giovedì 27 agosto 2009

Il burkini è provinciale

(Gurrado per Il Foglio)

Niente, nessuno mi leverà dalla testa che il coro di prefiche che s’è levato in difesa dell’indossatrice di burkini, vittima di presunti atti di discriminazione in una piscina di Verona, fosse in realtà dovuto al timore di fare brutta figura all’estero. Siamo abbastanza provinciali da temere che a furia di leggere Repubblica i giornalisti stranieri si convincano che l’Italia non sia una democrazia matura capace di discernimento in materia di integrazione culturale nonché di valorizzazione del femminismo, di laicità dello Stato, in materia insomma di tutte queste amenità. Se la cosa può tranquillizzare la coscienza patria, in Inghilterra la storia del burkini di Verona è passata del tutto inosservata: anche perché i tre principali quotidiani broadsheet – Times, Guardian e perfino l’Independent – si erano pochi giorni prima diffusi sul caso simile avvenuto in una piscina di Parigi.

Stavolta però le prefiche del multiculturalismo hanno sbagliato esempio. Pochi giorni fa un autorevole quotidiano britannico che inizia con la G, facendo riferimento a un autorevole quotidiano italiano che inizia con la R, ha citato un caso di discriminazione ben più grave: “Gli Italiani recalcitrano di fronte all’abitudine cinese di friggere le meduse”, sparava il titolo. Nel trafiletto Tom Kington, corrispondente da Roma del Guardian, spiegava che sulla spiaggia di Marina di Pietrasanta i cinesi “quest’anno si sono organizzati”: vanno al largo, acchiappano meduse in quantità, le rovesciano sulla spiaggia, le impanano, le friggono e buon appetito. La perplessità dei bagnanti è agli occhi di Kington una testimonianza “della fatica che fa l’Italia ad accettare le abitudini culinarie della sua sempre crescente comunità di immigrati”.

Notoriamente in Inghilterra vige il principio di non lamentarsi per nessun tipo di comportamento, ricevendone in cambio il diritto a fare ciò che si vuole senza che nessuno ne chieda ragione. Questo ha giustificato secoli di eccentricità individuale e si adatta facilmente all’assimilazione dei costumi collettivi di intere minoranze. Per lo stesso principio un mesetto fa, aspettando l’autobus, ero stato tacitamente redarguito da chi era in fila dietro di me, avendo osato sghignazzare al passaggio di una signorina con lo zaino a forma di bara: un esagono irregolare, nero e con una croce sopra. I signori in fila erano altrettanti Tom Kington. Pensavano che non stesse bene criticare (o peggio ancora deridere) una trovata un po’ macabra e un po’ squallida, e che parimenti non starebbe bene ritenere che friggere meduse in spiaggia sia un’abiezione. O che le meduse fritte siano una porcheria.

Il sillogismo di Tom Kington è facilmente decrittabile: l’idea che i cinesi mangino porcherie è talmente radicata da essere un luogo comune; quindi criticarli presumendo a priori che le meduse fritte siano una porcheria li riduce a combaciare col luogo comune; quindi gli Italiani sono razzisti e non capiscono che uno può mangiare tutte le meduse che vuole. In compenso nello stesso articolo Kington riferiva che lo stupore degli italiani di Marina di Pietrasanta era tale che, al vedere i cinesi impegnati nella sofisticata operazione culinaria, i bagnanti indigeni “hanno sputacchiato qua e là i loro sandwich alla mozzarella”. Questo evidentemente non è un luogo comune.

L’Inghilterra, culla e tomba del multiculti, sopravvive riducendo tutte le sue minoranze a uno stereotipo facilmente digeribile (a differenza delle meduse fritte). Mentre gli Italiani sono talmente affascinati dal diverso da voler imporselo contro la propria stessa volontà o buon senso, gli Inglesi lo ammirano come una tigre in gabbia. Per essere accettato, ognuno deve tenersi nei confini di ciò che ci si aspetta che faccia: gli Italiani soprattutto. Non ci credete? Leggete sull’Observer di domenica scorsa, a pagina 23, il reportage di Henry Porter sul palio di Siena. A differenza del pezzo di Kington è scritto in buona fede. Porter è sinceramente estasiato di fronte al talento degli Italiani per le mascherate (“the Italian gift for costume”) tanto da ergersi a difensore del palio a fronte dei “nordeuropei che parlerebbero piuttosto di isteria e machismo”. Porter è colpito da come il palio sia una parentesi pittoresca all’interno di un’eccellente vita quotidiana, che a Siena si attua nella “alta partecipazione al volontariato” e soprattutto nel “sustainable e-government”, qualsiasi cosa significhi. Il Palio è un bel gioco perché dura poco: infatti “nel giro di mezz’ora su quello stesso terreno s’imbandiscono le tavole e arriva la pizza”. Non riferisce se si imbracci anche il mandolino.

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