domenica 31 gennaio 2010

La soppressione del posticipo

(Gurrado per Quasi Rete, nell'ambito dell'esperimento di scrittura collettiva 2010 l'anno che verrà)

Massimo De Luca ha quel consueto incedere elgante, sia quando parla sia quando cammina su e giù per lo studio de La Domenica Sportiva, che a Collovati e Bagni risulta oggettivamente difficile concepire che abbia partorito un’idea così machiavellica e che ne stia parlando seriamente a pochi minuti dall’apertura della puntata del 31 gennaio. “Dunque, in attesa che finisca il posticipo apriamo con un bel servizio su Cagliari-Fiorentina, le squadre che dominarono il campionato quarant’anni fa, i toscani nel 1969 e i sardi nel 1970. Poi la solita scaletta: Milan-Livorno, Roma-Siena, Sampdoria-Atalanta, il caso Cassano, qualche riflessione sull’opportunità di rinviare per neve Parma-Inter e un vecchio servizio di Saverio Montingelli sulle più spettacolari partite giocate su un manto bianco con pallone fosforescente. Dopo di che la moviola…”.

A questo punto Teo Teocoli dà voce a quello che il resto dello studio sta pensando: “De Luca, ma sei in andropausa? Il servizio su Juventus-Lazio lo mandiamo domani mattina?”. Collovati e Bagni annuiscono; De Luca aggira il loro divano e si protende alle loro spalle appoggiando le mani allo schienale: “Niente servizio, niente Juventus-Lazio, niente più posticipo né oggi né mai. Già sono riuscito a eliminare i ripetitivi servizi sugli anticipi del sabato facendo vedere soltanto la sequenza dei goal. Ora è la volta del posticipo. A calcio si gioca di domenica pomeriggio.” Collovati affila le erre e protesta: “Ma come sarebbe a dire, niente posticipo? E io e Bagni di cosa parliamo, di chiacchiere?”. “Parlate di quello che vi pare, basta che non citiate Juventus-Lazio nemmeno per sbaglio. E questo ovviamente vale anche per le settimane a venire, non si dice una parola su tutte le partite giocate fuori orario. Regia? Mi mandi la schermata della classifica? Ecco, togliete a Napoli e Genoa il punto conquistato ieri e togliete pure i tre punti vinti dal Bari sul Palermo. Poi andate a ritroso e togliete tutti i punti indebitamente distribuiti nel giorno sbagliato o a orari improponibili.”

Bagni ride. “Niente da ridere, Salvatore, al netto di tutti gli anticipi e posticipi risulterà la vera classifica della Serie A, quella delle partite in contemporanea e senza il vantaggio di sapere i risultati altrui o lo svantaggio di far sapere il proprio agli altri. A furia di non parlarne, a furia di non prenderlo in considerazione, il posticipo perderà progressivamente la sua presa sul pubblico e tornerà a essere quello che ci sembrava all’inizio: vi ricordate come reagiste quando sapeste che il 29 agosto 1993 Lazio-Foggia si sarebbe giocata alle venti e trenta? Si disse che era una stranezza e non sarebbe durata un mese. Ma se ci fossimo rifiutati allora di omologare quello 0-0 francamente moscio, se avessimo negato il punto in classifica a entrambe le compagini, il posticipo sarebbe rimasto nell’empireo degli esperimenti capricciosi e non ci troveremmo di fronte alla prospettiva di partite giocate all’ora di pranzo, di venerdì mattina o di lunedì notte. Noi ci chiamiamo La Domenica Sportiva, mica La Settimana Enigmistica. Se non parliamo del posticipo, domani non ne parleranno i giornali e non ne parlerà la gente. Così riguadagniamo la nostra centralità e abbiamo anche più tempo per parlare di sci, tennis e ciclismo.”

Daniele Tombolini, fino ad allora impegnato a misurarsi una nuova giacca a rombi fucsia, prende alfine la parola per esprimere un’obiezione di stampo pratico: “E dell’analisi tecnica di Adriano Bacconi che ne facciamo?”. Una luce diversa brilla negli occhi di Massimo De Luca; sembra che non stia più indossando i nuovi occhiali rettangolari iperfashion ma gli occhialoni che gli coprivano mezzo volto quando fu nominato erede di Roberto Bortoluzzi e coordinò le radiocronache delle partite ogni domenica pomeriggio dal 1987 al 1992.

