martedì 31 dicembre 2013

La nostra cultura e il nostro immaginario sono stati colonizzati in modo talmente minuzioso da farci accettare supinamente che la parola dell'anno 2013 sia "selfie" solo perché così è stato stabilito dall'Oxford English Dictionary. Pagine e pagine di notizie sono seguite senza considerare che per quanto autorevole la scelta è stata effettuata da un'istituzione che si occupa di una lingua straniera. Questo è un corno della questione; il corno opposto è che la nostra vita è talmente parcellizzata, talmente abituata al protagonismo dei nostri ombelichi da averci fatto perdere il minimo senso della storia, per quanto macroscopici possano essere gli eventi. L'abbaglio del flash dello smartphone (che, se fossi d'Annunzio, ribattezzerei superfonino) ci ha accecati al punto da non farci accorgere che nel 2013 è stata pronunziata la parola del secolo, altro che dell'anno, per portata e conseguenze. Non è inglese ma latino: è "renuntiare".

lunedì 30 dicembre 2013

Dice che sono cinico perché quando sento di ventenni che scodinzolano dietro alle commemorazioni dei partigiani mi assale una tristezza pari quasi a quella che coglie Ernesto Galli Della Loggia di fronte alle scolaresche costrette a partecipare a convegni contro la mafia e a crociere per la legalità. Per tre motivi. Il primo è che la storia è storia e la maniera più sana di rapportarsi a essa non è la partecipazione identitaria né il tifo curvaiolo: non avendo nulla contro i partigiani devo altresì notare che come loro sono passati i cromwelliani e i capetingi e gli assirobabilonesi; un ventenne che aderisse oggi agli ideali dei cromwelliani, dei capetingi e degli assirobabilonesi desterebbe in me identica tristezza.

Il secondo motivo è che bisognerebbe trascorrere questa corta vita cercando di passare il tempo in maniera decente e guardando avanti anziché indietro; altrimenti si fa la fine delle università che organizzano tavole rotonde intitolate "Ricordando gli antichi maestri" e poi si lamentano di non ricevere fondi per l'innovazione.

Il terzo motivo è che la retorica della resistenza esercitata in guisa progressivamente manierista dalla sinistra italiana ha avuto l'effetto pratico di non riuscire a creare un concreto e credibile progetto socialdemocratico, preferendo il muro contro muro anche a babbo morto e finendo per compattare intorno a tale contrasto il campo avverso che, fino a vent'anni fa, nemmeno esisteva. Resto infatti convinto che l'apice della rovina sia stato raggiunto con la manifestazione del 25 aprile 1994, quando in reazione agli sfavorevoli risultati elettorali di un mese prima venne convocato un guazzabuglio di partigianesimo e antiberlusconismo che è poi diventato la più diffusa linea identitaria della sinistra italiana contemporanea e che, secondo me, quel giorno fece decidere d'emblée a molti indifferenti di votare Berlusconi per i vent'anni a venire. Reco a mio sostegno due dati di fatto: alle europee di un mese dopo Forza Italia incrementò vertiginosamente la propria percentuale, dal 21 al 30. Inoltre al corteo partecipò Alba Parietti che, annaspando nella pioggia incessante che tormentava i manifestanti, alzò bandiera bianca commentando: "Si vede che Dio è di destra".

venerdì 27 dicembre 2013

Innamorarsi è un bel film in cui Robert De Niro - l'ho rivisto proprio ieri sera - nota Meryl Streep su un treno suburbano, la incrocia per caso in libreria, la abborda in stazione, attacca discorso, le chiede come mai vada in città, le propone di fare uno dei prossimi viaggi insieme, si siede di fianco a lei districandosi fra i pendolari, identifica l'ospedale dov'è ricoverato il padre di lei, la invita a prendere un caffè fuori, trasforma repentinamente il caffè in un pranzo, poi in un altro pranzo ancora, la porta in un pied-à-terre, cerca di fare sesso anche se lei non è propensa, va ad avvilirsi guardando casa sua dal giardino antistante, la chiama sul telefono fisso finché non risponde il marito. E' un film del 1984 che, se uscisse nel 2014, si intitolerebbe Stalking.

giovedì 26 dicembre 2013

A Natale purtroppo siamo tutti più buoni, soprattutto ora che il serial killer e il camorrista evasi la scorsa settimana sono stati rapidamente catturati e verranno altrettanto rapidamente dimenticati, così come i propositi vendicativi di far tornare in vigore la pena di morte - non per l'evasore ma per il direttore del carcere. Il sopravvento dei fatti sulle idee oscura un concetto chiave espresso in un'intervista a Repubblica da Luigi Pagano, vice-capo vicario del Dipartimento di amministrazione penitenziaria del Ministero della Giustizia. Pagano dichiara che "il sistema funziona" perché, calcolando sul totale di permessi premio, lavoro all'esterno e semilibertà, la percentuale di detenuti che non rientra si assesta sul 5%.

Qui sta la grande distinzione e il nucleo di tutto il belluino dibattito seguito alle due evasioni. Il sistema funziona se lo si considera con gli occhi di Rousseau o Dostoevskij, secondo i quali l'uomo è naturalmente buono (non solo a Natale) e viene rovinato o dalla civilizzazione o dalle circostanze. In questa prospettiva la pena ha il compito di ricondurre il detenuto alle origini e di conseguenza il 95% di detenuti in permesso conferma la propria bontà mentre il 5% di evasi è un normale margine di errore statistico.

Se invece uno parte dall'assunto che l'uomo non sia naturalmente buono ma vada contenuto e raddrizzato, e che la detenzione serva a preservare la società da un rischio concreto, allora il sistema non funziona più perché su venti detenuti in permesso ce ne sarà sempre uno che andrà in giro a combinare altri guai o a mettere a repentaglio la sicurezza quanto meno degli agenti che lo braccano. in tal caso dopo il camorrista e il serial killer bisognerebbe catturare anche Rousseau e Dostoevskij.

martedì 24 dicembre 2013

Papa Francesco è l'uomo dell'anno per Time ma soprattutto è l'uomo di Natale per il Venerdì di Repubblica. In un approfondito servizio Piero Melati, che deve avere trascorso gli ultimi sei mesi nascosto dentro a uno sgabuzzino di Santa Marta, spiega tutti i cambiamenti sotterranei che dobbiamo attenderci dal Pontefice e soprattutto rivela che costui "non teme neppure l'eventualità del ventiduesimo Concilio Vaticano della storia". Credo che papa Francesco non tema soprattutto l'eventualità che nel frattempo qualcun altro - Ratzinger? - ne convochi altri diciannove.

lunedì 23 dicembre 2013

Secondo molti la Chiesa non può restare un modello ieratico immobile nel tempo, sempre più distante dalla vita vera e inattingibile alle persone comuni, ma deve evolversi coi tempi. Deve essere vicina alla gente, le cui esigenze cambiano al mutare delle circostanze concrete. Deve adattarsi a una società le cui trasformazioni sono incomprimibili come l'acqua che scorre. Deve accattivarsi i giovani se non vuole restare confinata nella sclerosi delle vecchiette che, sempre più rade, occupano i banchi delle parrocchie. Ovviamente la Chiesa deve assecondare questo cambiamento con moderazione e cautela, dovesse anche costare qualche ritardo nell'adeguarsi alle novità di diffusione più repentina nel secolo. Per questo motivo ieri, quando sono tornato a Messa a Gravina, ho notato che il Santo è stato cantato a ritmo di twist.

mercoledì 18 dicembre 2013

Ho letto L'utilità dell'inutile di Nuccio Ordine (Bompiani) e mi sono venuti alcuni dubbi che esulano dai soliti elementi secondari che servono a confermare al lettore medio di trovarsi dalla parte giusta; un lettore più scafato, che in Ordine riconosca anzitutto l'erudito machiavellista, fra le righe del suo manifesto trova acquattato un saggio sui rapporti fra intellettuali e potenti, dove "potente" significa chi ha ingenti quantitativi di denaro e può disporne a piacimento.

Ma la cultura umanistica è stata avvantaggiata o svantaggiata dalla retorica dell'inutilità e della gratuità? Avanzo alcune questioni irresolubili ma pratiche sul Foglio in edicola oggi.

sabato 14 dicembre 2013

Questo libro non ammette recensioni perché non sembra scritto nell'inglese che conosco e padroneggio bensì in un miscuglio di lingue, talune ignote; uno potrebbe recensirlo solo fingendosi più intelligente dell'autore e sbeffeggiando Joyce perché non riesce a capirlo; Joyce tuttavia utilizza il linguaggio come mezzo di ricerca sperimentale di qualcosa di radicalmente nuovo mentre io, in quanto recensore, sono costretto ad affidarmi all'uso tradizionale della lingua; il contenuto del suo libro coincide con la forma in cui è scritto quindi chiedermi di cosa parli sarebbe come pretendere che spiegassi a parole cosa significa una sinfonia di Beethoven.

