giovedì 19 febbraio 2009

L'errore di Benigni

Dite la verità, voi volete che vi parli della scoperta dell'acqua calda, della follia improvvisa di Walter Veltroni che si dimette non già perché ha perso le regionali in Sardegna, e fin lì, ma perché ha perso le primarie a Firenze, anche se i giornali non lo scrivono, figurarsi. E invece vi parlerò di Benigni.

Quest'anno Sanremo non lo vedo per vari motivi contingenti: sto andando a letto presto, la sala tv è sovente occupata, ho parecchio da leggere, i cantanti non mi entusiasmano, Bonolis, eccetera. Lunedì sera ho solo sbirciato Benigni, ma giusto un po', nel breve lasso di tempo che separava la fine dei Simpson dall'inizio di S.O.S. Patata (Fox tv è una grande risorsa per l'umanità, quando non c'è il calcio), e sono capitato nell'istante della lunga marchetta pro-omosessuali.

Fermo restando che non bisognerebbe deportare né torturare nessuno, mi è parsa un po' bolsa la solita predica sul fatto che l'unica colpa degli omosessuali fosse di amare qualcuno. Senza voler fare discorsi cattolici, che sarebbero sprecati, mi pare evidente che a livello neurologico quello che viene comunemente definito amore sia un residuo psico-sociale dell'attrazione riproduttiva, che negli uomini (a differenza degli animali) si problematizza a livello individuale e collettivo. (Cercate di seguirmi, sto tentando di dimostrare che laurearmi in filosofia è servito a qualcosa). Non nego che un uomo possa provare piacere sessuale con un altro uomo, né che possano vivere insieme felicemente per cinquant'anni: ma nel primo caso sono dei porci, cosa peraltro legittima, nel secondo caso dei coinquilini. Possono fare quello che vogliono, ma l'amore non c'entra.

Tutt'al più è una colorita parodia, come purtroppo avviene spesso anche fra gli eterosessuali - basta che vi facciate due chiacchiere con una trentenne frustrata, sempre ammesso che ce ne siano di non frustrate, sentendola sbrodolare su sentimentalismi adolescenziali, e vi renderete conto che l'era di Facebook, dei call center e della Champions League è soprattutto l'era di una ridicola pornografia dei cuoricini.

Benigni, che è un comico intelligente che quando smette di fare il comico smette pure di essere intelligente, c'è cascato con tutte le scarpe, come se sotto il palco dell'Ariston ci fosse stata un'apposita botola. Ve lo dimostro.

Come controprova della nobiltà dell'amore omosessuale e della sua sostanziale identità con l'amore eterosessuale, cioè quello vero, ha parlato di Oscar Wilde che, incarcerato per omosessualità in piena Inghilterra vittoriana, scriveva al suo giovane amato lettere struggenti una delle quali è stata declamata sotto lo sguardo vigile di Paolo Bonolis.

La lettera non era male, d'altra parte Wilde sapeva scrivere. Se non che Benigni ha tralasciato alcuni dettagli fondamentali, non so se per malafede o ignoranza. Non ha specificato che l'amato al quale Wilde si rivolgeva era Bosie Douglas, un giovanotto tanto bello quanto stronzo che lo ha fatto soffrire sadicamente mostrandogli un simulacro di sentimento mentre se la godeva un po' con tutti (e con tutte). Né ha specificato che l'attrazione di Wilde per Douglas era una proiezione narcisistica, poiché dal primo incontro a Wilde era parso di aver visto in carne e ossa lo stesso Dorian Gray uscito dalla sua penna. Tradotto, agli occhi di Wilde il miglior pregio di Douglas era quello di sembrare creato da lui.

Bosie Douglas, vessato dal padre marchese di Queensberry (uno dei principali artefici della federazione pugilisitica britannica), utilizzò Wilde per disfarsi del padre ingombrante. Wilde fu condannato, ma in un processo che aveva voluto lui, facendo causa a Queensberry su istanza dello stesso Douglas. Queensberry, in un biglietto minatorio, aveva accusato Wilde di essere un sodomita - a dire il vero, intendendosi più di pugilato che di ortografia, lo aveva accusato di essere un "somdomita" - e Douglas aveva insistito perché Wilde lo querelasse per diffamazione. In questo modo, il processo per stabilire se Queensberry avesse o meno diffamato Wilde, dandogli del "somdomita", si trasformava automaticamente in un processo per stabilire se Wilde fosse sodomita o meno, con o senza m. A conti fatti, per la proprietà transitiva, a condannare Wilde non fu tanto la società vittoriana quanto la folle sconsideratezza del ragazzo che credeva di amare.

E la dolce, meravigliosa lettera recitata da Benigni, che Wilde scrisse a Douglas e che ognuno di noi vorrebbe poter scrivere a chi sa lui, è una delle tante che restò senza risposta. Wilde trascorse due anni in galera senza ricevere una riga da Douglas, se non contiamo i biglietti di insulti. Lo dice Wilde stesso nella sua ultima lettera a Douglas (e ultima opera letteraria), il lungo e disperato De Profundis: epistola in carcere et vinculis: le sue prime parole sono di rimprovero all'amato per non essergli stato di nessun conforto nei due anni di giorni tutti uguali, e ognuno peggiore del precedente, nei quali Douglas stesso l'aveva cacciato. E per questo, dice Wilde in un passo che Benigni ha dimenticato di citare, quello fra lui e Douglas non è amore ma (non ricordo precisamente gli aggettivi, ma il tono è uguale) "disgraziata e malintesa amicizia".

Non potendo raccontare tutto questo nel dettaglio, per esigenze sceniche, l'allegorica regia del Festival di Sanremo ha ritenuto opportuno sottrarre ogni credibilità al discorso di Benigni sulla dignità dell'amore omosessuale inquadrando immediatamente e in primo piano Franco Grillini.

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