Operazione gamba rotta (5)

Con notevole tempismo la scrittrice Marian Keyes - autore di opere immortali quali Nemiche del cuore, Sushi per principianti e Amare Mister Bastardo - ha scosso i lettori del Guardian e del suo blog rivelando di soffrire di un'acuta forma di depressione esattamente il giorno successivo alla mia frattura. Presumo che le due cose non siano correlate, se non per due dettagli. Il primo è che Marian Keyes a seguito della sua depressione passa le giornate esattamente come le passo io, ossia chiusa in casa tutto il giorno; solo che lei non riesce a leggere, non riesce a scrivere, non riesce a fare altro se non (mi pare) mangiare Nutella a ogni pie' sospinto - questo non l'ha detto esplicitamente ma basta guardare la sua foto. Il secondo dettaglio è che Marian Keyes, trovandosi nella necessità di fare un esempio pratico per spiegare come si sente, ha illustrato che "la depressione è una malattia e a differenza di, diciamo, una gamba rotta non si sa quando passerà". Ora, io che saltellando sulla gamba sinistra riesco a leggere, scrivere, cucinare, andare in ufficio e perfino litigare con la gente mi impegno a far guarire Marian Keyes esattamente nello stesso momento in cui guarisco io. Appena mi rimetto, appena mi restituiscono la seconda gamba, chiedo all'ospedale di tenere le stampelle e le uso come metodo di cura estrema sul corpo mortale di Marian Keyes, finché non guarisce dalla sua malattia immaginaria (o, se volessi usarle più a lungo, finché non dimagrisce).

venerdì 29 gennaio 2010

Zàcchete

Io Alberto Zaccheroni l'ho intravisto all'aeroporto di Fiumicino nel tardo pomeriggio del 19 dicembre ultimo scorso. Sarà che andavo di fretta (lui no), ma non sembrava avere la faccia di uno che arriva e salva la Juventus dall'annegamento.

(Ringrazio per la significativa istantanea lo juventino Francesco Savio)

giovedì 28 gennaio 2010

Operazione gamba rotta (4)

In mancanza di meglio, consoliamoci con le disgrazie altrui. Edgar Davids, noto ex giocatore della Juventus e - anche se è meglio dimenticarselo - pure del Milan, ha recentemente rilasciato un'intervista a FourFourTwo, menasile di calcio inglese quasi intelligente. Riporto una domanda e una risposta che mi hanno particolarmente colpito.

D: Nel 1996 sei stato comprato dal Milan e ti sei subito rotto una gamba. Com'è stato infortunarsi all'estero non appena avevi iniziato a lavorare per un nuovo club?
R: Quello è stato uno dei peggiori periodi della mia vita perché sei lì, non parli bene la lingua, stai seduto a casa davanti alla televisione e non capisci metà di quello che dice. Le prime due settimane non puoi muoverti perché hai paura di beccarti una trombosi. Quant'è stato brutto.

La cosa peggiore, interpretando il pensiero di Davids, è che in una situazione del genere pensi solamente alla tua gamba e all'eventualità che per qualche complicazione te la amputino o si stacchi da sola. Per fortuna di lì a poco ha avuto un glaucoma e quindi ha potuto pensare ad altro.

martedì 26 gennaio 2010

I Tory contro Bridget Jones


Sul Foglio in edicola oggi trovate un lungo articolo in cui spiego, come da sottotitolo: Che cosa c'entra Bridget Jones con la difesa della famiglia da parte dei Tory? Chiedetelo a David Willetts - il quale, come da titolo, è invece Un ministro del talento. Non preoccupatevi se leggendo qui non capite un'acca, è un'espediente per farvi comprare il giornale (costa un euro e trenta).

domenica 24 gennaio 2010

Operazione gamba rotta (3)

Io non ho mai particolarmente amato i weekend: primo perché non esistono (esistono invece il sabato e la domenica); secondo perché da quando sono andato via di casa per l'università (ero giovane) sabato e domenica erano i giorni in cui Pavia si svuotava di tutti i suoi studenti a parte me; terzo perché la domenica è stata creata per essere passata in famiglia e non in tuta a guardare il soffitto.

Con le stampelle l'avversione per i weekend si esacerba, paradossalmente visto che passando tutte le giornate allo stesso modo la differenza di sabato e domenica non dovrebbe notarsi. Fatto sta che verso il venerdì pomeriggio viene la malinconia al solo pensare che tutta l'Inghilterra smette di lavorare e non sono più l'unico a stare gambe all'aria, e ci si concentra a sperare che il lunedì arrivi in cinque minuti.

Probabilmente in un'altra nazione sarebbe differente. Qui il weekend serve a imporre la vita privata, separata e replicabile in infinite copie inconsapevoli l'una dell'altra, sulla vita pubblica, che nella fattispecie consiste nell'obbligo di lavorare fino al venerdì pomeriggio e di ubriacarsi dal venerdì sera. Avendo io già cinque giorni durante la settimana per curare la vita privata, i due conclusivi mi sembrano ridotti a inutile ammennicolo.

