mercoledì 15 ottobre 2008

Nonostante le apparenze

Infatti, sebbene la ragione umana, per dirla semplicemente,
con le sole sue forze e la sua luce naturale
possa realmente pervenire
ad una conoscenza vera e certa
di un Dio personale,
il quale con la sua provvidenza
si prende cura del mondo e lo governa,

come pure di una legge naturale
inscritta dal Creatore nelle nostre anime,

tuttavia la stessa ragione incontra non poche difficoltà

ad usare efficacemente e con frutto
questa sua capacità naturale.

(Pio XII, Humani generis)

Senza considerare Jim Carrey, Una Settimana da Dio è un film molto meno cretino di quel che vuol sembrare (a cominciare dal titolo, inadeguata traduzione di Bruce Almighty, Bruce onnipotente).

Prima cosa, siamo in un ambiente del tutto luterano, in cui l’uomo si abbandona completamente alla grazia salvifica di Dio, anche qualora si tratti di far carriera in televisione o di evitare di finire in una pozzanghera coi pantaloni nuovi. È un atteggiamento a doppio taglio (come solo i protestanti non hanno realizzato), in quanto questo grava Dio di una responsabilità eccessiva anche lì dove l’uomo può benissimo arrivare con le sue sole forze.

Bruce, ovvero Jim Carrey, a quanto pare ha tutte le disgrazie; che saranno comiche, così come vengono rese sullo schermo, ma pur sempre disgrazie restano. Per certi versi la prima metà del film è una parodia del libro di Giobbe, in cui una serie inverosimile di sventure si abbatte su un sol uomo al solo scopo di testarne la reazione. Infatti nel libro di Giobbe c’è una specie di scommessa fra Dio e Satana, per vedere se Giobbe - persi tutti i suoi averi, devastato negli affetti, per giunta tormentato da un trio di amici moralisti e rompipalle - finisca per perdere le staffe e maledire il Signore. In tal caso vincerebbe Satana, altrimenti Dio (il finale lo scoprirete solo leggendo la Bibbia).

Va specificato che l’ebraismo prevede una stretta correlazione fra colpa e disgrazia. Se a un uomo brucia la casa, muore la moglie, isteriliscono le vacche, per l’opinione comune vuol dire che ha fatto qualcosa che non doveva, onde per cui ne paga il fio. Così lo stesso Bruce/Jim Carrey/Giobbe, nel suo monologo di ribellione al Padreterno, rimprovera Dio di punirlo per una colpa che non ha commesso; e, sentendosi nel giusto, sfida Dio (per bocca di Satana?) a lasciargli le chiavi del mondo per farlo funzionare un po’ meglio, a partire dai fatti suoi.

Dio, una volta tanto, ascolta e lo accontenta; dopo di che va in vacanza. In virtù dei poteri conferitigli, Bruce sistema dapprima le faccende private (si garantisce un avanzamento di carriera, si vendica dei soprusi, fa crescere le tette alla fidanzata/Jennifer Aniston) e poi, tormentato dalle preghiere che gli ronzano nelle orecchie, decide di accontentare tutti. Ne consegue fra l’altro che tutti vincono la lotteria, ricavandone circa 17 dollari; col paradossale effetto che le preghiere ascoltate e accontentate generano più frustrazione di quelle che cadono nel vuoto, fino a sfociare in tumulti di piazza.

Bruce realizza che la situazione gli è sfuggita di mano e deve quindi restituire le chiavi a Dio, che in realtà non è mai andato in vacanza e provvede a rimettere tutto a posto nel giro di mezza giornata scarsa. Dimostrazione pratica che è sempre meglio che l’uomo faccia l’uomo e Dio faccia Dio; soprattutto, che criticare è facile e sostituire molto difficile: se ne pagano sempre le conseguenze con sovrabbondanti interessi.

Se ne consiglia la visione ai giudici che, godendo di buona salute, vogliono sindacare su quella di Eluana Englaro.

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