lunedì 24 settembre 2012

Finalmente domenica!
Quarta giornata, 23 settembre 2012


“Se Gesù tornasse oggi a Pavia, come minimo dovremmo dirlo a tutti”, ipotizza durante l’omelia di mezzogiorno il parroco del Carmine. Come proceda oltre la sua fervida immaginazione non è dato sapere perché repentinamente passa a riferire del musical su Madre Teresa di Calcutta che hanno allestito ieri nell’oratorio; tanto più sta male alzare la manina e porre domande durante la predica, ragion per cui devo tenere per me alcuni dubbi che avrei voluto obiettargli. Tanto per cominciare, se Gesù tornasse a Pavia di domenica non troverebbe nessuno: chi può permetterselo scappa al mare o in collina; gli studenti, che costituiscono un buon quarto della popolazione complessiva, al fine settimana si rifugiano dai genitori; le persone perbene, affacciandosi da un lembo di tenda o rifugiandosi dietro i citofoni, gli urlerebbero che di domenica le persone perbene restano a casa propria.

Se decidesse di tornare di giorno feriale, non gli andrebbe tanto meglio. La Provincia Pavese, nota per annunziare gli eventi sbagliando abitualmente o la data o il giorno o l’orario, stante l’eccezionalità della circostanza si concentrerebbe e sbaglierebbe la data, il giorno e l’orario. Se decidesse di palesarsi alle 21, gli direbbero che non verrebbe nessuno perché a quell’ora la gente è stanca e non ha voglia di uscire di nuovo dopo cena. Se decidesse di palesarsi alle 18, gli direbbero che non verrebbe nessuno perché a quell’ora la gente o lavora o cerca di riposarsi un po’ prima di cena. Se decidesse di palesarsi in Duomo, gli direbbero che casca male perché lo riapriranno fra due settimane abbondanti: “Ora come ora è chiuso per restauro”. “E da quando?” “Dal 1998”.

Se tornasse a Pavia oggi, non potrebbe nemmeno mangiare come fece sulla via di Emmaus perché di domenica la grande maggioranza di ristoranti e bar resta chiusa; potrebbe tutt’a più prendere un kebab o azzardare un brunch a prezzo esorbitante in una tavola calda americana, ma a questo punto bisognerebbe spiegargli cos’è il brunch (“Mangiare a cazzo di cane” era la traduzione di una mia valida fidanzata) e soprattutto cos’è l’America: “È l’Impero Romano, però da un’altra parte”. “E perché è governata da un Numida?”. Se non altro, scorrendo distrattamente le notizie, potrebbe rallegrarsi apprendendo che a Roma ci si veste grossomodo ancora come ai tempi suoi.

Se riparasse in camera mia, mi troverebbe sul divano a guardare i Mondiali di ciclismo tutto ammirato dall’intrinseca crudeltà di una corsa che in un sol giorno assegna una maglia che vale tutto l’anno e tuttavia, dopo sette ore e più di duecentocinquanta chilometri, premia quasi inevitabilmente il contendente più meritevole o il più sagace. Dopo avergli illustrato cos’è la bicicletta (l’asino a pedali) gli farei notare come la cattolicissima Spagna non s’è fatta scrupolo di perdonare i suoi campioni dall’etica più periclitante e li ha convocati per la partenza, ricavandone così una bella corsa benché non vittoriosa. Noi italiani invece, sempre ansiosi di dimostrare che la nostra cacca non puzza, stiamo diventando ad ampie falcate una nazione protestante e a furor di popolo abbiamo lasciato a casa quasi tutti i verosimili aspiranti se solo erano in odore di sospetto preventivo, col risultato di mettere insieme una nazionale abborracciata fra giovani promesse e vecchie glorie, che ha raccolto ben magro risultato. A questo punto mi chiederebbe: “Ma, precisamente, questi protestanti cosa sono?”.

Sarebbe la smentita della vecchia parabola indifferentista di Anthony De Mello. Gesù va a guardare una partita fra cattolici e protestanti; segnano prima i cattolici, ed esulta; pareggiano nella ripresa i protestanti, ed esulta; uno spettatore lo guarda e considera a mezza bocca: “To’, un ateo”.

[La metà di Francesco Savio si trova su Quasi Rete.]