I tratti distintivi del weekend sono tendenzialmente due: chiesa e calcio. Non so se avete provato a seguire una messa inglese (cattolica intendo); fanno tutte venire la depressione. Quanto al calcio, notoriamente quello inglese è uno sport diverso che mi interessa relativamente. Mi interessa Tutto il calcio minuto per minuto, ma è impossibile ascoltarlo via internet perché in quelle due ore precise Radio1 viene oscurata fuori dal territorio italiano presumo per questioni legate ai diritti di trasmissione e bla bla bla, bla bla bla. Mi interessano Novantesimo minuto e La domenica sportiva ma già è tanto riuscire a vederle in netta differita, il lunedì o il martedì successivo.

Restano dunque questi due giorni vuoti in cui si finisce per scoprire che il deserto domenicale di Pavia era tuttavia movimentato, contemplando almeno la Messa in latino delle 9:30 more Pio V, il caffè in uno dei tre bar aperti, le partite su Sky e magari una passeggiata pomeridiana in piazza Vittoria per sincerarsi che non valesse la pena di andarci. (Non citerò le domeniche a Modena se no dite che sono ossessionato; però provate a passare una domenica a Oxford, la domenica dopo a Modena, la domenica dopo a Oxford di nuovo e poi ditemi se non diventate ossessi pure voi).

Restano dunque questi due giorni inutili distinti solo dall'ascolto dell'Angelus via internet; solo che quando il Papa concede la benedizione ci si rende conto di starsi facendo il segno della Croce davanti al computer e ci si sente un po' fessi.

giovedì 21 gennaio 2010

Operazione gamba rotta (2)

Ringrazio tutti per il sostegno e per gli auguri. Sorprendentemente, nessuno ha espresso rimpianto perché non mi sono rotto anche l'altra.

Quanto alla distinzione fra Paesi cattolici e protestanti, può sembrare paradossale ma non è capziosa. Ad esempio martedì sono andato in ospedale per i controlli dopo la prima quindicina di giorni e mi sono subito tranquillizzato. La sanità di un Paese protestante tende a rassicurare il paziente con infermiere che gli corrono incontro chiedendogli come sta appena entra in ospedale (è successo a me) o che gli urlano tre volte nell'orecchio se preferisce un sandwich al prosciutto o al tonno (non è successo a me ma a un anziano che doveva essere un po' sordo). La sanità di un paese educato tende a rassicurare il paziente complimentandosi per il suo ottimo inglese (è successo a me, sto ancora cercando di capire se è vero) e dicendogli che con una nevicata come quella del 6 gennaio solo una sparuta minoranza non s'è rotta qualche osso. La sanità di un paese razionale tende a rassicurare il paziente chiamandolo per i raggi X all'ora precisa dell'appuntamento prestabilito e poi lasciandolo per quaranta minuti a riposarsi in una stanzetta singola in compagnia del confortante pensiero che se il medico non corre a dirgli qualcosa o questi non sa leggere i raggi X, ed è improbabile, o più plausibilmente non c'è niente di urgente né grave da comunicare, quindi - mai come in questo caso - calma e gesso.

Quando il medico finalmente è arrivato non aveva tempo di chiedermi se fossi tranquillo, ma nel caso avevo già la risposta pronta:
"Sa quando mi sono tranquillizzato?"
"Quando l'infermiera le ha chiesto come stava."
"No."
"Quando i raggi X..."
"No."
"Quando nella cameretta singola..."
"No. Vede la porta?"
"Sì, è una porta."
"Mi sono tranquillizzato quando ho letto cosa c'è scritto sopra."
"Room 10?"
"No, più in alto. Il numero di matricola della porta."
"29.G.09."
"Ecco. Ora, G. sono evidentemente io, inutile che stia a spiegarlo. 29 è San Michele, il patrono di Gravina in Puglia, il borgo natìo. 09 è San Siro..."
"Il Milan?"
"Anche, ma soprattutto il Santo del giorno in cui sono nato nonché patrono di Pavia, il posto dove ero andato a chiedere un depliant alla segreteria della locale università e mi sono trattenuto sette anni. Evidentemente, stando fra San Michele e San Siro, G. non poteva che stare benone."
"Capisco. Devo dedurre che lei è cattolico?"
"Sì."
"Chiamo il Mental Health Hospital".

martedì 19 gennaio 2010

Operazione gamba rotta

(Gurrado per Quasi Rete)

“In tanti anni di carriera
non ho mai avuto nemmeno una contrattura.”
“Hai avuto culo.”
(Salvatore Bagni e Teo Teocoli,
La Domenica Sportiva, 10/1/2010)

Allora faccio outing: da due settimane languisco in gesso e stampelle con la gamba destra fratturata e da allora non riesco a guardare una partita di calcio senza temere che tutti e ventidue i partecipanti, ventitré con l’arbitro, finiscano in carrozzella al pronto soccorso entro il quarto d’ora della ripresa. Curiosamente da quando un incidente piuttosto ridicolo mi ha dimostrato che sono più vulnerabile del previsto ho derivato il timore che tutti fossero all’improvviso più vulnerabili di come me li immagino. Una gamba fratturata non è niente di gravissimo alla mia età, e considerato che non mi fa molto male e che (spero) la convalescenza procede per il meglio non c’è bisogno di fare tragedie. Tutt’al più si possono trarre alcune lezioni salutari per il presente e per il futuro, approfittando delle lunghe ore di riflessione forzata dovute al permesso di stare a casa dal lavoro, con la gamba destra poggiata in alto così e così.

