sabato 21 luglio 2012

Gli errori sono il leitmotiv dell’autobiografia di Goldoni, come se costituissero il canovaccio di una lunga commedia di formazione che parte dai primi contatti dell’autore coi libri paterni e termina nel 1787: Goldoni ha ottant’anni, vive a Parigi su una modesta pensione garantitagli da Luigi XVI, è orbo e di tanto in tanto vittima di attacchi di panico. Ogni mattina scrive le Memorie per diletto. Dopo pranzo può permettersi di non lavorare più ma di andare a teatro o giocare a carte fino a sera; dopo di che, racconta, “rincaso prima delle dieci, prendo due o tre cioccolatini con un bicchiere di acqua e vino: ecco la mia cena; faccio conversazione con mia moglie fino a mezzanotte; ci corichiamo maritalmente in inverno, in due letti gemelli nella stessa stanza d’estate; mi addormento subito e trascorro notti tranquille”. Non turbano i suoi sonni i critici teatrali né coloro che gli rinfacceranno le mancanze minuziosamente descritte nell’autobiografia, la cui censura “non produrrebbe niente in favore della letteratura. Se tuttavia ci fosse qualche scrittore che volesse occuparsi di me soltanto per affliggermi, sciuperebbe il suo tempo. Sono nato pacifico; ho sempre mantenuto la mia calma, alla mia età leggo poco e non leggo che libri divertenti”.

Su un paginone del Foglio in edicola oggi racconto la commedia degli errori che fu la giovinezza di Goldoni, con adeguato spazio alla breve ma intensa permanenza in un noto Collegio di Pavia.

venerdì 20 luglio 2012

Magari l’editore Laterza intendeva solo sfruttare l’istinto estivo di ampie fasce di lettori, che villeggiando in Alto Adige o in Romagna acquisteranno incuriositi il Contromano di Cristiano Cavina (Romagna mia!) o quello altoatesino di Alessandro Banda (“Due mondi, e io vengo dall’altro”). Per questo li ha fatti uscire in contemporanea il 5 luglio, forse senza accorgersi che i due volumetti sono complementari; che con mirabile eterogenesi dei fini e imponderato tempismo dicono parole perentorie, davvero di destra, nel dibattito sull’abrogazione delle province ossia su come demarcare l’identità di un luogo.

Sul Foglio in edicola oggi, che nel frattempo sarà già esaurito in tutta Italia, spiego perché questi due aurei libretti sono un ottimo antidoto al falso mito dell'integrazione.

martedì 17 luglio 2012

Bisogna dare atto che il grosso c’è tutto, almeno quanto a politica (sezione che su Repubblica, giusto per non destare sospetti di connivenza, viene ribattezzata “politica e giustizia”), crisi finanziaria, vaticanistica (sezione che, vedi sopra, si chiama in realtà “veleni del Vaticano”), trattativa stato-mafia, attualità, cronaca e mondo, dove campeggia un accorato articolo di Barack Obama che parla della squadra di basket di sua figlia. Voglio vedere se gli mandavo io un articolo sul corso di pilates di mia cugina, se poi gli mettevano pure il richiamo in prima pagina.


E finalmente all'aeroporto Charles de Gaulle ebbi la rivelazione: la Repubblica non mi convince perché non è un quotidiano italiano, è un quotidiano francese. Per capire veramente come funziona bisogna andare a Parigi e mettersi a leggere la République: esperimento pratico su Qwerty, il blog di Tempi.it che recensisce i giornali.

mercoledì 11 luglio 2012

In un eccesso di zelo Mercier ribattezza i ponti di Parigi, riordina i sensi unici, abroga il papato, trasforma i servizi segreti in vigili urbani, costringe gli autori di brutti libri a girare mascherati finché non ne scrivono uno bello, cambia gli impianti di illuminazione stradale e già che c’è taglia anche l’editoria: spariscono Saffo, Aristofane, Lucrezio, Catullo; Ovidio e Orazio vengono epurati, Seneca ridotto a un quarto, Montaigne a un agile libretto mentre non c’è più traccia di Pascal. Solo Rousseau resiste in edizione integrale.

