanza politica, da allora non possono concepire separatamente due entità che hanno condiviso l’identico percorso politico per quattordici lunghi anni, fino alla litigata solenne (càpita) dello scorso dicembre, poi facilmente ricomposta in quanto vertente sul metodo più che sul merito. Quindi Forza Italia deve necessariamente presentarsi alle elezioni insieme ad Alleanza Nazionale.

Perché all’alba del 1994 L’Italia Settimanale, un periodico troppo interessante per sopravvivere a lungo, se ne uscì con un titolo indicativo del comune sentire: “Forza Italia, Lega gli italiani in un’Alleanza Nazionale!”. Il merito storico di Berlusconi – come sta venendo riconosciuto dagli autori inglesi i quali, non dovendo lucidare le scarpe ai luogocomunisti, possono riconoscergli dei meriti storici – consiste nell’aver sdoganato la destra in Italia; ossia non soltanto nell’aver reso potabile il MSI, ma nell’aver dato dignità a un pensiero reazionario sempre forzatamente nascosto e come tale espresso sovente in maniera disordinata, disorganizzata e disutile. Il paga no! con cui la Lega aveva iniziato la propria campagna nei tardi anni ’80 – da grido di velleitaria rivolta che era – s’è trasformato, s’è sistematizzato e ha trovato pieno compimento nella promessa con cui Berlusconi ha concluso e stravinto l’ultimo confronto televisivo con Prodi, l’abolizione dell’Ici, la tassa più odiosa. Il passaggio a vuoto fra il 1996 e il 2001, in cui la Lega non è stata alleata di Berlusconi e ha tentato la strada della secessione e della marcia su Roma, imbracciando armi e mucche, ha meglio dato la cifra dell’intuizione di Berlusconi; e cioè che, nella politica italiana, maggiore è l’intensità dell’espressione di un comune sentire, minori sono i risultati che ne conseguono. La Lega, senza Berlusconi, starebbe ancora scrivendo sui muri (c’è ancora qualche piccola traccia degli antichi slogan, che scorgo ogni tanto passeggiando per Pavia); Berlusconi, senza la Lega, perderebbe un serbatoio di voti che sono utili soltanto se finalizzati a lui. Quindi Forza Italia (e Alleanza Nazionale) deve necessariamente presentarsi alle elezioni insieme alla Lega.

Perché della miriade di partitini post- e parademocristiani che si sono avvicendati a seguito del big bang iniziato già con le elezioni del 1992 che videro la DC scendere sotto il 30% per la prima volta nella sua pluridecennale storia, l’UDC si è caratterizzata per una scelta semplice e lineare: qualsiasi cosa potesse accadere, quante che potessero essere le formazioni sottodemocristiane progressivamente moltiplicatesi a destra e a manca, l’UDC sarebbe rimasta nello schieramento di centrodestra, e avrebbe supportato Berlusconi. Per quanto i democristiani siano geneticamente dei gran chiacchieroni, e per quanto non essendo abituati a maneggiare percentuali limitate si siano più volte sentiti in dovere di fare la voce grossa come se Fanfani fosse ancora vivo e operante, la controprova risiede nel fatto che Follini ha abbaiato, ha detto che avrebbe portato l’UDC a sinistra, e poi se n’è andato senza che il partito lo seguisse; alla stessa maniera Tabacci ieri aveva subito votato per Napolitano presidente dicendo che prima o poi sarebbe stato seguito dal resto dell’UDC, e oggi si ritrova ad essere il candidato premier di un nuovo partito il cui unico altro iscritto è Baccini. Senza centrodestra, l’UDC non avrebbe confini e si scioglierebbe nel mare magno dei postdemocristiani, senza per questo riuscire a ricomporre la DC, che era partito solidissimo e non squacquerato; alla stessa maniera, Forza Italia riceve dalla sostanziale fedeltà dell’UDC la patente di futuro grande contenitore dei voti moderati, già democristiani – tant’è vero che entrambe siedono nello stesso identico gruppo a Strasburgo, quello del Partito Popolare Europeo. Quindi Forza Italia (e Alleanza Nazionale e la Lega) deve necessariamente presentarsi alle elezioni con l’UDC.

Come volevasi dimostrare, Forza Italia, Alleanza Nazionale, Lega Nord e Unione dei Democratici Cristiani corrispondono alle quattro anime, diverse ma coerenti, di un futuribile grande partito liberale, conservatore, federalista e cattolico; e per questo (corollario) imbarcare Mastella, Dini, Nucara, Rotondi, Fatuzzo, Tizio, Caio, Sempronio, Questo, Quello, due coccodrilli e un orangutango non è strettamente necessario. Invece – visto che stavolta siamo tutti d’accordo che il candidato premier è Berlusconi, e che non c’è bisogno di doppie, triple e mezze punte - a fronte del Partito Democratico che corre da solo (ma ’ndo’ va?) sarebbe auspicabile, ragionevole e pure un po’ romantico che i quattro partiti si presentassero alle elezioni proporzionali con il simbolo comune grazie al quale avevano vinto le ultime elezioni maggioritarie: La Casa della Libertà – Berlusconi presidente.


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