1. Lo sport è l’esaltazione del corpo nel miglior senso del termine, in quanto porta ad assistere con emozione crescente al progressivo superamento dei limiti che ognuno di noi riconosce come propri. Banalmente, io so che non potrò mai correre i 100 metri in 9 secondi netti (in queste condizioni, nemmeno in un quarto d’ora) e quindi mi emoziono ogni volta che vedo un uomo come me che si avvicina al limite irraggiungibile: arrivare nell’istante in cui parte. Con una gamba per aria si impara che lo sport, il movimento, l’attività fisica sono cose che vanno praticate prima che sia troppo tardi, anche quando non coinvolgono delle signorine. Con una gamba per aria nessuno può permettersi di sentirsi pigro.

2. Lo sport ha un fattore di rischio che viene sottovalutato. Quando critichiamo i grandi atleti perché rendono al di sotto delle aspettative tendiamo a dimenticare che anche il loro fisico ha dei limiti e sembriamo sorprenderci quando il loro corpo cede. L’infortunio è parte dello sport così come la morte è parte della vita (questa la metteranno nella ristampa dei Baci Perugina). Noi abbiamo una concezione televisiva dello sport quindi identifichiamo l’infortunio con il momento in cui sentiamo crac e vediamo l’atleta contorcersi dal dolore. Il peggio dell’infortunio, se possibile, arriva dopo: quando bisogna aspettare settimane o mesi senza che nessuna telecamera riprenda il lento, l’incerto progredire. Basta rompersi una gamba per caso e improvvisamente la concezione dell’infortunio altrui cambia: non è più solo un momento doloroso ma soprattutto un mese noiosissimo.

3. Questo vale per i giovani in particolare: ci si lamenta sempre troppo quando qualcun altro va lento, sia in auto sia a piedi sia in senso metaforico. Essere costretti a saltellare per raggiungere il frigorifero, dover programmare di far pipì solo quando la strada per il bagno è sgombra, escogitare maniere sempre nuove di infilarsi un pantalone e dover prendere mezza giornata di ferie per cambiarsi una mutanda fa improvvisamente capire che se dietro ci fosse qualcuno che mette fretta l’unica risposta corretta sarebbe di tirargli una stampella sul naso.

4. Uno dei passi del Vangelo più difficili a interpretarsi è Giovanni 21, 15-18. Gesù è risorto e sta parlando per l’ultima volta con Pietro; tre volte lo interroga chiedendogli “Mi ami tu?” e raccomandandogli “Pasci i miei agnelli, pasci le mie pecorelle”. E poi senza soluzione di continuità fa un salto logico tramortente e continua: “In verità, in verità ti dico: quando eri più giovane ti cingevi la veste da solo, e andavi dove volevi, ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti cingerà la veste e ti porterà dove tu non vuoi”. Non ci ho mai capito niente ma a seguito del mio infortunio io l’interpreto così. Con una gamba in meno, per quanto temporaneamente, ci si rende conto che non si può essere sempre pastori ma bisogna anche rassegnarsi a essere pecorelle, e che non si può essere eternamente giovani ma bisogna esercitarsi a essere vecchi. Ci si abitua a capire che non si può volere tutto da tutti. Si familiarizza col corollario che del gran numero di persone che si conosce solo un’esigua minoranza è di buoni pastori, però ci si consola che per quanto pochi ci ameranno per sempre.

5. A questo punto vorrete sapere come mi sono rotto. Niente sport, purtroppo. Stavo andando al lavoro e cinquanta metri prima di raggiungere la porta del mio ufficio sono scivolato sui trenta centimetri di neve caduti sull’Inghilterra la notte prima. La superficie della neve era uniforme, il marciapiede lì sotto evidentemente no: io sono andato da una parte e la mia gamba dall’altra (un po’ come la barzelletta in cui una vecchietta in automobile chiede al vigile: “Scusi, la strada più breve per il cimitero?” “Alla prima curva vada dritto”). Il dettaglio sconfortante è che tutto ciò è accaduto la mattina del 6 gennaio; se fossi stato in Italia sarebbe stato un giorno festivo e sarei rimasto a casa mia a godermi entrambe le gambe. Ecco cosa si guadagna a lavorare in un Paese protestante.

