venerdì 26 febbraio 2010

Prossimamente sul vostro schermo

Invece di perdere tempo su internet, acciuffate un taccuino e prendete nota:

- perché il Festival di Sanremo non doveva arridere a Emanuele Filiberto ma a Emanuele Dotto;
- Garibaldi e la questione delle dodici arance;
- come con un solo colpo di matita ho preservato la memoria di Niccolò Machiavelli, l'uomo-wafer;
- una gamba nuova e (forse) non solo.
Tutto questo nonché molto altro verrà trattato qui, proprio qui, con dovizia di particolari; però non prima di mercoledì prossimo a causa di un imperscrutabile problema tecnico che vì impedirà di leggermi. Ah, i bei tempi in cui scrivevo su carta e non mi leggeva comunque nessuno!


giovedì 25 febbraio 2010

Miracolo a Milano

Pausa pranzo. Vado a comprare il Guardian e in prima pagina che ti leggo? Questo titolo semi-cubitale: Il Milan di Mourinho vince il primo round contro il Chelsea.

Il ritorno delle zitelle

Femminismo, il tuo nome è solitudine. Immaginate un articolo con un titolo del genere. Immaginatelo scritto da me. Immaginate che il sottotitolo reciti: E se dietro ogni donna single non ci fosse altro che una zitella? Bravi, non immaginate più nulla e andate a comprare il numero di Tempi in edicola oggi.

lunedì 22 febbraio 2010

Tuttavia non bisogna votarlo

L'idée reçue su Nichi Vendola si articola in tre considerazioni: è comunista; è omosessuale; scrive poesie. Essere comunisti oggi è demodé come essere monarchici, giacobini o sanfedisti; quindi non votare un candidato alle prossime elezioni perché è comunista non ha molto senso. Tutt'al più non lo si sarebbe dovuto votare alle elezioni del 1985 o del 1946. Non votarlo perché omosessuale ha senso come, che so, votare Formigoni perché vergine. Come mi lascia indifferente la vita privata di Berlusconi, mi lascia indifferente quella di Vendola (d'altronde, se vogliamo dirla tutta, non mi fidanzerei con nessuno dei due). Tutt'al più si può osteggiarlo qualora patrocinasse una politica favorevole alla diffusione della cultura omosessuale, ma in tal caso le convinzioni dell'individuo vengono mediate da quelle di tutta la classe politica e dal buon senso della collettività. Infine cos'altro? Scrive poesie. Ecco, uno che scrive poesie non lo voterò giammai.

Della campagna elettorale per la Regione Puglia arriva a Oxford, non so perché, solo un'eco attutita. Mi è giunta notizia che ieri sera Nichi Vendola ha partecipato a un appuntamento politico ma non elettorale in senso stretto. A un anno dalla morte di Fabio Perinei, per tre lontane legislature deputato per il PCI-PDS, la città di Altamura lo ha ricordato pubblicando un volume memoriale curato dalla famiglia e dai tanti amici. Alla presentazione del volume, ieri sera appunto, Vendola s'è presentato in persona, non ha mandato un bigliettino o un sottoposto; a quanto mi riferiscono ha parlato bene, non ha fatto un discorso precotto; ha concluso con la voce rotta dal pianto, ma senza fingere perché ricordava suo padre morto anche lui un anno fa. Di là dalle tre articolazioni consuete dell'idée reçue, ieri Nichi Vendola ha dimostrato di essere una persona attenta e sensibile e per fortuna questa è una considerazione che scavalca la politica. Il ne faut pourtant pas le voter.

giovedì 18 febbraio 2010

Operazione gamba rotta (10)

Non sono sparito, non è che invece di togliermi il gesso i medici hanno pietosamente deciso di sopprimermi; solo che la rimozione s'è mangiata quattro-ore-quattro di martedì pomeriggio e ieri era il mercoledì delle Ceneri, decisamente una giornata non adatta ai cachinni. Adatta invece, visto che le tre parole d'ordine sono penitenza-digiuno-elemosina, a capire da dove Samuel Beckett aveva tratto ispirazione per i suoi due sofferenti e affamatissimi barboni Vladimiro (quello che parla sempre, non per niente Di-di) ed Estragone (quello che non sta mai fermo, non per niente Go-go). Ieri sono salito per la prima volta su un autobus, dopo la forzata sosta, e la prima cosa che ho visto sono stati due barboni, uno seduto con le gambe attorno a un cane lupo, l'altro che cambiava continuamente posto per far spazio a chi saliva via via. Quello del cane mangiava un'insalata russa in offerta al supermercato e l'altro beveva una cola dalla frizzantezza infinitesimale. Si lamentavano del traffico.