Dispiace per Enrico Bondi, ma una spending review uguale alla sua l'aveva già ideata due secoli e mezzo fa un giovane parigino che si chiamava Louis-Sébastien Mercier. Dettagli e risultati li illustro sul Foglio in edicola oggi e sul sito del quotidiano medesimo.

martedì 10 luglio 2012

Insomma, uno scorre il primo numero del nuovo Panorama aspettandosi da una pagina all’altra le rubriche di Ferrara, Giannino, Romano, Feltri, addirittura Minzolini o Vespa ma non cavandone alcunché, anche se sa che prima o poi torneranno ma in forma rimaneggiata, inoculati in mezzo a una miriade di fatti e commentini disparati: in compenso a pagina 19 l’editoriale del direttore è corredato da un’opinione epigrammatica della signora Giuditta Veneziani, di professione sconosciuta. La novità è questa: Lamberto Sechi starà facendo magari l’ottovolante nella tomba ma alla separazione di fatti e opinioni viene sostituito, in maniera rivoluzionaria, lo slogan “La tua opinione è un fatto”: è il trionfo del principio di internet in generale e del social network in particolare, ossia che tutto sia commentabile e che tutti siano potenziali commentatori, a pari dignità nella realizzazione della democrazia perfetta delle tastiere. Però, sarò retrogrado, se spendo tre euri e trovo l’opinione di Ferrara o Giannino o chi per loro sono contento, se ne spendo uno e trovo quella d’a sora Giuditta, con tutto il rispetto, molto meno.

To like or not to like? Su Qwerty di Tempi.it recensisco il nuovo Panorama, metà settimanale metà social network.

mercoledì 4 luglio 2012

Nelle librerie parigine è facile trovarlo in vendita a metà prezzo, destino dei libri regalati e poi restituiti. In quelle nostrane da qualche giorno è possibile comprarne la traduzione italiana, pubblicata da Gremese col titolo Non il suo tipo, e chissà se incontrerà lo stesso destino. Potrebbe non essere un male: se un libro così personalistico e cerebrale, un’autofiction del bel tenebroso filosofo Philippe Vilain, un vero “romanzo intello-parisien” come lo definisce l’autore stesso, viene restituito da lettori indignati ci sarà un motivo. 


La risposta è sul Foglio di oggi (e anche sul sito): è tutta colpa di una sciampista.

martedì 3 luglio 2012



Il diario intimo dell'Europeo
Domenica 1 luglio

h 20:45 Spagna-Italia a Bussero
A me, ad esempio, interessa soprattutto in ciclismo e nel frattempo è partito il Tour de France, quindi che l’Europeo continui a continuare mi sembra un po’ scostumato e goffo, un frivolo reato di lesa maestà. L’attenzione universale è inevitabilmente focalizzata sulla finale ergo le prime pedalate gialle passano in cavalleria, io però non posso fare a meno di ricordare quando Nacho ebbe a proclamare di fronte a un caffè macchiato sotto i portici di Modena, sette anni fa senza crisi in mezzo: “Il Tour è la cosa più importante dell’anno”. Nacho è incontestabilmente spagnolo ragion per cui una collega pedante si precipitò a correggerlo: “La corsa, Nacho, si dice la corsa”; e lui, incredulo che qualcuno potesse mettere in discussione gerarchie tanto evidenti: “No no, volevo dire proprio la cosa”. Il Tour è la cosa più importante dell’anno dunque non c’è partita, anzi la partita c’è ma è come se non la guardassi, è come se l’Italia non la giocasse ed è come se non avessi inviato se non per doverosa cavalleria il messaggino iniziale a Nacho: “Vamos a gañar”; e lui: “Concordo”. Concordano fin troppo, gli spagnoli, fanno quello che vogliono mentre ai nostri vengono le zampette rachitiche né c’era da aspettarsi altro, bastava buttare un occhio in tribuna. Per noi c’era un economista, un professore universitario, il capo di un governo tecnico che a fine partita si permette pure di dire “Credo di parlare a nome di tutti gli Italiani” quando a rigore farebbe meglio a evitarlo, visto che non l’ha eletto nessuno. Per loro si presenta il Principe delle Asturie: come possiamo contrastarlo? È come quando il 13 giugno del 2004 si tenne il referendum anticattolico sulla fecondazione assistita e stravinsero le posizioni della Chiesa: be’ grazie, da una parte c’era Sant’Antonio, dall’altra Sabrina Ferilli. Improponibile. Lo spiegamento di forze istituzionali sugli spalti denota lo stesso identico squilibrio, e se il calcio è niente niente specchio del carattere nazionale stiamo freschi: resteremo confinati alla grigia meschinità provinciale nella quale ci siamo ignobilmente esiliati da qualche decennio, vergognosi di essere noi stessi e vogliosi di riprodurre modelli astratti quanto più impolverati. Loro hanno il Principe delle Asturie e noi abbiamo Francesco Pannofino che legge le formazioni per dare un tocco di arte nazional-popolare. Loro hanno il Principe delle Asturie e noi abbiamo Bruno Gentili che sullo 0-4 a un minuto dal termine trova il coraggio di rivolgersi implorante ai dominatori con un mesto “Abbiate pietà”. Loro hanno il Principe delle Asturie e noi abbiamo Marco Mazzocchi che salta prontamente sul carro del vincitore dicendo a fine partita che bene hanno fatto gli spagnoli a non fermarsi quando eravamo in ginocchio nella polvere e a gragnolarci imperterriti di possesso palla e di goal. Loro hanno il Principe delle Asturie e noi abbiamo Amedeo Goria che s’inchina leggermente a ogni domanda che pone a Monti, fino al sublime fracchiesco “Mi chiedono di chiederle gentilmente quando finirà la crisi”. Loro hanno il Principe delle Asturie e noi non abbiamo nessuno che dichiari pubblicamente in sede istituzionale o anche solo televisiva che è stato bello e terribile innamorarsi per una settimana di quest’Italia rimpinzata di bulli di quartiere, scommettitori seriali, tatuati al midollo, cardiopatici, addormentati in piedi, nani, omofobi, bisessuali, inquisiti e trovatelli; questa nazionale dei caratteriali, tutta scassata, che senza badare alla bella figura è riuscita a darle di santa ragione a tedeschi e inglesi quando serviva, facendo ciò che i suoi compatrioti hanno da tempo smesso di voler tentare di essere capaci di fare, riuscendo a risvegliare entusiasmi tribali che tracimavano nell’accantonamento della diplomazia mentre tutta una risma di opinionisti in punta di forchetta si scandalizzava dicendo che così non si fa: non si mandano a fanculo i tedeschi, non si mostra il dorso di indice e medio agli inglesi, non sta bene, siamo europei civili, cosa diranno di noi in società. Gli spagnoli hanno il Principe delle Asturie e noi siamo un’accozzaglia di mosci disfattisti che non merita di essere nazione, e pretendevamo pure di vincere.