Tramonto della Repubblica

(Bettino Craxi, 24/2/1934 - 19/1/2000)

venerdì 15 gennaio 2010

Pacebook

Dopo Obama, arriva la proposta di insignire internet del Nobel per la Pace. Si vuole istituire la tradizione di assegnarlo a entità immaginarie?

mercoledì 13 gennaio 2010

Sistemi politici comparati

L'Italia, com'è noto, geme sotto una dittatura. La Gran Bretagna è invece la patria della libertà (nonché dell'amore, ma è un altro discorso): al momento non si sa ancora se e quando si vota nel 2010 in quanto lo scioglimento della House of Common viene deciso dal Primo Ministro. Ne consegue che a stabilire se e quando Gordon Brown se ne andrà sarà un suo potente alleato: Gordon Brown. Non c'è una lunghezza fissa per la legislatura. Si sarebbe potuto votare a maggio 2007, quando s'è dimesso Blair facendosi sostituire da Gordon Brown (e dal più potente alleato di Gordon Brown: Gordon Brown); la prassi è che il Primo ministro non viene eletto ma nominato dalla Regina; costei abitualmente accorda l'incarico al capo del partito che ha vinto le ultime elezioni, anche nel caso in cui le ultime elezioni si fossero svolte due anni prima. Brown sembra orientato per votare a marzo, in maniera tale da cogliere i Conservatori di sorpresa e senza un programma preciso: ma i suoi consiglieri gli suggeriscono di pazientare fino a maggio, così da sfruttare appieno l'inarrestabile rimonta dei Laburisti segnalata dagli ultimi sondaggi (da -10% a 9%). D'altra parte la Gran Bretagna ha un sistema di voto tutto suo e soprattutto non è un Regno bipolarista: alla House of Common sono rappresentati 16 partiti (quasi il triplo dell'Italia), di cui tre in doppia cifra percentuale. Sarebbe plausibile (è il mio pronostico, segnatavillo) che i Conservatori prendano più voti degli altri partiti ma non abbastanza seggi da avere una maggioranza - ossia la metà più uno della House of Common. A quel punto si finirà a un governo di coalizione Lib-Lab, ossia con i Laburisti appoggiati dai Liberali, che è un po' come dire Belzebù appoggiato da Beppe Grillo. Il gabinetto potrebbe essere presieduto da un laburista à la page come David Miliband, il quale politicamente ha tre innegabili pregi: 1) Hillary Clinton lo trova sexy; 2) è un convinto assertore del riscaldamento globale (qui c'è neve da dieci giorni); 3) ha una faccia più intelligente di quella di suo fratello Ed, ministro del climate change (versione politically correct del "ministro dei temporali" cantato vent'anni fa da Fabrizio De André). A questo punto l'unica residua tenue speranza di salvare la Gran Bretagna da sé stessa va riposta in due persone. Una è l'unico alleato di Gordon Brown e come tale peggior nemico di David Miliband: Gordon Brown. L'altra è il miglior alleato del leader dei Conservatori David Cameron: Gordon Brown.

martedì 12 gennaio 2010

Siamo pazzi di Phillip Blond

Sul Foglio di oggi presento al gentile pubblico Phillip Blond, consigliere di David Cameron e direttore del think tank Res Publica. Blond è un teologo; detesta le grandi catene di supermercati, è fratellastro dello 007 Daniel Craig ("Blond, Phillip Blond") e ritiene che i Tory abbiano una tradizione altruista che superi il liberismo di Margaret Thatcher e risalga fino a Salisbury ed Edmund Burke. Insomma quest'uomo sta cercando di convincere i conservatori che sono un partito di sinistra.

lunedì 11 gennaio 2010

Domenica sprint (3)

In questa rara testimonianza filmata si rivela che in realtà ha vinto la Juventus. "Ultima classica del campionato nello Stadio Comunale": vent'anni fa Carlo Nesti non sapeva che avrebbe dovuto ricredersi ora che il Delle Alpi non esiste più. Insomma la storia è capricciosa e i 3-0 vanno e vengono. Qui il Milan di Berlusconi viene messo ko da (cito) "l'asse sovietico Alenikov-Zavarov". Notate il commovente calendario di carta (e compilato a mano) fissato ai muri dello spogliatoio alle spalle dell'avv. Chiusano. Ciò nonostante la Juventus cambia allenatore. Interviste di Giampiero Gaelazzi:

giovedì 7 gennaio 2010

Scribi e farisei 2009

(Gurrado per Books Brothers)