Insomma, ora cammino. Cammino male, cammino piano, cammino con le stampelle ma poggio per terra tutti i piedi (due). In momenti di coraggio salgo le scale; in attimi di temerarietà le scendo. Le quattro ore di cui sopra non sono state impiegate tutte per togliere il gesso (vabbe' che s'indurisce), operazione che avrà portato via tutt'al più dieci minuti. Il resto l'ho passato aspettando i  raggi x, aspettando il responso dei medici, aspettando di nuovo i raggi x, aspettando la fisioterapista, aspettando Godot. Godot, nell'ospedale di Oxford, consiste in un'infermiera che sbuca da una stanza e strilla il nome della persona di turno, la quale è seduta fra gli altri pazienti e al suo turno si alza e, se può, cammina verso la porta da cui è stata chiamata. Se non che l'infermiera è inglese quindi per chiamare si regola così: guarda la sala d'attesa, inspira una quantità d'aria sufficiente a urlare il primo canto della Gerusalemme liberata, inizia a proclamare il nome dell'eletto, immediatamente si rende conto di star urlando in un luogo pubblico, si vergogna e abbassa repentinamente il volume della propria voce subito dopo la prima sillaba del nome che deve comunicare.

Poniamo che io mi chiami Antonio Gurrado. Per chiamarmi, dovrò aspettare che l'infermiera  esca dalla porta apposita e urli: "An-srububbuz srububbuz". Il che è complicato in quanto con questo criterio vengono pronunciati alla stessa maniera tutti i nomi che iniziano con la stessa sillaba ragion per cui l'infermiera potrebbe star dicendo sia "Antonio Gurrado" sia "Andrew Morgan" sia "Aniruddha Brachamutanda" sia "Anvedi che santo / vestito d'amianto".

Poi arriva il momento in cui il medico chiude il separé dello stanzino in cui ti ha palpato il piede nudo (l'infermiera in queste circostanze si tiene purtroppo alla larga) e ti dica di provare ad alzarti e a muovere uno o due passi. In quel momento ci si ritrova in piedi, immobili per un secondo intero, a chiedersi come si fa a camminare: ricordo che me l'avevano insegnato un giorno, ma visti i recenti risultati non dovevo essere stato molto attento.

La citazione evangelica più banale che viene in mente in questa circostanza è la guarigione del paralitico (Matteo 9, 5): "Alzati e cammina". Però c'è da chiedersi in che lingua Gesù abbia parlato a un paralitico che chiedeva l'elemosina (e che forse mangiava insalata russa e si lamentava del traffico). Sicuramente non in francese; poco verosimilmente in latino, non necessariamente in greco, magari nemmeno in aramaico. Sono sicuro che nella circostanza Gesù abbia parlato in dialetto; l'esortazione allora dev'essere suonata molto poco solenne, estremamente confidenziale, minacciosa quasi: "Jàlz't e camìn".

mercoledì 17 febbraio 2010

La ministra ombra

Sul Foglio di oggi un mio lungo articolo spiega chi è Theresa May, la donna più importante del partito conservatore e ciò nondimeno molto, molto lontana dal fantasma della Thatcher.

lunedì 15 febbraio 2010

Domenica sprint (4)

L'Inter di Mourinho e quella di Trapattoni? Uguali. Questa rara testimonianza filmata rivela il vero risultato della sfida di ieri contro il Napoli, che ha garantito ai nerazzurri lo scudetto con quattordici giornate di anticipo. Pregevole José nei panni di Giuann. Da notare anche Marco Materazzi travestito da Beppe Bergomi, Fabio Caressa camuffato da Bruno Pizzul e Giampiero Galeazzi da Giampiero Galeazzi. Il goal decisivo è di un giovane di cui forse sentiremo parlare: Lothar Matthaeus.


