lunedì 13 ottobre 2008

La duplice Italia

Sia benedetto Iddio, all’ottavo tentativo il Modena riesce a vincere una partita (1-0 in casa contro il temibile e rubicondo Piacenza). Senza la Serie A che fagocita l’attenzione, questa è la principale notizia della domenica sportiva, con la d e la s minuscole - quella con la D e la S maiuscole, invece, è andata in onda alle 23: 35, ossia a notte fonda, per evitare che la gente sappia che c’è una vita oltre alla Serie A. Prima, si sono viste trasmissioni fondamentali come N.C.I.S. e Criminal Intent, entrambe meno emozionanti di una vittoria del Modena e meno spaventose della sua posizione in classifica.

Altre faccende domenicali. All’alba non accade nulla di speciale: il miglior pilota di Formula 1 vince il Gran Premio del Giappone, capirai che gran notizia. Nel primo pomeriggio il Pavia perde con la consueta autorevolezza e conquista saldamente l’ultimo posto in una roba che si chiamava Serie C2 e ora, per far miglior figura, si chiama Lega Pro Seconda Divisione (ma sempre Serie C2 è). Nel tardo pomeriggio si soffre ma ne vale la pena: Santeramo vince al tie-break (pallavolo femminile) e la Lottomatica Roma ai supplementari (pallacanestro maschile). Alla sera, niente.

Il sabato era stato sufficientemente intenso da farmi scegliere, con piena avvertenza e deliberato consenso, di guardare due intere partite di calcio in un sol giorno. La giovine Italia di Pierluigi Casiraghi (del quale, tristemente, ricordo benissimo la giovinezza, accaduta quando io ero bambino) parte a razzo contro il povero Israele, in casa. Nel giro di dieci minuti crea due-tre nitide palle goal. Tuttavia non segna. Allora s’innervosisce e stabilisce di giocare come se avesse già segnato: ritmo morbido e palla profonda. Non segna. Giovinco con la palla fa quello che vuole (ma non segna), ragion per cui senza palla pensa bene di spintonare un avversario senza motivo. L’arbitro lo ammonisce, Casiraghi avrebbe dovuto passare i quindici minuti d’intervallo a prenderlo a calci nel sedere (Giovinco, non l’arbitro). Nel secondo tempo entra un’ala destra, il buon Abate, e cambia lo schema di gioco in un più ragionevole 4-4-2. Ciò nondimeno non si segna. L’unico che tenti di tirare in porta è l’ardimentoso Marchisio - c’è bisogno di dirlo? non segna nemmeno lui. Alla fine assalto all’arma bianca, l’Italia trascorre tutto l’ultimo quarto d’ora nell’area di rigore del sempre meno povero Israele, così come aveva fatto nei primi dieci minuti. Non segna. Il ritorno di martedì (o mercoledì? non ricordo più) in Terra Santa sarà molto meno piacevole di quanto possiamo immaginarlo.

Non segna nemmeno l’Italia d’oro di Marcello Lippi, la quale (l’Italia, che è femmina, non Lippi, che è maschio) non lo dice ma lo fa: va in Bulgaria con il preciso intento di pareggiare in trasferta. Sarà un atteggiamento criticabile per gli esteti del calcio ma per noi, che ai fronzoli preferiamo la sostanza, va benissimo in quanto si tratta pur sempre di imporre un risultato sfavorevole a una delle due avversarie quasi decenti che ci ritroviamo nel girone. Il calcio non è matematica, ragion per cui due risultati identici - quello del pomeriggio e quello della sera - hanno effetti opposti. Il primo non dispera ma preoccupa, il secondo non entusiasma ma tranquillizza. Mio padre avanza il dubbio: e se al posto di Lippi ci fosse stato Donadoni, non l’avrebbero mica crocifisso per aver pareggiato in Bulgaria? Come no, arguisco, e avrebbero fatto benissimo: perché mentre Lippi sa cosa sta facendo, e di lui ci si può fidare (ha vinto tutto con la Juventus, ha vinto il Mondiale con l’Italia), Donadoni aveva solo una mezza idea approssimativa del mestiere per il quale veniva pagato (prima della Nazionale, aveva allenato il Lecco e un po’ il Livorno, fate voi); ragion per cui un pareggio a Sofia per Lippi è un mattoncino in una costruzione elaborata, per Donadoni sarebbe stato l’incapacità di vincere una partita che potevamo pure perdere.

Centottanta minuti di calcio, dunque, con annessa mezz’ora d’intervallo per vedere due mesti 0-0. Prima di coricarmi mi levo un calzino, lo appallottolo e con un plastico collo pieno lo mando nel riquadro dell’armatura della sedia, dritto sotto lo schienale. Finalmente, un goal.

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