venerdì 13 febbraio 2009

Letterine letterarie (19)

Gurrado, san Cabrón,
¿que semanita, eh?
Nacho

Hai ragione mica poco, è stata una settimanella o settimanaccia paragonabile (fatte le dovute proporzioni) a quella del lontano maggio 2005 durante la quale vedemmo, in rapida successione:
- di lunedì, al Palabasket di Bologna, l'adorata Lottomatica venire utilizzata come materassino rimbalzevole dalla Fortitudo;
- di mercoledì, il Milan vincere 3-0 al primo tempo contro il Liverpool in finale di Coppa Campioni salvo poi pareggiare 3-3 e perdere ai rigori (che a raccontarla così non si rende nemmeno lontanamente l'idea);
- di sabato, Paolo Savoldelli, il ciclista grigio, vincere il secondo Giro d'Italia per pochi secondi guadagnati rocambolescamente su tre concorrenti (Simoni, Rujano, Di Luca) che meritavano più di lui.
Oggi, tanto per dire, non più tardi di venti minuti fa mi stavo facendo la barba e m'è sfuggita dalle mani la pietra d'allume, sfasciandosi in mille minutissimi pezzi sul pavimento del cesso, roba che a stento mi sono trattenuto dall'esprimere salaci considerazioni generiche al riguardo dell'1 e del 2 novembre. Sono sicuro che entro la giornata succederà di peggio, ma è stato un venerdì 13 iniziato giorni e giorni fa, forse da venerdì scorso, nel momento in cui Giorgio Napolitano ha sovvertito l'ordine naturale per scodinzolare dietro alla prassi istituzionale. Ma io, ora che ci penso, avrei dovuto capire che era una battaglia persa - avrei dovuto capire che avrebbero finito per vincere tutti i Beppini Englari del mondo - già l'estate di qualche anno fa, la sera in cui mentre ero a Gravina e aspettavo una pizza da asporto e stavo a prendere il fresco sui gradini della rosticceria ho visto con la coda dell'occhio un signore che si stava intrattenendo nella rosticceria a mangiare panini e patatine fritte con moglie e figlia piccola; il quale signore a un certo punto si alza, mi passa vicino sui gradini e s'avvicina alla sua macchina parcheggiata di fronte; apre lo sportello, ripone qualcosa nel cruscotto, richiude lo sportello e torna nella rosticceria. Voi dovevate essere lì e accorgervi come me che prima non avevate visto un bambino handicappato seduto sul sedile posteriore, tenuto chiuso nella macchina; dovevate vedere come stava passando la serata abbracciato a un pallone da calcio, mollato lì perché in rosticceria avrebbe fatto fare brutta figura o si sarebbe sbrodolato o avrebbe fatto casino e non avrebbe consentito di godersi panini e patatine; dovevate vedere con che occhi di speranza ha guardato il padre che apriva la portiera, come s'è letto chiaramente sul suo volto il desiderio di venire portato in rosticceria, dovevate vedere che effetto gli ha fatto la portiera che si richiudeva. Io non sono sentimentale ma avrei voluto prendere il padre, infilargli le patatine nelle narici, occludergli il culo col ketchup e fargli provare almeno per cinque minuti la sensazione di muta inadeguatezza che suo figlio provava dalla nascita e avrebbe provato per sempre, anche in quest'istante dovunque egli sia.
Ma la battaglia del bambino handicappato sul sedile di dietro era persa in partenza, com'era persa quella della Englaro (non ha cervello! vuole così suo padre! vuole così il Presidente della Repubblica!) e combatterla è stato un ultimo rigurgito da galantuomini che è servito a delimitare per bene i confini di una minoranza decente. Gli altri pensano al diritto, alla democrazia, alla separazione dei poteri; hanno ritenuto che, piuttosto di dar ragione a Berlusconi una volta che fosse una, anche in un caso di ragione lampante cristallina, sarebbe stato meglio farsi fucilare impiccati; hanno avuto il coraggio di dire che la Englaro era morta 17 anni prima, e non si rendevano conto che la morte di lunedì, la morte vera, la morte per sentenza stava scatenando conseguenze che non si sarebbero verificate se la Englaro fosse davvero già morta nel 1992.
Se fosse davvero già morta nel 1992, lunedì sera a un'ora pressoché folle non mi sarei messo a scrivere a Langone lamentandomi per le cose che questa triste vicenda porta con sé:
- la consapevolezza che per la Presidenza della Repubblica il senso dello Stato sia superiore al senso della vita, e che quindi per un vizio di forma Giorgio Napolitano sarebbe pronto a far morire cinquanta milioni di Italiani;
- la scoperta di una quantità sorprendente e teoricamente infinita di cattolici molli o a doppio taglio, che al "sì sì no no" antepongono il "sì però", compresi preti progressisti e vescovi ambigui tanto che uno si domanda a che serva la riduzione allo stato laicale;
- per non dire di buona parte dei miei amici che s'è rivelata aggressiva e vigliacca (tranne uno che, lo riconosco, pur nel suo cieco beppinismo e napolitanismo s'è posto dei problemi, m'ha fatto un gran discorso, ha cercato di ricucire); ragion per cui mi sono sentito come se volessero privarmi del mio diritto di difendere la loro vita, sfilandosi dal loro dovere di difendere la mia.
E lo stesso distinto sentimento di avere chiaramente ragione e sentirsi dare torto - dall'opinione comune, dall'establishment, dalla politica, dall'ottusità della stampa - riemerge chiaramente sulla querelle del Festival Filosofia, durante questa stessa settimana orribile, in un inquietante intreccio cronologico fra un evento privato, l'uccisione per affamamento della Englaro, talmente universale da diventare pubblico/politico, e un evento pubblico/politico, la rimozione della Borsari, che va a colpire e affondare i tre anni migliori della mia vita, 2005-2007, e la città che ho amato di più, Modena per chi non l'avesse intuito da alcuni indizi sparsi qua e là. Anche qui c'è una maggioranza che chiacchiera per sentito dire, la stampa che (vedi Aldo Grasso ieri) ignora i dettagli fondamentali, la politica che divora gli eventi, le pale dei mulini a vento che girano vorticose e un'altra battaglia da perdere in scioltezza, venendo accusati magari di chissà quali interessi, nel solo tentativo di difendere il sacrosanto diritto di una persona che ha lavorato bene a continuare a lavorare, nel solo interessarsi a che colleghi più giovani di cui non so nemmeno i nomi abbiano lo stesso standard qualitativo del mio dottorato e siano concesse loro le stesse possibilità di carriera, mentre vedo a uno a uno sfilarsi gli amici, i ponzipilati, gli englaristi della situazione i quali davanti sono tutti vaghe promesse e dietro iniziano a calcolare i pro e i contro, dando ragione al torto e sperando che magari il loro silenzio venga ricompensato con un posticino. Consoliamoci pensando che anche qui siamo la minoranza decente, un giorno qualcuno ce ne renderà merito - o forse non è detto, quindi preferisco rendermene merito da solo.
Sdrammatizziamo, ci manca solo che domenica il Milan perda il derby con un punteggio ridicolo, tipo 5-6, e la semanita - la settimanella settimanaccia - sarà completa. Ma ora vado a fare colazione, io che posso, e poi mi metto a lavorare, io che posso.

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