Operazione gamba rotta (9)

Ultima venne la notte: siccome domani ho in programma la visita ospedaliera che si spera risolutiva e definitiva, nel corso della quale dovrebbero liberarmi dal gesso (che poi è una fasciatura rigida) senza nemmeno controllarmi ai raggi X tanto sono sicuri dei miei mezzi deambulatori; siccome da domani a quest'ora starò di nuovo non dico liberamente camminando ma quanto meno gioendo della liberazione di questo stivale virtuale che da quaranta giorni mi zavorra; siccome potrò forse finalmente riprendere a posare entrambi i piedi a terra, smettendo di sentirmi una gru, e magari pian pianino provare ad arrivare chissà dove facendo aggio sulle stampelle ormai tramutate in bastoni (o, se nevica, in racchette da sci di fondo); siccome tutto questo, l'ultima notte si preannunzia insonne sin d'ora, il gesso pesa dieci quintali di più e da giorni ormai l'impazienza cede il passo allo sconforto. Uno fa così tanto affidamento sulla convinzione che il malumore sia dovuto all'ingessatura - o alla necessità di saltellare sulla gamba sinistra, di lavarsi sommariamente e in comode rate con grandi acrobazie, o di lavarsi i denti in cucina o di calare la pasta inginocchiando la gamba offesa su una sedia posta all'uopo di fronte al lavabo - da temere poi fondatamente che al ritorno alla vita su due piedi l'insopportabilità del risveglio resterà immutata.

domenica 14 febbraio 2010

Operazione gamba rotta (8)

Io non ho niente contro Nick Hornby ma per la seconda volta prendo il suo Juliet, Naked e mi vedo costretto ad abbandonarlo prima ancora di aprirlo. La prima era stato, ragionevolmente, per garantire una degna celebrazione al compleanno di James Joyce. Ora è perché mi è risalita all'improvviso la fobia di leggere libri in inglese, non perché non si capiscano ma perché la lettura è l'ultimo angolo della mia vita di cui sono rimasto padrone e almeno quando leggo in Italiano posso fingere di non essere qui. Leggendo in inglese il giochetto non è possibile e di conseguenza non mi sento più padrone di nulla, con buona pace di Hornby e dell'altro paio di libri anglofoni in lista d'attesa (peccato, sterline sprecate). Lo stesso vale per gli altri aspetti della vita culturale: non guardo la tv britannica, non vado al cinema a guardare film inglesi e men che meno vado al teatro. Non amo sentire sconosciuti che mi ricordano in inglese che sono in Inghilterra. In queste circostanze l'unica libertà possibile è la reclusione volontaria con una forma estrema di resistenza passiva: leggere in italiano, scrivere in italiano, guardare per quel che posso la tv in italiano e pensare in italiano che ogni mattina in cui mi sveglio qui non posso fare a meno di farmi un po' schifo.

Penso che un sogno così non ritorni mai più

Sono a Parigi e sto spendendo un sacco di soldi al telefono per spostare da Foggia a Pavia la presentazione di un libro. Dopo la chiamata, senza aver risolto gran che, passeggio sul Boulevard Saint Germain e cosa ti vedo? Il Duomo di Trento. Decido di entrare per controllare se è domenica e se stanno celebrando una Messa. La stanno celebrando. Prendo posto di fianco al direttore della mia scuola elementare il quale mi spiega che è la messa per la comunità dei gravinesi. Arriva il momento della liturgia eucaristica e il celebrante, vicario vescovile, chiede se c'è qualche prete in sala per aiutarlo con la transustanziazione; tutti gli altri fedeli sono invitati a lasciare temporaneamente la chiesa, verranno richiamati quando sarà il momento. Io sono distratto e resto lì seduto. Il vicario mi rimprovera perché non l'ho raggiunto all'altare per distribuire la comunione. Io gli rispondo che indubbiamente sono un prete ma mi sento indegno del ruolo; al che lui conciliante mi propone di essere quello che durante l'eucaristia regge il cero battesimale. Per fortuna mentre richiama i fedeli riesco a poggiare il cero sull'ambone e a svicolare verso la sacrestia, dove stanno trasmettendo un film in cui Enrico Montesano è un parlamentare dell'Italia Dei Valori. Decido di raggiungerlo mentre sta trascinando una borsa piena di documenti compromettenti; ovviamente mi scaccia in malo modo. Per riuscire meglio nel mio intento mi travesto da Benito Mussolini e con voce cavernosa intimo a Montesano di aspettarmi. Lo fa e con lui si ferma il gruppetto che lo accompagna, composto da altri onorevoli quali Manuela Palermi, Sabrina Ferilli e una professoressa di sociologia di cui non ricordo il nome ma che somiglia molto a una mia amica relativamente bruttina. Montesano mi dà da trascinare una borsa uguale alla sua, con dentro altri documenti compromettenti e fa una battutaccia nei confronti della Palermi, dicendole che lei è stata un avversario ostico per me (Mussolini) sin dai tempi della sua (di Mussolini) giovinezza. Poi ci mettiamo a fare i fessacchiotti dicendo che sicuramente avrei preferito avere come avversaria ostica la Ferilli, che accetta di buon grado l'apprezzamento ma ciò nondimeno sèguita a camminare qualche metro davanti a noi. Io e Montesano non possiamo far altro che raggiungere l'amica bruttina e rivelarle che vabbe', noi riempiamo di complimenti la Ferilli per onore di firma ma in fin dei conti riteniamo testualmente che sia più fregna lei. Dopo di che chiamo Montesano in disparte e gli chiedo:
"Ma tu sai mica come s'intitola questo film?"
"Boh".