L'editore Gallucci ha appena pubblicato Finn's Hotel, presunto inedito di James Joyce. Una recensione inglese del 1939 ci aiuta a capire se si tratta davvero di un inedito e soprattutto a districarci nel dibattito furibondo fra avanguardiani e avanguardoni. Sul Foglio di oggi, a pagina 2.

sabato 23 novembre 2013

Eric-Emmanuel Schmitt ha un cruccio: voleva scrivere un romanzo filosofico ma il battage che ha accompagnato in Francia e in Italia La giostra del piacere (edizioni e/o) lo ha trasformato in un romanzo erotico.

Sul Foglio in edicola oggi intervisto Eric-Emmanuel Schmitt che rilascia dichiarazioni non convenzionali sul rapporto fra sesso e politica, sulla compassione per i potenti, sulla fraternità dell'abisso, sull'identità sessuale e sugli uomini che vogliono essere fiori anziché farfalle.

mercoledì 20 novembre 2013

Eric-Emmanuel Schmitt è in tournée in Italia per promuovere la sua ultima fatica, un romanzo erotico di 650 pagine. Gli amici della Nuova Libreria Il Delfino mi hanno guardato negli occhi e mi hanno detto: "Abbiamo pensato che tu sia la persona adatta a presentarlo". Ho accettato senza chiedere perché. Dunque domani giovedì 21 novembre presento a Pavia La giostra del piacere di Eric-Emmanuel Schmitt (edizioni e/o): libreria Il Delfino, piazza Cavagneria 10), ore 18. Accorrete numerosi. E vestiti.

mercoledì 13 novembre 2013

Non conosco le vostre abitudini notturne ma ci tengo a rassicurarvi: non siete ubriachi di prima mattina. Se avete letto il Corriere della Sera, a pagina 2 c'è veramente scritto "Deciderà il mercato: è questa la promessa del Partito Comunista per permettere alla Cina di continuare a crescere". E a pagina 42 la lettera aperta di Pierferdinando Casini inizia veramente con "Caro direttore, uno spettro si aggira per l'Europa". Se invece notate un'intervista a Mario Balotelli sulla Fenomenologia dello spirito, ecco, non so come dirlo, iniziate a preoccuparvi.

lunedì 11 novembre 2013

Oggi splende il sole sulla Lombardia e dunque, in questo clima favorevole, alle 18:30 presento nuovamente Il silenzio della felicità di Francesco Savio (ed. Fernandel), stavolta alla Feltrinelli di Corso Buenos Aires (Milano), con Annarita Briganti di Repubblica. Sarà presente l'autore; forse anche il figlio dell'autore.

sabato 9 novembre 2013

Purtroppo Ivan Illich era refrattario alle registrazioni, quindi non sappiamo come reagì durante la presentazione di un suo libro ad Harvard nel 1975, quando dalla platea s'alzò l'allora giovane femminista Norma Swenson e gli chiese: "Professore, ma lei ha mai visto un corpo umano?"

Sul Foglio di oggi saluto la coraggiosa iniziativa di Neri Pozza: pubblicare la prima edizione italiana di Genere di Ivan Illich, a trent'anni dalla sparizione dell'originale, completa di denuncia dell'inganno dell'uomo neutro, attacco all'idea di ruolo sessuale e spiegazione ecclesiologica del termine "bugger", che possiamo rendere gentilmente con "sodomita".

venerdì 8 novembre 2013

Segnatevi questi nomi: Adi, Adu, Andu, Cipur, Cisl, Cnru, Cnu, Cobas, Conpass, Csa-Cisal, Flc-Cigl, Link, Rete29Aprile, Snals, Sun, Udu, Ugl e Uil Rua. Hanno sottoscritto una nota contro il ministro Carrozza che, intervistato dalla Stampa, aveva auspicato l’introduzione di test Invalsi uniformati nelle università per capire “se gli studenti escono dagli atenei con una laurea in grado di essere alla pari con quelle degli altri Paesi”. In vigore dal 2008, il test Invalsi ha rivelato, in soldoni, che a pari conoscenza di italiano e matematica due studenti rischiano di venire valutati con più generosità al Sud e con meno al Nord. C’è inoltre una significativa disparità nei voti di maturità fra regione e regione, liceo e liceo: la votazione è nazionalizzata ma la valutazione no, quindi chi prende 100 in un liceo può essere meno bravo di chi prende 80 in un liceo di un’altra regione.

Adi Adu eccetera contestano in nome del politicamente corretto il fallimento dell’Invalsi, che “mira a imporre un particolare modello di scuola escludente, incapace di valorizzare le differenti intelligenze”; insinuano inoltre che classificare su scala nazionale le capacità dei laureandi “non può legarsi a doppio filo con l’altro intento sbandierato dal ministro, ovvero quello di abolire il valore legale del voto di laurea”. Ovvero, stabilire una volta per tutte che un 110 e lode preso in un’università seria vale più di quello preso in una scadente. Eppure tutti sanno che esistono università migliori e peggiori, e che per questo molti ragazzi vanno a studiare lontano in un buon ateneo anziché accontentarsi di uno così così sotto casa.

L’Anvur, che valuta i prodotti di ricerca, ha prodotto un primo discernimento orientativo delle università più valide, alle quali sarebbe dovuto andare uno stanziamento di 41 milioni. La Camera però lo ha bloccato per un dettaglio tecnico: lo stanziamento è destinato a investimenti e quindi non può andare sul fondo per le università. Tutti vogliono premiare il merito ma è bastato un cavillo per sabotare il principio su cui era stata messa in modo l’Anvur: più soldi alle università migliori. Con la protesta di Adi Adu eccetera, che hanno indetto “una settimana nazionale di dibattito e mobilitazione”, diventerà inaccettabile anche l’idea che studiare in un’università possa essere meglio che studiare altrove. Tanto vale restare tutti a casa.

Per questo l’intoppo ha fatto arrabbiare Gianni Chiodi, governatore Pdl dell’Abruzzo che sui social network ha parlato di “lobby dei mediocri”. A cosa pensava? Forse alla polemica che l’aveva visto protagonista in agosto, quando aveva suggerito di chiudere l’Università di Bari per la mesta posizione nella graduatoria Anvur. Sul Corriere del Mezzogiorno aveva replicatoNichi Vendola, contrario all’idea di borse di studio per finanziare studenti meritevoli che intendano frequentare un’università fuori dalla regione di residenza. Molto affezionato all’Università di Bari, dove si è laureato con un’inevitabile tesi su Pasolini, Vendola aveva detto che non avrebbe permesso i trasferimenti, “anticamera di una vera e propria emigrazione culturale verso le Università del Nord”. Così facendo però ha implicitamente ammesso un’altra cosa che tutti sanno ma nessuno dice, ossia che l’emigrazione degli studenti verso le università migliori va solo in direzione settentrionale; altrimenti avrebbe potuto salutare con gioia un finanziamento che avrebbe finalmente permesso ai ragazzi poveri di Milano, Bologna o Padova di andare a studiare al Sud.

lunedì 4 novembre 2013

Ho trascorso il fine settimana immerso in complicati calcoli filologici dai quali, grazie a un'adeguata analisi dei termini e a una complicata intersezione dei campi semantici, è emersa cristallina l'equazione seguente:

allerta meteo = piove.

Non nascondo l'emozione di fronte a questa scoperta che, in attesa di essere registrata su un supplemento del Vocabolario Treccani, può iniziare a cambiare sensibilmente il modo di parlare degli italiani. I qualunquisti potranno lamentarsi bofonchiando: "Allerta meteo, governo ladro". I delinquenti potranno strillare "Allerta meteo!" quando vedranno avvicinarsi una pattuglia della polizia. Gli sportivi potranno considerare amaramente che "quest'anno il Milan fa schifo, su questo non c'è allerta meteo". Se la sorte esagera nell'accanirsi contro di voi, potrete parlare di "allerta meteo sul bagnato". La controprova che l'equazione funziona risiede nell'espressione idiomatica che mai nessun meteorologo potrebbe contestare: "Tanto tuonò che ci fu allerta meteo". Anche la letteratura può beneficiarne e presto si potrà preparare una nuova edizione del d'Annunzio coi bei versi:

Allerta meteo
dalle nuvole sparse.
Allerta meteo su le tamerici
salmastre ed arse,
allerta meteo sui pini
scagliosi ed irti,
allerta meteo sui mirti
divini,
su le ginestre fulgenti
di fiori accolti,
sui ginestri folti
di coccole aulenti,
allerta meteo sui nostri volti
silvani,
allerta meteo sulle nostre mani
ignude,
sui nostri vestimenti
leggieri, etc.

mentre Domenico Modugno rimpiangerà di non poter cantare "Ciao ciao bambina, un bacio ancora, e poi per sempre ti perderò: vorrei trovare parole nuove, allerta meteo sul nostro amor". A beneficio invece dei compilatori dei dizionari di sinonimi e contrari, faccio presente che quando non piove è allarme riscaldamento globale. L'ultima volta è stata venerdì mattina, quando ci siamo svegliati e inaspettatamente - nonostante che fosse il primo novembre - c'era il sole anziché i consueti nuvoloni carichi di allerta meteo. Un primo tentativo di denunciare benché in forma poco elaborata il sovvertimento climatico risale già alla poesia Novembre di Giovanni Pascoli:

Gémmea l'aria, il sole così chiaro
che tu ricerchi gli albicocchi in fiore,
etc. etc.
di foglie un cader fragile. E' l'estate,
          fredda, dei morti.