È stata una buona annata. Uno cambia lavoro, nazione, ritmo della giornata e abitudini alimentari paventando il peggio, lamentando che da persona cazzutamente abitudinaria smarrirà la minima capacità di scandire le giornate e i mesi con i libri e preconizzando che il risultato delle variazioni insopprimibili sarà un calo vertiginoso di ciò che legge. Poi arriva il 31 dicembre, faccio i miei conti grazie alla lista dei libri letti che aggiorno dal 1996 – quanto si invecchia – e mi accorgo che è stata una buona annata perché quest’anno sono 141, da Né qui né altrove di Gianrico Carofiglio ad A passo d’uomo di Joaquim Navarro-Valls. Soprattutto è stata un’ottima annata quanto alla qualità della lettura, dovuta a un arroccamento su posizioni ultraitaliane, dovute indubbiamente al trasferimento all’estero, così che ho finalmente trovato tempo e modo di leggere i classici patri della seconda metà del Novecento che avevo trascurato. Ripercorrendo la lista dei libri letti nel 2009 dunque non sono solo contento perché il numero è ben superiore al misero 115 del 2008 e all’imbarazzante 102 del 2007 ma anche perché in molti casi ho soffermato lo sguardo su un punto della lista dicendo: però, questo libro m’è piaciuto assai. Anche le riletture sono state di gran classe, quest’anno: spaziano dall’antichità (Petronio, Lucrezio) ai megaromanzi sperimentali di ogni tempo (Beckett, Trilogy; Sterne, The life and opinions of Tristram Shandy) alla postmodernità più spinta (Arbasino, Super-Eliogabalo; Eco, Il nome della rosa) e su tutti campeggia I promessi sposi, uno dei libri che non bisognerebbe mai leggere ma sempre rileggere – come Woody Allen diceva di non voler sposarsi ma solo divorziare.

Riletture a parte, tanta abbondanza mi consente di selezionare addirittura 24 libri (due per mese) che sono orgoglioso di aver letto quest’anno. Sapendo che bisogna massimizzare i prodotti della prosperità in vista dei tempi di carestia, li elenco in ordine crescente di insindacabile piacere intellettivo e dividendoli sommariamente per criteri basilari: quelli letti in italiano e quelli letti in altra lingua; quelli scritti da autori italiani e quelli da autori stranieri; quelli i cui autori sono vivi e quelli i cui autori sono morti.

(Una parentesi a parte merita il Premio Tempo Perso, ossia il libro che avrei preferito non leggere risparmiando così due o tre ore preziose. Poiché sono generoso, lo assegno ex aequo a dodici concorrenti senza distinzione di categoria, poi ve la vedete voi: Eat Pray Love di Elizabeth Gilbert; Addio alle armi di Ernest Hemingway; Friction di Jonathan Stretch; L’Italiano di Sebastiano Vassalli; Martin Eden di Jack London; Non avevo capito niente di Diego De Silva; Atlante occidentale di Daniele Del Giudice; Canne al vento di Grazia Deledda; Tanatoparty di Laura Liberale; Venuto al mondo di Margaret Mazzantini; Il seme della colpa di Christian Lehmann; L’armata dei fiumi perduti, spiace dirlo, del compianto Carlo Sgorlon).

Partendo da sotto, Palomar (24°) è forse il testo migliore di Calvino, che solo in una postilla si lascia andare alla compiaciuta spiegazione del criterio col quale ha ordinato le sue storie, rovinando così al lettore la gioia ingenua di vedersele sciorinare davanti secondo un ordine che si può intuire senza capirlo – un tempo si insegnava che in questo risiedesse il piacere estetico. Il piacere di leggere Half a Life (23°) di V.S. Naipaul è stato meno letterario che egoistico, banalmente dovuto al desiderio di sapere come la trama procede e quanto il protagonista somiglia al lettore (effetto simile ha sortito Prima di sparire di Covacich); mentre proprio la trama è forse il peggior difetto in Io, Gesù (22°) di Gilbert Sinoué, quando le meravigliose descrizioni dei paesaggi della Galilea e la modulazione dei sentimenti contraddittori di chi si trova a vivere fianco a fianco con un mistero inafferrabile deve lasciare spazio alla soluzione simil-giallistica di una risurrezione (forse) senza morte. Pugni (21°) di Pietro Grossi, comprato per caso all’aeroporto di Linate, si è rivelato un esordio non sopravvalutato affatto, vista l’ottima capacità di calibrare i racconti lunghi ora che tutti i giovani pendono verso una tendenza all’accorciamento deleterio per manifesta carenza di respiro narrativo. Gli uccelli (20°) di Daphne Du Maurier non ha bisogno di giudizi critici ma conferma la stessa capacità calibrativa di Grossi moltiplicata per dieci, sceverata da ogni ingenuità e raffinata da scelte lessicale talmente meditate che nemmeno la traduzione potrebbe riuscire a rovinarle.

