venerdì 10 ottobre 2008

Letterine letterarie (5)

Cardinal Gurrado,
com’è che il Papa prima dice che i soldi non sono nulla e poi, quando arriva il giorno della dichiarazione dei redditi, pretende che gli si versi l’otto per mille?
Matteo Levi
Vedo che si fa sul serio, oggi, e preparo la contraerea. Iniziamo col dire subito che quando arriva il giorno della dichiarazione dei redditi il Papa non pretende un bel niente, poiché nessuno va all’Inferno né viene scomunicato se si tiene l’otto per mille o lo versa alla comunità ebraica o agli avventisti del settimo giorno (se invece decide di versarlo all’Ucooi, non posso metterci la mano sul fuoco). In secondo luogo, l’otto per mille non viene versato al Papa ma alla Chiesa Cattolica, e per quanto paradossale si tratta di due cose piuttosto differenti. A quanto ne so l’otto per mille non viene usato per impreziosire la tiara pontificia né per rifare gli stucchi del suo studio vaticano, ma viene trasmesso dalla Cei ai parroci d’Italia per aiutare i bisognosi.
Se vogliamo spingerci all’analisi semantica, il Papa - ad ascoltarlo per intero - ha detto che non bisogna fondare tutta la propria vita sulla carriera e sul denaro perché i soldi, in sé e per sé, non sono niente, svaniscono nel nulla. In questi giorni a tutte le latitudini stiamo vedendo che quest’assioma non abbisogna di dimostrazioni aggiuntive (l’unica cosa che mi consola è che soldi non ne ho, e come quel tale stoico dei tempi antichi se me ne vado in giro nudo porto con me tutto ciò che possiedo; però mi dispiace per quelli che i soldi ce li hanno, per esserseli lavorati e averli risparmiati, poiché a differenza dei progressisti non ritengo che i soldi altrui siano un immorale schiaffo alla miseria). La Chiesa è una ben precisa gerarchia che culmina nel Papato, ha un apparato che necessita di carriere e soldi come qualsiasi altra istituzione con dentro degli omini; tuttavia a differenza di altre istituzioni è divina, ragion per cui qualora venissero spazzati via soldi e carriere ecclesiastiche la Chiesa potrebbe continuare imperterrita anche nel sottoscala di casa mia, la Borsa invece no.
A questo punto mi farai la morale tirando fuori il discorso che invece di ricoprire il Papa di soffici drappeggi e le chiese di barocchi ornamenti potrebbero spendere i medesimi soldi per i bisognosi di cui sopra. Ora, a parte che non esistono solo i bisognosi della tasca ma anche i bisognosi del cuore, a parte che la Chiesa serve a entrambi e forse addirittura più a questi ultimi, l’obiezione che mi muovi è già prevista da opinionisti più autorevoli di quelli che scrivono su Repubblica. Il Vangelo di Giovanni (12, 4) racconta che Gesù fu invitato a cena da Lazzaro, già risuscitato, circa una settimana prima di Pasqua. La sorella di Lazzaro unse i piedi di Gesù con dell’olio raffinato e costosissimo; allora uno dei Dodici non poté trattenersi e sbottò protestando: “Perché tale unguento non s’è venduto per trecento denari che potevano essere dati ai poveri?”. Ti trovi d’accordo coi principi etico-economici di quest’apostolo di buon senso? Bravo, era Giuda.
E poi uno a chi dovrebbe versarlo, l’otto per mille, ai giudici che oggi vogliono far morire Eluana Englaro e domani chissà?

Cher Gourradeau,
giustizia alfine è fatta! I saggi di Stoccolma hanno giustamente attribuito il premio Nobel per la letteratura a Jean-Marie-Gustave Le Clézio, autore di opere immortali quali La Febbre, Il Diluvio, Deserto e, non ultimo, Onitsha. È un tardivo e inadeguato riconoscimento al più grande scrittore vivente sulla faccia della terra.
Jean-Marie-Gustave Le Clézio
Di questo passo ci sarà da vantarsi se non si vince, ci sarà da stampare delle fascette con la scritta L’AUTORE AL QUALE NEANCHE QUEST’ANNO È STATO RICONOSCUTO IL PREMIO NOBEL per avvolgerci le copertine non dico di Philip Roth, Ian McEwan e Thomas Pynchon, che già spareremmo troppo alto, ma almeno di Pennac, Houellebecq e Camilleri, tanto per dire i primi tre che mi vengono a mente(senza contare fascette retroattive per le copertine di Joyce e Proust, quando il Nobel era ancora una cosa seria abbastanza da venir vinto da Shaw e Pirandello).
In compenso, dal 1996 io ho iniziato ad appuntare un elenco di tutti i libri che leggo, così da poter presentare delle cifre precise e non campate in aria, stando alle quali risulta che dal 1996 ho mediamente letto una decina di libri al mese, facciamo dieci esatti, che moltiplicati per dodici mesi fanno grossomodo centoventi libri all’anno, che moltiplicati per i dodici anni che intercorrono dal 1996 a tutt’oggi fanno (un attimo, prendo la calcolatrice) la bellezza di millequattrocentoquarantaquattro libri, con buona approssimazione millecinquecento. In compenso, dal 1996 a tutt’oggi, prima che gli conferissero il prestigioso riconoscimento, non avevo idea di chi cazzo fosse Jean-Marie-Gustave Le Clézio, e per certi versi non ce l’ho ancora adesso; ma forse è solo perché voto Berlusconi e quindi sono ignorante.

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