Per venire incontro agli studenti delle scuole meridionali che falliscono i test Invalsi solo a causa di un complotto ministeriale ordito ai loro danni, faccio la parafrasi: "L'aria è limpida e splendente come se fosse una gemma e il sole è così chiaro che tu cerchi gli albicocchi fioriti, eccetera eccetera, foglie secche che cadono dagli alberi e vengono calpestate. E' l'allarme riscaldamento globale di Halloween".

sabato 2 novembre 2013

Ci siamo tuffati in modo irredimibile nella rutilante era dello psicoreato. Si sta diffondendo un senso di giustizia massimalista e ottuso che si preoccupa meno di ciò che le persone fanno e più di quello che pensano o potrebbero essere portate a pensare.

Su Tempi in edicola questa settimana scrivo un lungo articolo che, secondo i nuovi criteri di giudizio, è contro le donne, i gay, i vecchi, i poveri, i parlamentari inglesi, i pellerossa, parte degli abitanti di Lodi e il pubblico del teatro Fraschini. Portatemi le arance.

[Ora è disponibile anche online su Tempi.it]

giovedì 31 ottobre 2013

Che si tratti di evoluzione endogena o prosecuzione postuma o riscrittura drastica o ritorno in nuova veste, esistono due tipi di libri: quelli che una volta chiusi finiscono e quelli che invece continuano.

Sul Foglio di oggi analizzo quattro casi editoriali, due italiani (Einaudi e Rizzoli) e due inglesi, per mostrare cos'hanno in comune Stendhal, Aldo Busi, James Bond e Bridget Jones.

mercoledì 30 ottobre 2013

Oggi ho esordito a mia insaputa su Libero, dove in taglio basso a pagina 9 ho trovato il brano sull'ubiquità di Beppe Severgnini che trovate qui sotto.

Domani giovedì 31 ottobre invece presenterò Il silenzio della felicità di Francesco Savio (ed. Fernandel) a Brescia. Piazza Zanardelli, libreria Feltrinelli, ore 18.

Dopodomani chissà.

sabato 26 ottobre 2013

Ieri sera sono andato a vedere La Scena di Cristina Comencini al Fraschini e l'unico motivo per cui non me ne sono andato alla fine del primo atto è che era un atto unico. Angela Finocchiaro e Maria Amelia Monti recitano anche bene ma la commedia è costruita su dialoghi meccanicamente prevedibili e su un malcelato intento didattico per il quale non mancano battutine infingarde su corteggiatori già denunziati per stalking o sugli uomini che hanno paura del corpo delle donne e quindi lo velano (burqa) o lo fanno fuori (femminicidio). Si potrebbe pensare che un simile intento rieducativo sia sufficiente a rovinare una pièce ma mi sono ricordato di avere visto pochi mesi fa una commedia di Walter Fontana, sempre con la Finocchiaro, in cui era comunque possibile leggere una critica alla scuola, alla famiglia, alla società contemporanee: però la commedia di Fontana faceva ridere e quella della Comencini faceva piangere. La differenza dunque non è tanto nell'intento quanto nella capacità o meno di scrivere per il teatro. Il finale poi, con le due donne che lasciano intendere di poter essere due metà della stessa persona, o l'una un'attrice che recita la parte dell'altra e viceversa, è pretenzioso e conferma la cacarella che assale gli autori italiani quando si tratta di scrivere una storia semplice, che significhi esattamente quello che si vede in scena o quello che si legge sulla pagina. Quando Michael Frayn ha scritto Rumori fuori scena non voleva mostrarci la condizione umana, voleva farci ridere e ci è riuscito; la Comencini non è stata in grado di scrivere una commedia degli equivoci senza impelagarsi nel discorso metaforico rifritto sulla complessità dell'animo femminile. L'effetto è avvilente e volgare. Infine, poiché la volgarità sta soprattutto nei dettagli, né all'inizio né alla fine dello spettacolo la Finocchiaro o la Monti hanno invitato il pubblico a rivolgere un ultimo applauso a Zuzzurro o a Piero Mazzarella, come invece è d'uso sui palcoscenici quando un attore muore: e dire che erano strettamente colleghi, essendo tutti e quattro comici lombardi.

venerdì 25 ottobre 2013

Beppe Severgnini era a Liverpool. Lo scrive lui stesso a pagina 21 del Corriere di ieri: “nuvole di corsa, ragazze con gli occhi irlandesi, odore di fritto e di vento”. No, Beppe Severgnini era a Oxford. Lo scrive lui stesso a pagina 49 del Corriere di ieri: “cielo grigio, prati verdi, ragazzi che studiano dietro i vetri bagnati”. Probabilmente si riferisce a due giorni diversi, o forse ha preso il treno, fatto sta che il viaggio l’ha disorientato. A Liverpool reagisce alla notizia dell’uccisione di Joele Leotta paventando “il pericolo di una nuova guerra fra poveri, in cui rischiamo di venire coinvolti”. A Oxford ha parlato al Pembroke College, dove studiarono Samuel Johnson e Abd Allah di Giordania, intessendo “l’elogio di Empy e Dudù”. A Liverpool si chiede se la Gran Bretagna “non rischia di ripetere, in patria, alcuni errori commessi in passato nel mondo”, ossia un atteggiamento coloniale che abusa dei più deboli; a Oxford nota orgogliosamente che solo gli italiani sono in grado di andare a insegnare inglese agli inglesi. A Liverpool scopre che gli italiani d’Inghilterra “per mantenersi in un Paese che non è a buon mercato accettano qualsiasi cosa e qualsiasi paga”. A Oxford si sdilinquisce perché gli italiani hanno la cattedra di letteratura inglese, sono editorialisti del Financial Times a 28 anni e traducono dal greco in antico armeno, siriaco e latino. Però l’Inghilterra, tutta l’Inghilterra, sfrutta l’afflusso di ragazzi che arrivano attratti da “lingua inglese, elasticità mentale, genio artistico, varietà sociale, flessibilità del mercato del lavoro” e che “contribuiscono significativamente al PIL”: questo scrive il Severgnini di Liverpool. Tutta l’Inghilterra tranne Oxford: l’altro Severgnini scrive infatti che la città universitaria “è piena di giovani connazionali come ogni posto interessante nel mondo”, nessuno sfruttamento. A Liverpool è colpa dell’Inghilterra: “l’accoglienza, spesso, nasconde insidie” e ai datori di lavoro inglesi bisogna dire che “non è più il tempo di Dickens: i nostri ragazzi meritano di meglio”. A Oxford invece è colpa dell’Italia: lo sforzo di far rientrare i cervelli in patria sarà inutile “se non cambia il clima civile, politico ed economico” nel nostro scombiccherato paese. L’aria frizzantina di Liverpool lo rende consapevole che “noi italiani non siamo tornati a esser poveri ma il rischio esiste, se non ci diamo una mossa”. L’aria di Oxford, più ammuffita, gli impedisce di convincere i giovani italiani che “in Italia non tutto è perduto”: ma i vari Chiara, Filippo, Marco e Caterina “non sono nemmeno arrabbiati, sono rassegnati”. Il Severgnini di Liverpool ha dimenticato di far notare a quello di Oxford che l’università inglese non è un ente di beneficenza e quindi sa approfittare del vuoto di mercato accademico in Italia per accaparrarsi bravi studiosi che si trovano in difficoltà: il caso di scuola è quello di Nicola Gardini, che lui stesso ha narrato in “Baroni”. In questo modo si pone in una situazione di forte potere contrattuale, che spiega la rassegnazione dei giovani compatrioti oxoniensi, e prepara in prospettiva una guerra accademica fra poveri visto che anche in quelle auguste aule i soldi iniziano a scarseggiare, come dimostra l’innalzamento esponenziale delle rette che fu una delle prime decisioni del governo Cameron. Il Severgnini di Oxford avrebbe tutt’al più potuto rispondere a quello di Liverpool invitandolo alla sua prossima conferenza: “Parolacce, paroline e parolone” alla Taylor Institution, biblioteca di lingue, giovedì 29. Tè e biscotti.