venerdì 12 febbraio 2010

L'Islam è relativista

O meglio, come spiego nell'articolo pubblicato oggi dal Foglio (che fate ancora in tempo a comprare), la progressiva conoscenza dell'Islam nell'Occidente cristiano ha favorito l'inoculazione del relativismo religioso. Tutto questo trecento anni fa. Lo racconta il libro al quale sta lavorando lo storico delle religioni Guy Stroumsa, israeliano operante a Oxford.

giovedì 11 febbraio 2010

Italia gnamme

Su Tempi in edicola oggi (peraltro con la copertina più bella della storia) potete leggere un mio articolo decisivo per le sorti dell'Italia all'estero e, peggio ancora, in Inghilterra: Do you like mozzerella e oregano? Dove si spiega che se il panino McItaly è un affronto ai tradizionali sapori patri, per fortuna gli inglesi ci difendono vendendo con marchio tricolore la pizza all'ananas.

mercoledì 10 febbraio 2010

Condizionale


Buonasera. Oggi dovrebbe essere uscito in edicola il primo numero della nuova serie di Stilos, un mensilone letterario di oltre 120 pagine, il quale dovrebbe contenere anche delle recensioni scritte da me che potrebbero riguardare Nomi cose città di Arnaldo Greco o Beata ignoranza di Cosimo Argentina o altri libri che ricorderei a memoria se non ne leggessi troppi. Sul sito del mensile, alla sezione "le firme", potreste trovare non solo una mia biografia aggiornatissima ma anche una mia vecchia foto in cui indosso la barba e sono visibilmente ubriaco. Notizie più certe non posso darvene; vivere in una nazione diversa da quella in cui si viene pubblicati e letti non aiuta. Arrivederci.

martedì 9 febbraio 2010

L'Inter dei record

Beppe Baresi - vice di José Mourinho, fratello del grande capitano del Milan di Sacchi e cugino di un'amica mia - sostiene che quest'Inter è assimilabile a quella in cui giocava lui, la cosiddetta Inter dei record che con Trapattoni in panchina (e Zenga e Matthaeus in campo) frantumò la concorrenza vincendo lo scudetto dell'89 con quattro giornate d'anticipo e cinquantotto punti su sessantotto complessivamente disponibili. Magari, dico io: è una squadra che ricordo ancora con commozione anche da avversario e se l'Inter di Mourinho offrisse una replica potremmo sentirci tutti fugacemente più giovani di vent'anni. Per ora di sicuro la netta superiorità dell'Inter è testimoniata dal raro fermo immagine della pagina 289 di Televideo in quest'istante:


Come si può evincere dalla sesta e dall'ultima riga del palinsesto, quest'anno l'Inter è talmente forte che domani sera giocherà contemporaneamente per la Coppa Italia, contro la Fiorentina su Rai1, e in campionato, nel recupero contro il Parma su Radio1.

lunedì 8 febbraio 2010

I vecchi racconti di una volta

Da questa mattina è disponibile su Books Brothers un mio vecchio racconto: Cantico del demonio meridiano. Non ho nient'altro da dire al riguardo perché è tutto scritto lì.

