lunedì 1 dicembre 2008

Quattordicesima giornata

Io vorrei sapere come si fa a scrivere del campionato senza averlo visto (cosa leggermente diversa dallo scrivere di calcio senza capirne nulla, hobby invero più diffuso di quel che si creda). Tecnicamente non ho seguito niente: ho dato colpevolmente le spalle a Juventus-Reggina in un pub, ho visto metà Inter-Napoli di straforo, ho appreso il risultato di Palermo-Milan alle undici e mezzo di sera da un pizzaiolo mussulmano che, insomma, avrà sì appeso il Crocifisso sopra il forno ma pur sempre mussulmano rimane.

In realtà il lungo weekend di serie A, anche se ho finito per ignorarlo più o meno deliberatamente, mi s'è infilato sottopelle dimostrandomi che non esiste una sola maniera per guardare una partita di calcio (come invece credono gli scettici, i monomaniaci e le donne). Sabato sera Juventus-Reggina è stata il sottofondo di una serie di incontri con amici, davanti a una ributtante quantità di piadine che ancor oggi fatico a digerire, col televisore di profilo rispetto alla conversazione nella quale la Juventus s'è infilata quattro volte (una per goal; ogni volta ci siamo girati a vedere il replay richiamati dall'urlo del resto del pub) e la Reggina una soltanto (col goal meraviglioso ed epocale su punizione, benché inutile del tutto, annullato per motivi che non sono risultati più chiari a chi ha effettivamente guardato con tanto d'occhi la partita dall'inizio alla fine).

Domenica pomeriggio Inter-Napoli è stata il sottofondo visivo (piacevolissimo nei suoi tre goal tutti di pregevole fattura, fortunatamente tutti nel primo tempo ché alle 16 dovevo andare a prednere il treno, benché la prima rete dell'Inter fosse visibilmente casuale non tanto per la balzana traiettoria della palla quanto per l'evenienza che detta parabola fosse partita dal piede dell'illustre e rinomato scarpone Ivan Ramiro Cordoba) - dicevo, Inter-Napoli è stata il sottofondo visivo della radiocronaca di tutte le partite minuto per minuto, compresa appunto quella che stavo guardando. E poiché una partita di campionato non è una finale secca ma ha senso solo in relazione a tutte le altre, guardarne una e ascoltarne sette è un'esperienza non solo corroborante perchè serve a dislocare la mente in luoghi vari più dello yoga (provate voi a sentir descrivere il goal di Maccarone in Siena-Torino mentre a San Siro vedete Gargano franare sui tacchetti del medesimo illustre e rinomato scarpone Ivan Ramiro Cordoba); ma è l'attraversamento di una sinestesia di pedate atta a rendere l'idea di quanto sia caotico e casuale il pomeriggio che, nel giro di un paio d'ore, consegna dei tabellini e una classifica alfanumerici perfettamente ordinati e senza sbavature, ulteriore conferma del fatto che il calcio mi piace soprattutto in quanto reiterata applicazione pratica dell'ordo rhetoricus.

Domenica sera, alla fine, Palermo-Milan 3-1, come mi ha riferito dietro mia domanda svagata il pizzaiolo mussulmano fuori tempo massimo. Occhio non vede, cuore non duole.

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