lunedì 21 maggio 2012

Massimo Gramellini mira a diventare il nuovo Saviano non solo nella produzione di oracoli che, adeguatamente ridotti a fascetta di questo o quel libro, diventano altrettante patenti di leggibilità ma anche anzi soprattutto nella monopolizzazione dei sensi di colpa. Su La Stampa di oggi, a pagina 1 e 44, Gramellini si morde il labbro per essere andato ieri, munito di felpa granata d'ordinanza, allo stadio comunale per festeggiare la promozione del Torino mentre l'Italia veniva giù a colpi di bombe e terremoti.

Si tratta, ho notato, di una tendenza piuttosto diffusa sui quotidiani odierni: sminuire la portata di un'impresa sportiva ritenendo che l'acchito della morte su vasta scala, e spettacolare, debba far figurare ingenuo e infantile chi ha via via esultato in cuor proprio per il ritorno in serie A del Torino, il ritrovato podio di Valentino Rossi, la promozione del Pescara di Zeman, la vittoria di Maria Sharapova agli Internazionali di Roma e il primo trofeo conquistato dal Napoli dopo il tramonto di Maradona. La morte è la morte e lo sport è lo sport, l'una è una cosa seria e l'altra è un gioco, non si possono, non si devono - sostengono i soloni dal cipiglio volitivo - mescolare i due piani inconciliabili. Chi esulta per un goal (o un ace, o una bandiera a scacchi) mentre tutti sono impegnati a sforzarsi di provare affetto per persone che non conoscevano o simpatia per luoghi che ignoravano merita di essere trattato alla stregua di un incivile.

Non è vero. Alle 15:18 di ieri stavo ascoltando Tutto il Calcio Minuto per Minuto quando si sono succeduti eventi tumultuosi. Il cronista di Sassuolo-Reggina ha chiesto la linea per segnalare che a Modena si era avvertita un'ulteriore forte scossa, con conseguente panico fra gli spettatori. La scossa, a pochi secondi dall'intervento, si era propagata fino a Pavia facendo tremare il pavimento sotto la mia sedia (abito a un secondo piano alto, che sovrasta il terzo di tutti gli edifici circostanti). Intanto era arrivata la notizia che Damiano Cunego si era precipitato giù per la discesa di Valcava e stava tentando di far saltare il Giro d'Italia con un'azione ai confini dello sconsiderato.

Ebbene io stamattina, ponderando le tante pagine dedicate ai morti e le altrettante dedicate ai campioni, su cui si riverberavano incontrollati i sensi di colpa à la Gramellini, ho ricostruito le mie istintive azioni nel corso dei tumultuosi eventi di cui sopra: poco dopo le 15:18 mi ero alzato, avevo spento la radio ed ero corso fuori dalla mia stanza non a cercare riparo ma a piazzarmi davanti al televisore per contare i minuti e i secondi che rendevano Cunego maglia rosa virtuale per ore e ore, combattendo la disperazione circostante con la più immediata (benché ingenua e infantile) delle speranze disponibili sul piatto della domenica pomeriggio. La brevità della vita, la conferma di non disporne che ogni tanto la cronaca si pregia di ricordarci, l'asfitticità delle sempre più ansiogene raccomandazioni di sicurezza antisismiche, antimafie e antiterroristiche mi spingono a utilizzare il latino, sperando di spiegarmi: vivere non necesse, exultare necesse.