giovedì 4 febbraio 2010

L'iPad è un sarchiapone

Bonjour, sul numero di Tempi in edicola oggi vi svelo tutti i segreti dell'iPad (cioè nessuno). Faccio inoltre notare che era già stato inventato nell'Ottocento e che risponde esattamente a un'esigenza espressa in tempi non sospetti da Jean-Jacques Rousseau.


mercoledì 3 febbraio 2010

Per chi tifo

[Giochino della serata: su Quasi Rete Valerio Migliorini lancia un'indagine introspettiva sulle ragioni del proprio tifo ("Bugno o Chiappucci? Bugno!") e invita gli altri sodali a fare altrettanto. Questa è l'articolata risposta che ho dato nei commenti, il mio esame di coscienza:]

Dunque, vediamo di ricapitolare anche se la mia coinquilina sta passando l'aspirapolvere e il rumore è tale che potrebbe anche sfuggirmi detto di essere interista, turcomanno e accanito lettore del Fatto Quotidiano.

calcio: Milan perché ero piccolo quando c'era Arrigo Sacchi (o, secondo un'interpretazione più complessa, perché mio padre è juventino). Poi la (non il) Bari per ragioni di provenienza e, sant'Iddio, il Modena perché è la città che amo. Butto sempre un occhio ai risultati del Pavia (università) ma dire che tifo è eccessivo. In Inghilterra l'Aston Villa, da quando nel 1990/91 si macchiò di un'eroica sconfitta in Uefa contro l'Inter (c'era David Platt all'epoca). In Francia il Paris St Germain perché sono ossessionato dalla Torre Eiffel. In Germania inizio a seguire il Borussia Moenchengladbach. In Spagna il Real Madrid, perché è monarchico, perché è il Milan senza strisce e perché sono amico di Nacho. Fra le nazionali, ho sempre avuto uno sguardo affettuoso per l'Uruguay mentre per l'Inghilterra mi regolo così: tifo a favore quando sono in Italia e contro quando sono qui. Da quando ho conosciuto Andrea Maietti e ho fatto lavoro redazionale sul suo Il secolo del guerriero non posso fare a meno di tifare per Fanfulla da Lodi, condottiere di gran rinomanza (che fu portato una volta in istanza, etc.). Tifavo Fidelis Andria ma ho smesso quando hanno rimosso il nome latino: chi si credono di essere, il Concilio Vaticano II?

ciclismo: Qui la faccenda si fa cronologica invece che geografica. Dal 1990 al 1998, Bugno. Pian pianino, dal 1994, s'è fatto strada Pantani per il quale tifo tuttora. Dal 2004 Cunego; ma ciò non significa che a seconda della corsa non possa seguire il singolo corridore che mi fa simpatia di volta in volta. E poi guardiamoci in faccia, il ciclismo è bello perché si tifa per tutti tranne Armstrong.

basket: Lottomatica Roma dai tempi in cui si chiamava ancora Messaggero. Non posso addurre alcuna motivazione plausibile. Però è stata l'unica squadra per cui tifo di cui abbia visto una partita, un playoff scudetto perso contro la Fortitudo Bologna che come diretta conseguenza e ragionevole punizione di lì a poco è fallita e ora gioca nei dilettanti. Anche qui do sempre un'occhiata ai risultati dell'Edimes Pavia ma dire che tifo è eccessivo.

pallavolo: Trenkwalder Modena, che domande.

rugby: Mi piace il gioco in sé; accordo una lieve preferenza al Petrarca Padova per ragioni di amicizia e per Sant’Antonio.

formula 1: Considerato che mi affeziono alle persone e non agli ingegneri non tifo a priori per la Ferrari anche se ovviamente mi fa piacere quando vince, soprattutto senza tedeschi. Tifavo Senna, buonanima; ho sempre preferito Massa, che è di Cerignola, a Raikkonen che è finlandese ma tifo sguaiatamente per Fernando Alonso, nonostante abbia la residenza a Oxford (nessuno è perfetto).

nuoto: In un articolo ho definito Alessia Filippi “bella pesciolona”, quindi fate voi.

atletica: Yelena Isinbayeva perché da un momento all’altro mi aspetto che salti nella mia finestra.

tennis: Quand’ero giovane ero innamorato di Martina Hingis, ma questo è un altro discorso.