Christian Frascella mi ha restituito con Mia sorella è una foca monaca (19°) la curiosità e la fame di lettura dopo la consueta pausa per le due settimane estive (altrimenti impazzirei) e ha il merito di averlo fatto prima ancora che ripartissi a fine villeggiatura, costringendomi a trascorrere un pomeriggio apposito alla Mondadori di Rimini. Ascrivo una curiosa doppietta a Piovene, in quanto Viaggio in Italia è un libro abbastanza grosso e complicato da piazzarsi sia 18° in quanto saggio onnicomprensivo e ricco di rivelazioni sconvolgenti per la loro evidenza fino ad allora nascosta, come ad esempio l’idea di Bari e Genova città simili delle quali la più meridionale sembra Genova; sia 17° in quanto opera di un autore italiano morto che si rilegge ancora troppo poco ma che riesce a concentrare ottocento pagine sotto un unico sguardo narrativo tale che il lettore del Viaggio accompagni sempre l’ombra dell’autore che attraversa l’Italia con impermeabile e valigia. Piccolo e delizioso, Il libraio che imbrogliò l’Inghilterra (16°) di Roald Dahl ha dovuto essere assaporato parola per parola in maniera tale da cogliere appieno l’aria paradossale dei due racconti che contiene, grazie anche alla nobile traduzione del sempre ottimo Massimo Bocchiola (uno che, tanto per dire, non si spaventa di tradurre Thomas Pynchon e poi, nelle pause, va a fare due chiacchiere alla libreria Il Delfino al centro di Pavia). Un’aria meno leggera ma più ipnotizzante si respira nella raccolta È forse amore (15°) di Giuseppe Berto, che si muove dallo sfacciato ma plausibile presupposto espresso in prefazione, ossia la consapevolezza di essere l’autore migliore della propria generazione e di doverlo comunque dimostrare a ogni libro.

Il tempo materiale (14°) di Giorgio Vasta è bello e gelido ma patisce la prolungata assenza della minima concessione umoristica, correndo il rischio di far scoppiare qua e là a ridere in sacrilego contrasto con le intenzioni dell’autore. In ogni modo, se c’è uno scrittore capace d’impegnarsi a fotografare la contemporaneità italiana, è Vasta e non Saviano. L’opposto accade con Ritratto di una poltrona (13°) di Clio Pizzingrilli, in cui la credibilità della trama, l’affidabilità dell’autore e il senso stesso della narrativa vengono messi in discussione dall’enorme capoverso di 146 pagine che procede per “lampi e cantonate” come diceva ai suoi tempi Pirandello. Antonio Delfini è di Modena; anzi, per certi versi Antonio Delfini è Modena almeno a giudicare da Autore ignoto presenta (12°) che vi assicuro riesce a ricostruire nei dettagli l’aria morbida della città. Peccato solo per la discontinuità della selezione antologica, che serve soprattutto a sprone per riscoprire Delfini come autore integrale ormai consegnato alle biblioteche (una, accidentalmente la più bella dell’universo, è quella intitolata a lui in Corso Canalgrande). La stessa operazione riesce a Enrico Brizzi ne Il pellegrino dalle braccia d’inchiostro (11°), col vantaggio che la disinvolta riproduzione della mentalità emiliana viene inchiodata a una storia di sudore e redenzione sulla Via Francigena, che affronta i temi più caldi del cattolicesimo e, di conseguenza, dell’uomo tout court con una narratività vivace che si rifà dritta dritta agli exempla medievali. Anche Bernard Malamud parla a nuora perché suocera intenda ne Gli Inquilini (10°), dove la storia dei due scrittori rivali che si dividono un palazzo diroccato è buona per chi non ha mai scritto; la felice minoranza che sa tenere la penna in mano si rende conto invece che il succo del libro va cercato fra le righe, in quello che i due personaggi-autori segregati e un po’ folli non riescono a esprimere con la propria scrittura.

Di Malamud si è sempre detto allievo Philip Roth, che ha evidentemente superato il maestro e costituisce la prova vivente che il premio Nobel è meglio non vincerlo mai. Exit Ghost (9°) l’ho letto in lingua originale ma senza aspettare di andare in Inghilterra, comprandolo e sbafandolo anzi già in patria perché dopo il tour de force sintattico di Everyman non riesco più a concepire Roth se non nelle stesse identiche parole che sono uscite dalle sue mani, senza traduttore intermediario. Solo un’altra persona riesco con altrettanta vivacità a immaginare impegnata nell’atto di scrivere forsennatamente. Oriana Fallaci è l’unica giornalista che funzioni anche da romanziera, capace di scrollare il lettore per la collottola e costringerlo a leggere ogni giorno più di quanto avesse preventivato; in particolare, la saga plurisecolare Un cappello pieno di ciliegie (8°) sembra la moltiplicazione per un multiplo indefinito del disperato legame vitale fra generazioni che la Fallaci aveva mostrato al microscopio nella Lettera a un bambino mai nato. Non avevo mai letto niente di J.M. Coetzee ma Vergogna (7° e miglior straniero vivente) è bastato a farmi decidere di leggere tutto il resto, con calma e partendo dall’anno venturo.