[Disponibile illustrato su Tempi.it]

mercoledì 23 ottobre 2013

Oggi mi è  accaduto un evento inaudito. Volendo ricaricare la chiavetta per il distributore automatico di caffè sono andato in camera mia, ho preso il portafoglio, ne ho estratto una moneta da due euro (l'unica che ci fosse, a parte l'inutile ferraglia di rame) e l'ho infilata in tasca. Almeno credo. Quando sono uscito di camera mia ho infatti portato la mano alla tasca per controllare se avessi ricordato di prendere la moneta da due euro oltre che la chiavetta da ricaricare e ho scoperto che la chiavetta c'era, ma la moneta no. Allora ho controllato l'altra tasca, e la moneta non si trovava lì; ho controllato il taschino della camicia, e la moneta non c'era.

Sono tornato in camera e ho iniziato a cercare la moneta sul ripiano dove giaceva il portafoglio, ma niente da fare, allora sulla scrivania, ma non era nemmeno lì, e nemmeno sul comodino, nei cassetti, sul divano, sotto il divano, sotto il mobilio, fra un libro e l'altro sulla scansia. Ho aperto l'armadio per controllare nelle tasche di pantaloni, camicie e giacche che non stessi indossando al momento. Macché. Ho controllato nel bidone della roba sporca, nell'incavo delle scarpe, di nuovo sulla scrivania e nei cassetti, perfino, hai visto mai, nella confezione di citrato effervescente. Nella pattumiera, più e più volte. Quindi anche nella borsa da lavoro, senza domandarmi perché stando all'ordine che avevo istintivamente scelto ritenessi meno verosimile trovare una moneta lì anziché nell'immondizia.

Allora mi sono detto: la moneta è sicuramente rimasta nel portafoglio. Evidentemente quando l'ho aperto ho pensato di prenderla e mettermela in tasca ma, forse sovrappensiero, l'ho lasciata lì dov'era mettendomi a fare altro ma credendo di avere compiuto una volta di più (Freud non è passato invano) un atto routinario che ho compiuto centinaia e centinaia di volte in vita mia con le monete più varie. Sono andato dritto al portafoglio, che per fortuna c'era ancora, l'ho aperto e ho trovato solo l'inutile ferraglia di rame. Nessuna traccia dei due euro.

Poiché ero in camera da solo e nessuno è entrato in camera mia nel lasso di tempo che ho descritto, e poiché essendo cattolico sono razionalista quindi mi rifiuto di credere a un poltergeist o a un buco spaziotemporale nello stesso luogo in cui leggo il Guerin Sportivo, ho dedotto che avevo effettivamente preso la moneta e l'avevo effettivamente riposta da qualche parte a scopo cautelativo, senza però rendermi conto di dove l'avessi riposta né ricordare il menomo indizio che potesse ricondurmi al nascondiglio che sì, doveva essere davvero sicuro se nemmeno io l'ho rintracciato.

Questo è notoriamente il primo sintomo del futuro completo svanimento del mio cervello: una malattia di fronte alla quale non si può restare indifferenti. Pertanto a chiunque sarà così sensibile dal contattarmi privatamente fornirò le coordinate per potermi testimoniare la propria solidarietà versandomi due euro contro il rimbambimento precoce. Con un piccolo aiuto potete fare molto. Grazie.

lunedì 14 ottobre 2013

Il metodo infallibile per misurare la stupidità di una persona, quanto meno fra quelle attive sui social network, consiste nell'andare poniamo caso su facebook e contare quante immagini suggestive ha pubblicato sullo sfondo di densi aforismi di autori famosi. Bisogna fare dei distinguo però: questi poster virtuali si trovano già disponibili online e non hanno bisogno di alcuno sforzo creativo da parte del fruitore e diffusore; le immagini sono totalmente irrelate al contenuto delle parole cui fanno da sfondo; gli aforismi sembrano quasi tutti sorteggiati da manuali di autoaiuto; la loro attribuzione a celebri autori è di natura per lo più apocrifa.

Qualche esempio teorico: "Per realizzare i propri sogni bisogna dormire sempre con gli occhi bene aperti" (Oscar Wilde); "Solo di una persona mi fido più di un prete, e quella persona è l'umanità" (Voltaire); "Si può uccidere un uomo mille volte ma il suo ricordo vivrà finché vive chi lo ama" (Giovanni Falcone). Ovviamente sono tutti fasulli, li ho inventati negli ultimi due minuti e anzi mi chiedo perché mai io non lo faccia per mestiere; forse perché avrei difficoltà a rintracciare immagini suggestive con cui decorarli adeguatamente. Se giustamente non vi fidate di me e gradite qualche esempio pratico, mi basta andare sul profilo di OMISSIS e trovare un gabbiano che vola su un cielo dov'è scritto "Dona a chi ami Ali per volare... Radici per tornare... e Motivi per rimanere" (Dalai Lama); oppure sul profilo di OMISSIS-BIS e rinvenire una vegliarda che guarda severa la scritta "Nei ragionamenti del cervello c'è logica, nei ragionamenti del cuore ci sono le emozioni" (Rita Levi Montalcini); oppure sul profilo di OMISSIS-TER e scovare una palafitta con sopra il cartello "Tutti siamo utili, nessuno è indispensabile, ma onestamente qualcuno non serve a un cazzo" (Alberto Sordi).

Tutto questo per dire che questa proliferazione di citazioni immaginarie fa perdere forza e credibilità a quelle poche che sono vere; ad esempio: "Non so con quali armi si combatterà la terza guerra mondiale, ma la quarta sicuramente con sassi e clave" (Albert Einstein), abitualmente decorata con un panorama delle Alpi Svizzere innevate. Si tratta tuttavia della mia preferita perché non perde di attualità col passare dei secoli né perde di senso col mutare dei contesti: io ad esempio non so chi vincerà le ultime elezioni della seconda repubblica, ma le prime della terza sicuramente la Democrazia Cristiana.

domenica 13 ottobre 2013

Aosta, Bergamo, Cagliari, Caserta, L'Aquila, Lecce, Mantova, Matera (Matera?), Palermo, Perugia, Pisa, Ravenna, Reggio Calabria, Siena, Siracusa, Taranto, Torino, Urbino, Venezia: inutile, fra le candidate a capitale europea della cultura per il 2019 Pavia non c'è ma avrebbe potuto esserci, se non altro in quanto città universitaria. In ciò sarebbe stata degna epigona di Oxford dove, se arrivate in treno, la prima cosa che noterete sarà il cartello ferroviario con la dicitura "Oxford: city of learning and culture" ossia "Oxford: città dell'istruzione e della cultura", così saprete quello che vi attende e farete in tempo a scappare. Io ci ero arrivato in autobus dall'aeroporto, quindi pazienza.

Se invece a Pavia togliessimo l'Università, ovvero eliminassimo con un tocco di bacchetta magica tutti i corsi, gli esami, i seminari, gli orari di ricevimento dei docenti, i docenti, gli studenti, i bidelli, le conferenze, le attività culturali parallele, la goliardia e le biblioteche, non solo non potremmo candidarla a città capitale europea della cultura ma otterremmo esattamente Pavia di domenica. Ogni domenica Pavia potrebbe concorrere al titolo di capitale europea della tristezza e proprio stamattina ha posto con grande autorevolezza la propria candidatura, diventando automaticamente favorita verso le 10 quando giù per Strada Nuova ho visto procedere nella mia direzione una banda che suonava la versione luttuosa di "Saran belli gli occhi neri, saran belli gli occhi blu, ma le gambe, ma le gambe, a me piacciono di più" seguita da uno stendardo e uno striscione retti dai rappresentanti dell'associazione mutilati, invalidi, storpi, infermi, menomati, minorati, handicappati, paralitici e impotenti; seguivano nell'ordine inevitabilmente un'ambulanza a passo d'uomo, poi l'autobus 6, poi l'1A, poi un taxi con dentro un passeggere pronto a uccidere chicchessia e infine un'auto d'epoca guidata da un signore d'epoca che dava l'impressione di trovarsi imbottigliato nel traffico dal 1963.

