martedì 28 febbraio 2012

L'Italia è un Paese strano (parte seconda). Ieri e avantieri è andata in onda su Rai1 una stucchevole fiction su Walter Chiari di cui ho visto solo la prima parte, combattendo col sonno e non ritenendo che la buona immedesimazione di Alessio Boni fosse sufficiente a trattenermi anche la sera successiva. I momenti più interessanti erano quelli in cui, per rendere l'idea del vertiginoso successo di pubblico, venivano riprodotti i manifesti teatrali dell'epoca sostituendo il sembiante di Boni a quello di Chiari all'interno dell'immutato schema grafico; lo stesso accadeva in un paio di circostanze con la televisione, così che si intravvedesse il contemporaneo Boni irrompere in bianco e nero dagli schermi sistemati in case di famiglie anni Cinquanta a colori. Questo aveva senso in quanto creava un effetto di scatole cinesi metatelevisive; non aveva molto senso, invece, la fiction in sé, per un motivo elementare. La fiction come genere ha un target televisivo, in quanto ne fruisce esclusivamente un pubblico abituato a guardare la tv  prono a identificare la realtà con lo schermo; non a caso, buona parte delle fiction è basata su una storia vera: Giovanni Paolo, I, il Grande Torino, Gino Bartali, Giuseppe Di Vittorio, eccetera. In compenso la fiction inserisce degli elementi inventati - di solito all'interno di una grande storia d'amore, ma non nel caso di Giovanni Paolo I - che favoriscono l'interesse del pubblico terra terra, quello che è interessato esclusivamente allo sviluppo delle trame ma non riesce a comprenderne di troppo complesse, in cui non ci si bacia né ci si spara. Anche in questo caso può avere senso, visto che l'obiettivo della fiction è avvicinare alla portata di un pubblico esclusivamente televisivo porzioni della cultura nazionale che esulano dallo schermo: per esempio non esistono immagini del conclave che ha eletto Giovanni Paolo I e quindi la fiction deve mostrarle (inventate) per renderle reali. In queste circostanze il falso è un necessario momento del vero. Non nel caso di Walter Chiari, però, visto che in larga parte la prima metà della fiction ha inseguito vanamente la riproduzione pedissequa di ciò che era già disponibile negli archivi Rai, e che quindi era già a disposizione di un ideale pubblico assolutamente ed esclusivamente teledipendente. Se il tentativo era quello di raccontare l'uomo Walter Chiari nascosto dietro il comico, il tentativo è fallito perché la fiction era scritta malissimo e dava l'idea di una certa sciatteria nella ricostruzione. Se si tentava invece di raccontare Walter Chiari a tutto tondo, puntando sulla sua immagine pubblica - l'avanspettacolo, la televisione, i romanzetti sui rotocalchi - l'esperimento era a priori destinato al fallimento perché sarebbe stata la riproduzione di una riproduzione nella speranza che il pubblico trovasse la copia della copia più vera della copia dell'originale. Ora, va bene che il pubblico della tv non brilla per acume, ma di sicuro conserva quel minimo buon senso che gli permette di distinguere l'oro dalla bigiotteria. Sarebbe bastato un documentario.