venerdì 2 maggio 2008

Me ne fregio


Questa foto del Corriere sembra al mio cuore più significativa di quel che sembri. Ve la spiego.

Fini è di spalle: più che arrivare, se ne va. I maligni diranno che è un riferimento al triste destino che è recentemente toccato ai Presidenti della Camera (Casini fuori dalla maggioranza, Bertinotti fuori dal Parlamento, la Pivetti su Italia1 con Platinette e Violante non pervenuto); i più maligni ancora diranno che si tratta dell'unica prospettiva dalla quale non far scorgere l'ottimistica cravatta rosa. Dissento. Fini è di spalle perché se ne va l'ultimo residuo di ghetto, diventa sempre più flebile la vocina radical-chic che ancor oggi si lamenta, senza trovare più nessun'eco: "Però, un fascista alla Camera... un fascista in Campidoglio... dove andremo a finire, dove andremo a finire...". Un giorno, questa vocina non si sentirà più; e tutti quelli che esistono solo per ripetere "fascista" di qua e "fascista" di là smetteranno di esistere. Allora, probabilmente, il Manifesto uscirà senza articoli.

Il calendario è significativo. Grazie a Dio il tempo è misurabile e ciò rende la nostra vita non solo accettabile, ma anche comprensibile. I giorni durano tutti alla stessa maniera ma non sono tutti uguali. Il 30 aprile di Fini è stato il giorno diverso da tutti gli altri; è stato l'ultimo della serie precedente e il primo della successiva; è stato il giorno che ha dato senso agli ultimi sette, quindici, vent'anni. E sono stati anni di giorni tutti uguali, in cui veniva di volta in volta rosicchiato un tassello a chi voleva il ghetto, a chi chiudeva l'arco costituzionale, a chi sibilava "fascista" per professione nonché unica capacità; anni con sette, quindici, venti 30 aprile uno diverso dall'altro e tutti, sommati, incapaci di rendere l'idea della tremarella storica del loro omonimo del 2008.

(Allocuzione autobiografica: presidente Fini, lei non sa che quando facevo la quarta ginnasio scelsi arditamente, per il primo tema d'Italiano, la traccia di politica. Scrissi quello che pensavo e, perbacco, capitava essere lo stesso che pensava lei, talvolta con le stesse identiche parole sentite in televisione a partire dalla tarda infanzia. Purtroppo la professoressa d'Italiano non la pensava alla stessa maniera e così, corretto il compito, vi rinvenne degli invisibili errori di grammatica per affibbiarmi un 4 e mezzo. Pazienza: fui vendicato nel marzo successivo, quando il Polo della Libertà e del Buongoverno vinse le elezioni del 1994 contro l'allegra macchina da guerra del triste baffo di Occhetto. Il giorno dopo lo scrutinio avevo nuovamente un tema d'Italiano ma scelsi argutamente di evitare la traccia di politica. Scrissi di stornelli e fior di giaggiolo, ma poco importa: la professoressa d'Italiano vi rinvenne degli invisibili errori di sintassi e mi affibbiò un altro 4 e mezzo - la vendetta del progressista. Presidente Fini, mentre la Camera dei Deputati si alzava tutt'una in piedi al suo ingresso in Aula, mi alzavo anch'io dalla mia poltrona e mi sembrava di portare sul petto il 4 e mezzo come una medaglia.)

Per chi segue e ama Fini dalle origini ai giorni nostri, il 30 aprile 2008 è stata una data storica perché, per la prima volta a memoria d'uomo (cioè mia), Fini ha letto un discorso. Fino al giorno prima, l'ho sempre visto parlare a braccio. Non credo che sia stato il primo passo verso l'imbalsamazione istituzionale; il motivo era, presumibilmente, che vedendolo leggere nessuno avrebbe avuto dubbi che il nome di Scalfaro gli fosse passato di mente per caso. E' stato un discorso istituzionale e politico, profondo e spigoloso. Berlusconi ha detto coram populo "Sei stato molto bravo", e non mi risulta l'abbia detto nemmeno ad Arrigo Sacchi quando vinceva Coppe dei Campioni a ripetizione. Dalle 11:58 alle 12:14 del 30 aprile 2008, Gianfranco Fini ha richiuso dietro di sé la porta del ghetto parlando da Capo di Stato; idea non peregrina, se si pensa che sono stati Presidenti della Camera e poi della Repubblica, in successione, Gronchi, Leone, Pertini, Scalfaro (chi?) e Napolitano. Da Terza a Prima Carica non è una lunga distanza.

(Allocuzione autobiografica - bis: presidente Fini, sa che c'è gente che l'ha seguita e ammirata per tutti gli anni del liceo, fino agli anni dell'università? Sa che queste persone giravano col Secolo d'Italia sotto braccio, quand'erano arrabbiate? Sa che convocavano contro-collettivi quando le assemblee erano una faccenda da comunisti? Sa che queste stesse persone si sono vendute alla sinistra non appena hanno sentito odore di laurea, per far carriera in università? Sa che alcune non ci sono nemmeno riuscite? Presidente Fini, di fronte a costoro si comporti come me, guardi e passi. Guardi, passi e faccia i complimenti ai ragazzi di Azione Studentesca, che per le prossime elezioni universitarie si sono inventati lo slogan più geniale del bigoncio: La sinistra del 68 vs la destra del 69: scegli la tua posizione.)

Non era il tempo né era il luogo di farlo, forse, e per questo Fini non l'ha fatto. Mi permetto io di chiosare il suo discorso citando le tre G iniziali alle quali rivolgere un irrituale saluto, come al Papa e alla Bandiera. Giorgio Almirante, che scelse Fini quando ancora aveva gli occhiali quadri ma che, soprattutto, insegnò che si poteva far politica parlando a braccio, appassionandosi senza spettinarsi, seducendo invece che circuendo. Giuseppe (Pinuccio) Tatarella, che dalla metà degli anni Novanta diceva che bisognava andare oltre il MSI, oltre AN, oltre il Polo della Libertà, per convincere gli Italiani della bontà delle proprie idee e creare un'appartenenza dei cervelli oltre che dei cuori - il tutto mentre un oscuro ministro belga rifiutava di stringergli la mano perché fascista (Tatarella, non il ministro belga). Giorgia Meloni, che è giovane e vibrante e viene da un quartiere di sinistra, la Garbatella, che domenica scorsa ha finito per preferire Alemanno: durante la scorsa legislatura era Vicepresidente della Camera, magari può dare qualche consiglio.

Conclusione aritmetica: presidente Fini, eravamo in pochi, ora siamo tanti - grazie a lei.

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