Forse dovrei approfittare delle domeniche per viaggiare, per andare ad Aosta, a Bergamo, a Cagliari, a Caserta, all'Aquila, a Lecce, a Mantova, a Matera (Matera?), a Palermo, a Perugia, a Pisa, a Ravenna, a Reggio Calabria, a Siena, a Siracusa, a Taranto, a Torino, a Urbino, a Venezia e percorrendone le strade chiedere ai passanti se almeno qualcuno di loro ricorda che Genova è stata capitale europea della cultura nel 2004, se almeno uno di loro sa che oggi la capitale europea della cultura è Kosice.

venerdì 11 ottobre 2013

Riguardo alla discriminazione territoriale, in Inghilterra sono all'avanguardia. L'accusa più infamante riguarda la nazionale: il commissario tecnico Roy Hodgson convoca a giocare per l'Inghilterra soltanto dei calciatori inglesi. Lo fa notare Garth Crooks in un appello che va oltre la consueta diatriba fra Inghilterra e Regno Unito, originata dal caso che in tutti gli sport c'è la nazionale della Gran Bretagna ma per le faccende serie, ossia calcio e rugby, esistono le rappresentative locali.

Per il contenuto della rivoluzionaria proposta di Crooks e gli effetti che avrebbe sullo scombiccherato mondo del calcio, vedere il resto dell'articolo sul sito del Foglio.

mercoledì 9 ottobre 2013

Sarà che scrivono lettere ai quotidiani, sarà che concedono interviste agli atei, sarà che piuttosto che credere in Dio ritengono che esista, sarà che dichiarano che comunque se esiste di sicuro non è cattolico, sarà che quando parlano di coscienza individuale qualche malalingua traduce sempre in relativismo, sarà che in una loro università americana hanno preferito insediare un presidente presbiteriano. Fatto sta che ieri mi è capitato un lapsus fenomenale: volevo parlare della cristianizzazione della Cina da parte dei gesuiti e invece m'è scappato detto "la cristianizzazione dei gesuiti".

giovedì 3 ottobre 2013

Sto leggendo il nuovo romanzo di Antonio Pascale, Le attenuanti sentimentali (Einaudi), e mi fa piacere notare che è puntellato da un sorridente scetticismo nei confronti di un'istituzione ormai comunemente accettata: l'amicizia fra uomo e donna. Pascale è un razionalista di buon senso e come me non si capacita dell'universale diffusione di una pratica che è contraria alla logica, alla natura e all'interesse. Solo che lui ascrive il proprio scetticismo ai natali mediterranei, che lo spingono a essere galante in modo quasi caricaturale con le donne per interesse privato, mentre io mediterraneo quantunque penserei piuttosto all'interesse collettivo.

Sono ancora a metà libro quindi non so (presumo di no) se a un certo punto Pascale sbotterà e dirà quel che penso, ossia che l'amicizia fra uomo e donna è il primo gradino della distruzione del maschio: seguono la lotta all'omofobia, che sotto una formula educata configura il reato di eterosessualismo; la progressiva confusione dei confini fra corteggiamento e stalking, che presto ci farà desistere dall'attaccare discorso con qualcuna oggi per timore di essere denunciati domani; l'ideologia isterica che scorge in ogni uomo un potenziale operatore di femminicidio. In cima alla scala si trova il risultato concreto, ossia un tasso di natalità tendente al limite zero.

Allora, suggestionato da tali implicazioni recondite della lettura del romanzo di Pascale, stanotte non sono riuscito a chiudere occhio ma ne ho approfittato per elaborare una modesta proposta per prevenire che l'assenza di figli diventi un fardello per i mancati genitori e per la nazione. Eccola: se le forze dell'ordine colgono in flagrante un uomo e una donna seduti allo stesso tavolo o a passeggio insieme, chiedano loro se sono sposati o fidanzati. Se rispondono di no, chiedano con discrezione se sono forse amanti, o se quanto meno si bacino di nascosto. Se i due persistono nel rispondere sdegnati di no protestando di essere amici e basta, venga loro comminata una sanzione pecuniaria, rispettivamente di € 50 all'uomo e di € 250 alla donna, quest'ultima da raddoppiare qualora la violazione sia stata commessa in combutta con un uomo che si dichiara gay, intervenendo nella fattispecie l'aggravante dell'omissione di soccorso. Una misura del genere potrebbe rendere meno verosimile un futuro di bambini tutti chiamati Maometto e magari perfino superfluo l'aumento dell'Iva.

sabato 28 settembre 2013

Un trentaseienne le scrive chiedendo se immedesimarsi nelle attrici mentre guarda porno su internet lo renda automaticamente gay o transessuale, magari inconsciamente visto che nella vita vera non mette in atto le proprie fantasie; e lei, con la santa pazienza, gli risponde di smettere di preoccuparsi perché le fantasie non influiscono sulla vita vera, altrimenti con le copie che ha venduto Cinquanta sfumature sarebbero esaurite fruste e manette in tutte le rivendite da Londra a Vanuatu.

La lei in questione è Mariella Frostrup, che tiene sull'Observer la posta del cuore dei progressisti inglesi e che dalla prossima settimana commenterà dal vivo in tv le prestazioni sessuali di britannici che si accoppieranno in una scatola insonorizzata con le telecamere intorno. La trasmissione si chiamerà Sex Box. Sul Foglio di oggi spiego perché non è un format trasgressivo ma politicamente corretto.

mercoledì 25 settembre 2013

Se da un dialogo franco ma rispettoso può partire un percorso intellettuale florido, da cui entrambe le parti in causa possono trarre vantaggio, è vero altresì che questo dialogo non è possibile fino a che le due parti non riescano a trovare un terreno comune sul quale confrontarsi e, soprattutto, un linguaggio intermedio sul quale intendersi onde evitare sgradevoli equivoci. Non sempre è facile perché, quale che sia la posizione che si sostiene, risulta spesso difficile - quanto meno per abitudine - abbandonare l'argomentazione consueta, magari un po' ritrita. L'alternativa è allora incontrarsi in una soluzione di compromesso in cui scambiarsi proficuamente forma e contenuto: ad esempio, per dialogare con gli intellettuali non credenti, Bergoglio e Ratzinger hanno deciso di adottare la loro forma, ossia la lettera/articolo sul giornale che racchiude le loro opinioni più preziose, Repubblica. A questo punto è giusto riconoscere che nemmeno il quotidiano di largo Fochetti è rimasto con le mani in mano ed è infatti subito corso incontro operoso alle istanze dei Papi, riconoscendone implicitamente la statura teologica nell'adottare senza indugio il loro contenuto, ossia il lessico evangelico. Ancora non si era spenta l'eco della formidabile lettera di papa Francesco a Eugenio Scalfari che, evidentemente mossa a sincera conversione del cuore, Repubblica ha subito porto Odifreddi, l'altra guancia.

domenica 22 settembre 2013

Papa Francesco, Eugenio Scalfari, il Messaggero di Sant'Antonio, il Concilio, Attila, l'Enciclica, la porta stretta, l'Illuminismo, gli ebrei, l'Innominato, Horacio Verbitsky, Leo Messi, il filo del peccato e la R maiuscola. Tutto questo nel mio commento alla lettera del Papa a Repubblica, ora disponibile anche sul sito di Tempi.

sabato 21 settembre 2013

Lo aveva detto Horacio Verbitsky, che a Buenos Aires aveva studiato Bergoglio per benino: sinistra globale, attenta, questo ti rivolta come un calzino perché ha l'umanità di Wojtyla, la dottrina di Ratzinger, la stoffa politica di entrambi sommati e va bene le scarpe comode, va bene la macchina a diesel, ma è gesuita, non francescano.

Su Tempi in edicola questa settimana azzardo cinque pagine di analisi tattico-dottrinale della risposta a Scalfari scritta su Repubblica da Papa Francesco, il teologo immarcabile.

venerdì 20 settembre 2013

Libertà di parola è un interessante libretto divulgativo di Nigel Warburton, pubblicato in Inghilterra qualche anno fa e appena tradotto per i tipi di Raffaello Cortina Editore. Warburton parte dall'assunto che essere favorevoli alla libertà di parola tout court non ha senso: bisogna piuttosto interrogarsi su dove porre un limite alla libertà di parola; ha senso infatti dichiarare di essere favorevoli alla libertà di parola fin qui e non oltre, e discutere su dove piazzare il "qui". Al riguardo Warburton espone la teoria di On Liberty di John Stuart Mill e a questa luce analizza alcuni casi estremi del nostro tempo, i quali hanno immancabilmente a che fare con i due confini più intimi dell'identità individuale: il sesso e la religione.

