venerdì 12 novembre 2010

Gianfranco Fini, sono il fantasma di Giovanni Malagodi ed ero il segretario del PLI (con la “P”). Sono qui a ricordarti che il glorioso Partito Liberale Italiano affonda le proprie radici nell’immediato post-Risorgimento, tanto che alla costituzione della Repubblica si decise di rifondare il partito che era stato sciolto sotto il ventennio fascista in segno di ideale continuità. Per quanto limitato nei suffragi, il PLI costituiva il contrappeso anticlericale da destra alla Democrazia Cristiana, ruolo che veniva simmetricamente svolto da sinistra dagli orfani di Mazzini del Partito Repubblicano Italiano o PRI (con la “R”). In fin dei conti cambiava solo una consonante e per l’elettore che non volesse turarsi il naso era abbastanza facile orientarsi. Lo stemma del PLI constava di una bandierina dell’Italia unita repubblicana (i cui colori sono, dall’asta, il verde il bianco e il rosso), su ciascuna delle cui sezioni era scritta una lettera maiuscola: P, L, I. Insieme ai dirimpettai repubblicani, il PLI costituiva il residuo nobile dell’Unità d’Italia e la riconosciuta aristocrazia della destra, come il PRI era l’avanguardia decente della sinistra. Tanto ho ricordato perché, di là dall’assonanza del nome, mi è parso che con FLI (con la “F”) tu abbia voluto smarcarti dal berlusconismo tanto quanto dal clericalismo. Bene. Ma ti sei guardato attorno? Al posto di Enrico De Nicola c’è Carmelo Briguglio, al posto di Luigi Einaudi c’è Fabio Granata, al posto di Benedetto Croce, autore di Indagini su Hegel e schiarimenti filosofici, c’è Luca Barbareschi, protagonista di Cannibal holocaust. Ma d’altronde non contano tanto gli uomini quanto la forza delle idee e, come hai egregiamente detto tu stesso, “gli uomini passano, le ideologie restano”. Tanto ho ricordato solo per chiederti di controllare se non hai mica invertito i soggetti.

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