[Se non vi piace l'impaginazione, potete leggerlo anche sul sito di Tempi.]

domenica 1 luglio 2012



Il diario intimo dell'Europeo
Giovedì 28 giugno

h 20:45 Germania-Italia a Pavia
C’è stato un piccolo momento di discriminazione sessuale quando il cameriere che stava apparecchiando la tavola (per scaramanzia siamo tornati nella stessa pizzeria della vittoria contro l’Inghilterra, anche se ridotti all’essenziale formazione di solo tre) ha chiesto rivolgendosi incredulo a Gionata e indicando sua moglie: “Ma lei guarda la partita?”. Bisogna giustificarlo, però. L’avevamo notato già la volta precedente, e stasera troviamo tragica conferma: la pizzeria brulica di coppiette che sono disposte di tre quarti rispetto al televisore, peculiarmente con lei rivolta verso lo schermo nonostante il patente disinteresse e lui, ahilui, completamente di spalle. Immaginiamo la situazione; trattasi di coppia ai primi esperimenti di uscita in cui lei, dopo avere accuratamente consultato il calendario del torneo, a forza di moine e musi come prova d’amore ha richiesto di uscire a cena in casuale contemporanea con l’ancestrale sfida alla Germania, e lui per salvare capra e cavoli ha dovuto accettare di buzzo buono e dichiarare che alla fine il calcio non gli interessa, che Balotelli è un sopravvalutato e che i tedeschi in fin dei conti sono i benefattori dei popoli circonvicini. Vile e meschina fromboliera dell’utero, avrei voluto dirle coram populo, vergognati, tu che col tuo capriccio sottrai al tuo presunto amato gli ultimi residui d’infanzia che possano consolarlo della vita e anche del caldo; meriti davvero che ti sposi, che ti sformi a forza di figli, che cammini con le scarpe infangate dove hai appena lucidato, che dimentichi i calzini nel lavello, che insegni le parolacce alla discendenza, che la porti a giocare al parco anziché a lezione di piano, che vada con le puttane cinesi le quali costeranno di meno perché in effetti sono una sottomarca, che ti soffochi nottetempo con un cuscino azzurro, che non presenzi alle esequie perché c’è il posticipo di Lega Pro. Invece taccio e mangio la pizza, ma mi accorgo che dopo l’ottantesimo lui inizia a lanciare furtive occhiate nervose sotto l’ascella in direzione dello schermo, e appena l’arbitro fischia il rigore per la Germania le dice di aspettarlo là così va a saldare il conto e mentre lei resta a guardarsi il naso nello specchietto portatile lui non torna mai più.