domenica 27 maggio 2012

Ieri pomeriggio, passando per caso di fianco all'Università di Pavia, ho notato una quantità di persone seduta sull'erba ad ascoltare il magistrato Antonio Ingroia. La presenza sul palco del magistrato Antonio Ingroia era segnalata dallo sventolio di bandiere della sezione studentesca di un noto partito politico. In realtà, nel momento in cui passavo, non stava parlando il magistrato Antonio Ingroia bensì il giornalista Saverio Lodato, il quale - mi sono fermato un minuto ad ascoltare per bassa curiosità - stava dicendo che forse non tutti sanno che in parlamento siedono onorevoli indagati per reati mafiosi, fra i quali spicca il presidente del Senato Schifani. Ora,  parte che a quanto ne so io il presidente del Senato Schifani è indagato per concorso esterno in associazione mafiosa, l'interessantissima chiave di volta della concione del giornalista Saverio Lodato era che in Italia l'asticella della legalità dev'essersi abbassata di molto se si consente a degli onorevoli indagati di sedere ancora in parlamento per il solo fatto che i processi intentati contro di loro non siano ancora giunti a sentenza definitiva di terzo grado. Si tratta di una visione innovativa della giurisprudenza italiana in quanto, se si segue il ragionamento del giornalista Saverio Lodato, per i parlamentari indagati deve vigere la presunzione di colpevolezza e, soprattutto, per gli stessi parlamentari non bisogna attendere il terzo grado di giudizio come invece per i cittadini che hanno la fortuna di non essere parlamentari. Il magistrato Antonio Ingroia, che ha passato la vita sui codici, avrebbe avuto tutta la competenza di far notare l'incongruenza giuridica, ai confini dell'incostituzionalità, che viziava l'appassionato lambicco del giornalista Saverio Lodato. Invece è rimasto muto, assiso con le mani in tasca sotto il sole che si avviava al più romantico tramonto; mi chiedo pertanto, e chiedo a giuristi più versati di me in cotali diatribe, se per il magistrato Antonio Ingroia possano configurarsi gli estremi dell'incriminazione per concorso esterno in sesquipedale cazzata.