Questo riassuntino è a beneficio del prefatore, il quale si affanna invece per capire se in Italia ci sia un problema con la libertà di parola dovuto a cause per diffamazione e leggi bavaglio. Non si può pretendere tutto, quindi pazienza. Spiace dirlo ma lo stesso prefatore è anche traduttore. A pagina 47 va in confusione sulla Oxford Union, facendo capire che con ogni evidenza non ha ben chiaro cosa sia e soprattutto che non ha avuto tempo di documentarsi. Peccato perché gli sarebbe bastata una ricognizione su google per scoprire che si tratta della più celebre associazione di studenti oxoniensi, un po' presuntuosi in verità, di cui è stato dirigente anche il giovane Tony Blair. Ma non è grave.

A pagina 59 inciampa in una parentesi sulla canzoncina che conclude il film Brian di Nazareth e sbaglia la traduzione perché non ha presente chi canti e in che contesto; di conseguenza non può capire che forma verbale venga usata nella citazione. Peccato perché se avesse cercato su youtube avrebbe trovato lo spezzone e se avesse guardato l'intero film dei Monty Python si sarebbe anche divertito oltre ad avere qualche nozione in più su un caso al quale Warburton dedica un paio di pagine. Ma nemmeno questo è grave.

A pagina 109 definisce "poesia" The Waste Land di T.S. Eliot, confondendo un poema lungo complesso e articolato con l'Infinito o forse con la Vispa Teresa. Non sarà grave neanche questo, volendo, ma tre indizi fanno una prova e mi viene spontaneo invocare un preciso limite alla libertà di parola dei traduttori. Voglio ben vedere se, dopo l'ardita prefazione che ha scritto, gli viene da farmi causa per diffamazione o da invocare una legge bavaglio per i lettori.

giovedì 19 settembre 2013

Prolisso, ingessato, quello che vi pare, il discorso di Berlusconi (meglio scritto che pronunciato) fila liscio fino all'elenco dei motivi per i quali, cito, "riprendere in mano la bandiera di Forza Italia". Berlusconi puntella l'argomentazione ricorrendo alle anafore come nel 1763 il poeta religioso Christopher Smart aveva espresso i motivi per cui ringraziare Dio nello sterminato carme Jubilate Agno: perché... perché... perché...., ripetuto centinaia e centinaia di volte. Berlusconi si limita a sei.

Al quarto "perché" ho un sussulto. "Perché Forza Italia difende i valori della nostra tradizione cristiana, il valore della vita, della famiglia, della solidarietà, della tolleranza verso tutti a cominciare dagli avversari". Ha veramente detto "tradizione cristiana"? Riascolto il video, rileggo la sbobinatura; l'ha detto davvero. E' una considerazione incidentale che prende in contropiede coloro che si aspettavano una tiritera sulla magistratura politicizzata, ma li prende talmente in contropiede che non se ne accorgono e continuano a parlare di attacco alla giustizia, ritorno al passato, toni da guerra fredda, senza avvedersi che negli ultimi minuti di discorso Berlusconi li ha distanziati e se n'è andato per conto proprio, seguendo la corda pazza in una direzione imprevista.

Segue, grossomodo, la direzione di Edmund Burke, che al marasma della Rivoluzione Francese contrappose l'ideale di una società di plotoncini ("little platoons") di cittadini, famiglie raccolte in vicinati circoscritti che si aiutano a vicenda, proteggono l'uno la vita dell'altro e soprattutto ne garantiscono la libertà a discapito delle differenze che li separano. Gli echi nel discorso di Berlusconi sono impressionanti: vuole "un progetto nazionale che unisce tutti", "uomini che amano la libertà e che vogliono restare liberi", "lo Stato al servizio dei cittadini e non invece i cittadini al servizio dello Stato". E' Burke il ghost writer di Berlusconi? Non lo so, non credo, è morto nel 1797. Fatto sta che intanto la teoria di Burke è stata ripescata nel progetto della Big Society di David Cameron, il quale intanto poteva auspicare questi benevoli plotoncini in quanto i Conservatori hanno (o dovrebbero avere) un'idea della società fortemente radicata sulla religione: addirittura soleva dirsi che la Chiesa d'Inghilterra fosse il Partito Conservatore inginocchiato a pregare.

Berlusconi ha in mente qualcosa del genere? E' questo il senso della difesa della tradizione cristiana, l'idea che una società politica possa funzionare solo se se ne attuano i valori? Non lo so, spero di sì e il seguito del discorso mi lascia ben sperare. Rinvengo un'esplicita spia lessicale quando invita i cittadini, che dovrebbero essere mossi alla partecipazione politica e all'aggregazione nei famosi plotoncini, a farsi "missionari della libertà". Di tutte le metafore che poteva scovare, sceglie proprio quella religiosa; sarà per caso? Ascolto con crescente attenzione e quasi svengo quando decide di concludere il discorso culminando in un appello che non parla né di giudici da destituire né di tasse da abbattere: "La libertà è l'essenza dell'uomo e Dio, creando l'uomo, l'ha voluto libero".

Punto primo, a quasi cinquecento anni dalle Tesi di Wittenberg finalmente arriva un ceffone in pieno viso a Martin Lutero e al suo servo arbitrio. Punto secondo, il Dio di Berlusconi non è un Dio da baciapile, che decide della gestualità rituale ma rende molli o imbelli di fronte ai grandi temi della vita e della politica; è un Dio che decide dell'essenza dell'uomo, è un Dio da combattimento. Punto terzo, avete mai sentito Pierferdinando Casini, leader dell'unico partito teoricamente confessionale d'Italia, l'unico che sfoggi una croce sullo stemma, parlare di Dio? - attenzione, non di preti o gerarchie o di politichetta d'Oltretevere: proprio di Dio? Punto quarto, potrei sbagliarmi ma magari un domani il videomessaggio di Berlusconi sarà ricordato non tanto come l'inizio della sua fine quanto come il ritorno di Dio nella politica d'Italia, dopo il tacito allontanamento coatto al quale non si oppose la Democrazia Cristiana.

[Poscritto: Christopher Smart scrisse Jubilate Agno in manicomio.]

giovedì 12 settembre 2013

A pregare non cresce l'erba: questa è la grande scoperta del positivismo. Ne "L'illusione di Dio" Richard Dawkins riporta l'aneddoto secondo cui lo statistico e meteorologo inglese Francis Galton, cugino di Darwin e coniatore del termine "eugenetica", s'inginocchiò a pregare nei campi per vedere se le piante sarebbero cresciute più in fretta. Naturalmente non avvenne e lui ne trasse ulteriore conferma dell'inutilità della preghiera.

Sul Foglio in edicola oggi parlo delle Indagini statistiche sull'efficacia della preghiera che Francis Galton scrisse nel 1872 e che sono appena state tradotte per la prima volta in Italiano dall'editore Il Melangolo.

mercoledì 11 settembre 2013

Spero che non esistano, ma eventuali gurradomani che volessero venire a Modena per seguire esclusivamente le conferenze che introduco io possono segnarsi il calendario che illustro di seguito. Venerdì 13 settembre alle 10, in piazzale Re Astolfo a Carpi, presento Eugenio Lecaldano che parla della Teoria dei sentimenti morali di Adam Smith, e lì di seguito, alle 11:30, Virgilio Melchiorre che parla del Diario di un seduttore di Kierkegaard. Sempre venerdì 13, alle 21, in Piazza Grande a Modena presento la serata con Massimo Gramellini. Sabato 14 invece, a Sassuolo, in piazzale Avanzini alle 10 presento la lezione magistrale "Legami, relazioni e tradimenti" di Gabriella Turnaturi; sempre a Sassuolo, ma in piazza Garibaldi alle 11:30, presento quella di Luc Ferry intitolata "Matrimonio d'amore". Sabato sera invece, a Modena alle 21, introduco la lettura di Patrizia Valduga a Palazzo Santa Margherita (vulgo biblioteca Delfini). Domenica infine, alle 16:30 in Piazza Grande a Modena, presento la lezione di Franco La Cecla su "Il campo maschile".

sabato 7 settembre 2013

In The Art of the Novel, in cui sono raccolte tutte le prefazioni anteposte da Henry James ai propri romanzi, viene spiegato che molte delle sue impeccabili pagine narrative non erano che il frutto di lunghe passeggiate che gli suscitavano episodi e riordinavano i pensieri. Io, oggi, avevo intenzione di scrivere ma non sapevo cosa; forse qualcosa su Corrado Augias, celebre autore de I segreti di Roma, I segreti di Parigi, I segreti di Londra, I segreti di New York, il quale, avendo finito le città o magari i segreti, ha scritto Inchiesta su Gesù e ora, freschissima, Inchiesta su Maria; ormai il cerchio si chiude attorno a San Giuseppe, mentre si vocifera che i Re Magi stiano già latitando in un qualche paradiso fiscale.