Taekwondo, badminton, croquet, hockey su prato, sollevamento pesi e motociclismo non m’interessano più di tanto.

sci: Da quando ho scoperto che s'è rotta entrambe le ginocchia, ossia da ieri sera, tifo senza indugio per Nadia Fanchini. Un bacione.

Operazione gamba rotta (7)

Sui tassisti di Oxford, che due volte a settimana mi stanno portando da casa in ufficio e dall'ufficio a casa, potrei scrivere un libro. (Potrei se volessi; per fortuna non voglio). Tendenzialmente quelli europei (bianchi e neri) sono più gentili di quelli asiatici (indiani o mussulmani); attaccano discorso senza essere invadenti e mi consentono di scoprire faccende sorprendenti e talvolta preoccupanti nel quarto d'ora che ci vuole ad arrivare da un punto all'altro. Tutti mi chiedono cos'è successo alla gamba, ma è normale; contano di più tutte le conversazioni differenti che da lì si ramificano. Uno mi ha chiesto di dov'ero e, non contento di un generico "Italy" e di un meno generico "Southern Italy", ha prima voluto sapere il nome del paese e poi m'ha fatto un discorso da guida turistica sui Sassi di Matera e sul romanico barese. Un altro è partito dalla stessa domanda, s'è accontentato di sapere che sono del Sud e ha esclamato piuttosto a sorpresa: "Come la Salernitana!" - al che non ho saputo cosa rispondere ("Come anche il Campobasso e l'Ischia Isolaverde"?). Un terzo mi ha raccontato nel dettaglio tutti gli incidenti alle gambe che aveva avuto facendo sci d'acqua. Un quarto mi ha rivelato che due notti prima gli si era gonfiato l'alluce sinistro e aveva dovuto guidare tutto il giorno facendo pressione sui pedali col tallone. Nessuno di loro ha raggiunto la perspicacia del quinto, che senza chiedermi cosa mi fosse successo né dove né perché, è partito in quarta chiedendomi se mi piacesse vivere a Oxford e poi s'è direttamente risposto da solo: "Comunque negli anni a venire ogni volta che cambierà l'umidità e sentirai dolore all'osso rammendato ti ricorderai che ti sei rotto la gamba qui e dovunque tu sia odierai questo posto".

martedì 2 febbraio 2010

Candelora

L'Epifania tutte le feste porta via solo per i neopagani che credono alla Befana ma non in Gesù Cristo. Le feste della natività proseguono fino ad oggi, giorno in cui si celebra la Presentazione al Tempio (per certi versi, l'esordio pubblico di Gesù Bambino) e quindi si va in chiesa a fare la processione fra le navate portando in mano ognuno una candela da riportare poi a casa e conservare a mo' di protezione il resto dell'anno. Io ovviamente non posso andare da nessuna parte, senza considerare che ho seri dubbi che in Inghilterra facciano davvero la processione con le candele (per questioni etiche connesse al riscaldamento globale) e che comunque all'ultima festa di precetto in cui ho tentato di andare a lavorare ho fatto la fine che ho fatto, quindi meglio evitare rischi e star chiuso in casa incollato al divano con le zampe posate su due cuscini.

Parliamo d'altro. I più morbosi di voi avranno notato che ieri sera è brevemente apparsa qui di fianco, sotto la dicitura "sul comodino", la copertina dell'ultimo romanzo di Nick Hornby, repentinamente sostituita stamattina da quella di un'edizione inglese dell'Ulisse. Non significa che ho letto Hornby stanotte (stavo dormendo, una volta tanto); è successo che mi sono svegliato ricordandomi che oggi è la Candelora e che in tal caso è anche l'anniversario della nascita di Joyce. Da qualche parte al piano di sopra avevo questa edizione dell'Ulisse - e che edizione, è la ristampa anastatica di quella pubblicata a Parigi il 2 febbraio 1922, giorno del quarantesimo compleanno di Joyce ed esattamente ottantotto anni fa. L'editore era Shakespeare & Co., una minuscola libreria in riva alla Senna che ho visitato - o meglio ho trovato per caso - l'ultima volta che sono stato a Parigi. Insomma mi son detto che se c'era un giorno per ricominciare a rileggerlo, e tanto più in quest'edizione, era evidentemente oggi. Io sono una persona che ha in mente gerarchie ben chiare: continuo a credere che andare a Messa sia più utile che andare in ufficio e di conseguenza ritengo che Joyce sia meglio di Hornby.