Le interviste impossibili (6°) di Giorgio Manganelli sono uno dei pochi libri capaci di insegnare qualcosa di nuovo, sia per quel che concerne termini ormai desueti (o forse mai usati) sia per l’illuminazione di concetti paradossali come Dickens che ammette di sghignazzare mentre descrive le peggiori disgrazie dei bambini più indifesi. Intuizioni se ne trovano a quintali in Bolle (5° e miglior saggio), primo volume della trilogia Sfere che il filosofo tedesco Peter Sloterdijk ha composto anni fa e che solo ora viene con colpevole ritardo tradotto in Italiano. Di Sloterdijk ho abbondantemente parlato altrove quindi non mi addentro nel suo pensiero ma mi limito a notare che anche in questo caso si parte dalla sana ambizione di dire qualcosa di grande e di nuovo, senza la quale non si scriverebbero mai più libri interessanti per davvero. Invece Rimini (4°) di Tondelli deve la sua bellezza alla scelta opposta: scendere a compromessi, tentare di scrivere un libro che seguisse i gusti del pubblico e, senza che questo se ne accorgesse, guidarlo verso una concezione estetica tutta diversa.

Enrico Brizzi è il più bravo scrittore italiano al momento, altrimenti non mi capaciterei di come abbia potuto scrivere L’inattesa piega degli eventi (3° e miglior italiano vivente). È un romanzo che ha tutto: il rigido criterio di causa ed effetto della storia; l’immaginazione sfrenata; un protagonista che si fa amare; una trama dall’esito incerto; un umorismo implicito che non è mai sopra le righe. Un coraggio tramortente anima la Piccola cosmogonia portatile (2°, miglior straniero morto e migliore in lingua originale) di Raymond Queneau. Nonostante la pessima edizione italiana – un refuso nel frontespizio; una traduzione metrica raccapricciante; un commento di Calvino che sostiene che l’inizio del De rerum natura si trovi invece nel IV canto – il testo originale mi ha fatto smarrire felice nella selva di citazioni più o meno evidenti: ad esempio, quella dall’inizio del De rerum natura, dove l’“Aeneadum genetrix” diventa un controverso “Aimable banditrix”, o quella che descrive la terra “pâle et blette” come all’inizio della Genesi è “senza forma e muta”. Di là dall’evidente confronto con l’impegnativo antenato Lucrezio, Queneau fa almeno due cose geniali: riduce la storia dell’uomo a un distico fulminante (“le singe sans effort le singe devint homme / lequel un peu plus tard désagréa l’atome”) e fa entrare la storia dell’universo dalla nascita della terra ai computer in sei canti composti integralmente di versi alessandrini dalla rigida cesura mediana, dimostrando che la parola serve a mettere ordine in un mondo apparentemente caotico.

Il miglior libro del mio anno è stato Aprire il fuoco (1° e miglior italiano morto) di Luciano Bianciardi. Non è il suo miglior romanzo, tecnicamente parlando, ma è quello che ho sentito più vicino al mio cuore e che ho provato l’istinto a rileggere subito dopo averlo finito. Questo vale più di mille recensioni.

lunedì 4 gennaio 2010

Io sono un Pirlo

Il programma di oggi prevede partenza da Bari nel pomeriggio, una serie di controlli antiterrorismo che nemmeno se mi chiamassi Al-Gurradi, una sosta all'aeroporto di Linate che potrebbe essere prolungata anche per tre giorni visto che sta nevicando, con conseguente arrivo in Inghilterra rimandato a seconda dell'interstizio lombardo.

Poiché ho varie cose da fare invece di perdere tempo con voi, vi intrattengo facendovi leggere il parallelo fra me e Pirlo (il calciatore, non l'aperitivo) fatto sul suo blog da Francesco Savio: "Approfondendo la prosa di Gurrado in questi mesi ho avuto conferma della somiglianza fra lui e Pirlo, in particolare ho notato come certi periodi del Gurrado siano straordinariamente simili a quel modo tutto suo che ha Pirlo di proteggere il pallone, girando su sé stesso per 180 o 270 gradi, esasperando con la sua tecnica il rozzo centrocampista della squadra avversaria". Se volete leggere il resto del papiro potete leggerlo direttamente sul blog di Savio; il quale dopodomani 6 gennaio sarà ospite di Fahrenheit su Radio3 per presentare il suo romanzo Mio padre era bellissimo (Pequod Italic).