Eppure, sarebbe valsa la pena di scriverne? Immerso in questi pensieri camminavo chiedendomi se fosse possibile scindere la forma dal contenuto, ovvero se si potesse scrivere nella consapevolezza di non avere nulla da scrivere, a parte Corrado Augias, quand'ecco che all'angolo fra Strada Nuova e Piazza Vittoria, lì dove riluce Annabella, nel punto di massima intensità peripatetica a causa dell'incrocio fra cardo e decumano,  mi si para dinanzi un giovinetto e mi porge un volantino. Lo raccolgo, presumendo che si tratti del banchetto per la sottoscrizione dei referendum radicali, ma mi accorgo che il simbolo è diverso - una spada bianca a separare due lettere maiuscole su fondo nero - e che inoltre gli attivisti all'ombra del gazebo sono tutti ragazzini, in numero pari alla metà di agenti delle forze dell'ordine che li circondano, e ciascuno a sua volta alto e grosso la metà di ogni poliziotto.

Proseguendo la camminata, perizio il volantino. Sarà forse la pubblicità di una qualche mascherata medievale? Reca infatti il ritratto stilizzato di un battaglione di guerrieri tardoantichi, lancia in resta e spazzolone in testa, sovrastati dal motto "Fiero l'occhio svelto il passo". Macché. Si tratta del gruppo Lotta Studentesca, il cui programma non è la riorganizzazione dell'umanità per centurie bensì - spiega il retro - "sensibilizzare l'opinione pubblica sul futuro incerto che attende noi giovani". Li attendono infatti, in stampatello grassetto, "precariato, apprendistato, disoccupazione, cassa integrazione, licenziamenti. Etc...". Soprattutto non li attende "alcuna prospettiva di un qualsiasi lavoro fisso", sottolineato addirittura a significare che tale è la meta verso la quale marcia invitto il battaglione stilizzato; è la scrivania sempiterna, con ferie pagate e scatti d'anzianità, ciò che esige lo spadone erto fra la elle e la esse maiuscole, torreggiante nel cerchietto nero.

"Anche tu", impetra il volantino preparandosi a un profluvio di punti esclamativi, "aiutaci in questa cruciale battaglia peril nostro futuro!!!". Peril tutto attaccato, come l'aulico termine inglese per periglio. E culmina, l'appello, in cubitale: "No al governo Monti!!!". Rileggo; è scritto proprio Monti. O sanno qualcosa che io non so, i giovani centurioni, oppure l'occhio sarà pur vispo, fiero, quello che è, ma il passo proprio svelto non mi sembra.

giovedì 5 settembre 2013

In tempi di turbocapitalismo e crisi e furore a grappoli quale editore meglio di Feltrinelli potrebbe infatti valorizzare un grande arrabbiato come Luciano Bianciardi, che proprio il fondatore Giangiacomo aveva chiamato a Milano all'apertura della nuova impresa?

Se non che, pubblicando nuove edizioni de Il lavoro culturale e La vita agra, Feltrinelli s'è dimenticata L'integrazione, il romanzo di mezzo in cui si può leggere dei primi passi della casa editrice che a questo punto passerà alla storia per avere inventato la trilogia col buco. I dettagli sul Foglio di oggi.

mercoledì 4 settembre 2013

L'editore Utet ha appena pubblicato il nuovo libro di un'affermata filosofa e scrittrice, un'autorità negli ambienti della società culturale parigina, che s'intitola L'amore è tutto: è tutto ciò che so dell'amore e che, come tale, si colloca al punto esatto di congiunzione fra due filoni del pensiero occidentale.

Uno è quello di Platone, La Repubblica, Aristotele, Metafisica, Sant'Agostino, La città di Dio, San Tommaso, Summa theologiae, Niccolò Machiavelli, Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio, Thomas Hobbes, Leviatano, Renato Cartesio, Meditazioni metafisiche, Baruch Spinoza, Ethica more geometrico demonstrata, Isaac Newton, Principii matematici di filosofia naturale, John Locke, Saggio sull'intelletto umano, David Hume, Ricerca sull'intelletto umano, Immanuel Kant, De mundi sensibilis atque intelligibilis forma et principiis, Johann Gottlieb Fichte, Fondamenti dell'intera dottrina della scienza, Friedrich Wilhelm Joseph Schelling, Sull'Io come principio della filosofia e sull'incondizionato nel sapere umano, Georg Wilhelm Friedrich Hegel, Fenomenologia dello spirito, Arthur Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione, Soeren Kierkegaard, Enten-eller, Ludwig Feuerbach, L'essenza del Cristianesimo, Karl Marx, Il capitale, Friedrich Wilhelm Nietzsche, Al di là del bene e del male.

L'altro è quello di Claire Dyer, Tutto questo parlare d'amore, Catherine Dunne, Tutto per amore, Colleen Hoover, Tutto ciò che sappiamo dell'amore, Cecilia Samartin, Tutto l'amore di Nonna Lola, Giuseppe Di Costanzo, Tutto tranne l'amore, Drago Lopez Jordan Lora, Più forte di tutto l'amore, Emily Griffin, Tutto per amore o quasi, Fiona Neill, Tutto l'amore che c'è, Giovanna Melita, Dove l'amore può tutto, Francesca Colosi, Tutto è perduto fuorché l'amore, Wilfrid Stinissen, Più grande di tutto è l'amore, Monica Santucci, Tutto l'amore, Novello Pederzini, Tutto per amore, tutto con amore, Elena Narbone, Con tutto il mio amore, Sandro Carriero, Con tutto l'amore, Francesca Tinelli, L'amore... e tutto il resto, Bell Hooks, Tutto sull'amore, Alfredo Trotta, Tutto per amore, Salvatore Saladino, L'amore nonostante tutto.

domenica 1 settembre 2013

In Italia la destra è in crisi d'identità: si vede da come ha reagito alla nomina dei nuovi senatori a vita. Anziché stare a fare micragnose questioni su come vengono spesi i soldi della gggente o sull'evenienza di sostituire Abbado con Muti e Rubbia con Albertazzi, una destra autenticamente patriottica avrebbe piuttosto dovuto constatare che i quattro nuovi senatori devono ampia portata e pieno riconoscimento della propria fama a terre straniere: Abbado ai Berliner Philharmoniker, la Cattaneo al Mit di Boston, Piano a un concorso parigino per architetti emergenti e Rubbia al Cern di Ginevra. I quattro laticlavi certificano, sigillano e ceralaccacno l'idea che l'Italia è ormai periferia, landa di emigrazione culturale colonizzata nell'animo più profondo.

Una destra autenticamente aristocratica, promotrice del riconoscimento dei meriti dei più bravi, ne avrebbe invece approfittato per auspicare che non quattro ma trecentoquindici fossero i senatori di nomina presidenziale (di nomina regia sarebbe meglio, ma è un discorso lungo), quale espressione delle eccellenze della nazione in ogni settore anziché dell'arbitrio del popolo mitigato da un premio di maggioranza su base regionale. Se andate in Gran Bretagna e parlate foss'anche col più ottusamente progressista dei liberaldemocratici, prima vi dirà che non si può andare avanti ad assegnare ereditariamente larga parte dei seggi della Camera dei Lord, e magari ha ragione, ma ammetterà anche che una camera elettiva basta e avanza per prendere decisioni, e che all'uopo c'è già la Camera dei Comuni; vorrebbe piuttosto che in futuro i Lord fossero scelti fra i migliori ingegni britannici in ogni campo, fornendo una rappresentanza trasparente a lobby e gruppi di potere intellettuale, commerciale e finanziario, legando i loro interessi a quelli della nazione.

Immaginate che a Palazzo Madama siedano un paio di ex presidenti della repubblica, una manciata di ex premier e trecento rappresentanti del meglio che l'Italia ha prodotto nella scienza, nella tecnica, nelle belle arti, nella musica, nella letteratura, nell'insegnamento, nello sport, nella comunicazione, nell'agricoltura, nell'industria e nel turismo. La Camera resterebbe sola a legiferare come rappresentanza degli auspici dei cittadini mentre il Senato incarnerebbe lo spirito della nazione, col diritto di vetare (una sola volta) le leggi e soprattutto di suggerirne il miglioramento con la moral suasion, non a colpi di emendamentini. Fate quest'esperimento: su un foglio incolonnate in ordine alfabetico i nomi dei rappresentanti del popolo in Senato e di fianco componete una colonna con trecentoquindici nomi di italiani dal conclamato merito professionale. Con gli accoppiamenti ottenuti riga per riga, valutate poi se valga la pena di mantenere sul seggio il senatore in carica o di farci accomodare il celebre compatriota. Io non sono stato a sperimentare tutti gli accoppiamenti, lo ammetto; per la noia mi sono fermato a Crimi, Vito.