In realtà le feste non finiscono nemmeno oggi poiché domani ci sarebbe San Biagio, con annessa benedizione delle gole (una ciascuno), ma è un altro discorso.

L'età del torto


Se non ricordo male Dickens iniziò il suo unico romanzo sul Settecento scrivendo "it was the best of times, it was the worst of times". Per capire meglio a cosa si riferiva, leggete sul Foglio di oggi il mio articolo intitolato Da Stanford arriva un libro sui bagliori mistici del Settecento: Chi è il visionario che ha preso a sportellate i vecchi teorici dell'Illuminismo. Smetterete di credere che sia stato un secolo noiosissimo in cui tutti avevano ragione.

lunedì 1 febbraio 2010

Operazione gamba rotta (6)


San Geminiano, io lo so perché tanta di quella neve hai fatto cadere ieri sulla tua città e sulla tua festa. Intendevi suggerirmi che non nevica solo a Oxford ma anche a Modena. Grazie, apprezzo il pensiero, tanto più che potrò vantarmi di essere stato vittima della più grande nevicata inglese degli ultimi vent'anni e causa dell'unica nevicata modenese il dì del Santo patrono negli ultimi cinquanta.

(Fra parentesi, io purtroppo sono stato a Modena tre anni ma ti ho festeggiato solo una volta. Niente di personale: quando mi dovetti trasferire a Modena mi fu detto di arrivare il primo febbraio, esattamente cinque anni fa ora che ci penso (sottoparentesi: non fossero mai passati); una volta lì faccio per informarmi sul giorno del Santo e mi viene detto che era il giorno prima.)

A meno che, San Geminiano, quello di ieri non fosse un trucchetto sulla falsariga di quello che - si dice - giocasti ad Attila tanto tempo fa, quando facesti calare su Modena una nebbia così fitta, ma così fitta che l'invasore non trovò la città e tirò dritto. Da chi volevi proteggere Modena ieri? Hai dei sospetti sul nuovo Vescovo? Hanno minacciato di chiedere a Mimmo Paladino di incartare il resto del Duomo dopo la Ghirlandina?

(Fra parentesi, l'unico San Geminiano che ho trascorso a Modena fu una giornata di sole glorioso, neanche freddissima. Uso il passato remoto perché ormai il passato è remoto. Da un anno avevo preso l'abitudine di svegliarmi presto ogni mattina e, prima ancora di colazione, scendere a comprare il giornale (sottoparentesi: Il Foglio, che domande) e a bere un caffè anzi uno specialino in via Farini da Willy, che ora ha la tabaccheria alla stazione piccola, dagli un'occhiata. Poi facevo due passi per metabolizzare il caffè e dare una scorsa ai titoli dirigendomi verso Piazza Grande, o facendo il giro da Piazza Duomo se avevo tempo. Quest'abitudine mi consentì di vedere l'allestimento delle bancarelle poco prima delle otto del mattino, e alle dieci di sera ero ancora lì a vederle smontate. Sia chiaro, San Geminiano, con tutto il rispetto ma non è che restai lì piantato tutta la giornata come un citrone; però fra una cosa e l'altra passai la gran parte della mattina del pomeriggio e della sera in giro ora da solo, ora con qualcuno ora con qualcun altro, e man mano che si passeggiava si incontrava altra gente e i gruppi si scioglievano e si rimescolavano e diventavano un unico enorme gruppo in cui ognuno conosceva qualcun altro e tutti festeggiavano San Geminiano. Riassunsi Modena in un'unica passeggiata. Andai anche a Messa ma il Duomo era talmente pieno che a metà dovetti uscirmene per non soffocare. La cosa più bella era che il giorno di festa non sembrava un'eccezione schiaffata lì per far contenta la plebe, sembrava che la gente ti festeggiasse perché era contenta tutto il resto dell'anno - ma magari era l'effetto dello specialino di Willy, bevuto a stomaco vuoto, che mi faceva ragionare così romanticamente.)

San Geminiano, resto convinto che tu abbia voluto dimostrarmi ieri che nevica a Oxford come nevica a Modena, conseguenza diretta del fatto che piove sui giusti e sugli ingiusti. Fatto sta che la gamba a Oxford me la sono rotta e a Modena no, sono dettagli che alla fine pesano.