[Disponibile anche sul battagliero sito del settimanale Tempi.]

giovedì 29 agosto 2013

Poniamo che voi paghiate, o abbiate dovuto pagare, cento talleri di Imu; e che ora, abolitala, a partire dall'anno venturo dobbiate pagare in tassa sui servizi  esattamente gli stessi cento talleri. Ebbene, vi converrebbe anche se non risparmiate. L'imposta sulla prima casa infatti è odiosa perché è una tassa sul fastidio. Uno è nato per scelte indipendenti dalla propria volontà e da qualche parte deve pur dormire; se gli piove addosso un immobile in eredità secolare, o se a furia di lavorare risparmiando decide di alleggerirsi il conto in banca puntando sul mattone, ecco arriva l'Imu a dirgli che avrebbe fatto meglio a non lavorare, che se i suoi genitori defunti avevano una casa è colpa sua e che, se proprio deve dormire da qualche parte, è giusto che paghi per il disturbo che arreca gravando il suolo: non gli sarebbe convenuto sforzarsi di non nascere? Inoltre l'Imu contiene in sé un paradosso, e cioè che un suo innalzamento indiscriminato renderebbe conveniente a tutti vivere in affitto in una casa di proprietà altrui, ma a nessuno avere una casa propria da affittare agli altri. Moriremmo in breve tempo tutti senzatetto.

Poniamo invece che io viva in una città immaginaria che per convenzione chiameremo Modena. Il Comune mi mette a disposizione autobus frequenti che vanno da un capo all'altro in mezz'oretta; chiude il centro al traffico per farmi passeggiare con comodo ma garantisce il transito ai residenti; si assicura che sulle piste ciclabili si vada in bicicletta e che sui marciapiedi si marci a piedi. Inoltre prende una biblioteca e la riempie di libri, ma scelti fra quelli che la gente ha voglia di leggere con divertimento e profitto; dove vanno gli adulti allestisce anche spazi per i bambini presumendo genialmente che i primi possano avere dei figli e che i secondi possano avere dei genitori; addirittura differenzia la raccolta dei rifiuti e per soprammercato organizza eventi culturali gratuiti, con un occhio di riguardo alla campagna per raccomandare ai più disinvolti di fare poco baccano in giro dopo la mezzanotte ché magari al piano di sopra c'è la vecchietta che deve riposare o lo studente che l'indomani ha l'esame. Io, se vivessi a Modena, in tasse sui servizi verserei volentieri anche il doppio di quanto mi sottrae l'Imu perché il Comune si fa garante del mio benessere e ho l'obbligo di finanziare i miei alleati e protettori.

Poniamo invece che io viva in un'altra città immaginaria, che per convenzione chiameremo Gravina. Il Comune mette a disposizione autobus invisibili a cittadini molto distratti i quali non li vedono passare mai; il centro storico è aperto al traffico, così che nelle stradine più anguste i pedoni debbano consentire il passaggio delle automobili salendo su marciapiedi che non di rado si trovano altrove; quelle parcheggiate in divieto di sosta non hanno la multa sul parabrezza perché forse i vigili urbani si dispiacciono, e i bidoni della differenziata sono accuratamente nascosti, con l'ovvia eccezione di quelli che fungono da pubblico vespasiano. Viene organizzato il concorso Balconi Fioriti così che cittadini e turisti passeggino ammirati col naso all'insù finendo regolarmente coi piedi nelle deiezioni canine, quando non semiumane, che i copertoni hanno previamente provveduto a spalmare sull'asfalto senza che a nessun assessore sia venuto in mente non dico di inviare un furgoncino che ripulisca ma quanto meno di organizzare il concorso Strade Cacate. Potrà sorprendervi ma io, se anche vivessi in un posto del genere, sarei altrettanto felice di versare una tassa sui servizi: può comunque essere un'occasione per salire in municipio e sputare in faccia al sindaco, perché quando c'era l'Imu io davo fastidio a lui ma dall'anno venturo sarà lui a dar fastidio a me.

martedì 27 agosto 2013

Il guaio è che siamo ancora fermi al 1977. Era l’anno di “Un borghese piccolo piccolo”, con Alberto Sordi che accompagna il figlio al concorso per il Ministero. Arriva la convocazione alla prova scritta tempo tre settimane, il figlio dichiara di star già iniziando a cacarsi sotto, il padre lo rimprovera di non fare così ché sembra sua madre, la madre protesta ma intanto va in chiesa a fare stregonerie con l’acquasantiera, il figlio teme comunque di non farcela, il padre prende le ferie per aiutarlo a prepararsi e gli ripete che se fanno il loro dovere, tutti e due a tavolino fino a tarda sera, ce la faranno. E poi, il giorno del concorso, viene scandito il lento rituale: la mamma che assiste il ragazzo mentre s’infila i calzini, il segno della croce prima di uscire di casa, la dormita in tram, il cornetto al bar; questo ragazzo che non è più un ragazzo, imbolsito, vestito come uno studente di scuola media affetto da gigantismo, ha sette biro in tasca per timore che finisca l’inchiostro e lo sguardo spento di un perfetto Vincenzo Crocitti che a ogni passo sembra più vecchio del padre dal quale si fa trascinare verso il posto fisso, verso lo Stato che – esclama Alberto Sordi – non fallisce mai.

Sul Foglio di oggi trovate un paginone in cui racconto il dipanarsi del concorso docenti convocato dall'ex ministro Proumo, spiego la differenza fra professori e alunni, faccio due complimenti a Mariastella Gelmini e incidentalmente ammetto di essere anch'io nato di donna. 

[Ora disponibile anche sul sito del Foglio.]

lunedì 26 agosto 2013

Ora che è iniziato il campionato di Serie A, per gli scrittori italiani sono guai. Il mio articolo di sabato scorso da oggi è reperibile sul sito del Foglio.

domenica 25 agosto 2013

"Mica per niente si chiama Sabato Sprint", ha detto ieri non so con quanta ironia Sabrina Gandolfi a mezzanotte meno venti, cinquanta minuti dopo l'inizio della trasmissione, lanciando il servizio sulla partita delle 18 per il quale mi ero rassegnato ad aspettare fino a ottobre.

Su Quasi Rete, il blog letterario della Gazzetta dello Sport, oggi avanzo una modesta proposta alla Rai: o cambiare la scaletta di Stadio Sprint, o cambiare il titolo della trasmissione.

sabato 24 agosto 2013

È difficile seguire il consiglio di Hemingway in “Fiesta”, cioè che lo scrittore deve traghettare dagli atti rituali dello sport alla mitologia che sedimenta nella memoria collettiva; impastoiarsi nel rito è da grigi cronisti, strombazzare il mito da editorialisti faziosi.

Ho letto C'è un grande prato verde (Manni) e ho capito perché quando inizia il campionato di Serie A gli scrittori italiani vanno in crisi. Spiego tutto in prima pagina sul Foglio di oggi.

giovedì 22 agosto 2013

Io purtroppo voto in Puglia quindi qualche anno fa un signore mi aveva chiamato apposta per dirmi: "Non m'importa cosa pensi dei comunisti, non m'importa cosa pensi degli omosessuali, parlo a te in quanto giovane; stavolta non puoi non votare Nichi Vendola, perché non è un politicante ma un poeta". Lì per lì non ho trovato di meglio che rispondere che Nichi Vendola non lo avrei votato affatto: nulla contro gli omosessuali, figuriamoci contro i comunisti, ma lo scrivere poesie mi sembrava una responsabilità troppo grande per passarla sotto silenzio. Da allora sono trascorsi quasi due mandati da governatore della Puglia e ho sempre mantenuto nei confronti di Vendola un'istintiva diffidenza, come di fronte a un nemico conclamato, di un'intensità tale che nemmeno decine di sillogi versificate sarebbero in grado di giustificare.

Finché stamattina sul dorsetto barese del Corriere della Sera ho letto un articolo sul governatore dell'Abruzzo Gianni Chiodi il quale suggerisce di chiudere l'Università di Bari per i magri risultati che ha mietuto nella graduatoria nazionale di valutazione della ricerca. Nella polemica è intervenuto Nichi Vendola, il quale prima mi informa che in Italia ci sono troppo pochi laureati, mentre io erroneamente credevo che ci fossero troppi laureati disoccupati; poi contesta un'iniziativa del governo Letta volta a incentivare con apposite borse di studio gli studenti meritevoli che decidano di andare a studiare fuori dalla propria regione. "Se ciò accadesse", dichiara Vendola, "sarebbe l'anticamera di una vera e propria emigrazione culturale verso le Università del Nord e noi non lo permetteremo", plurale majestatis.

Se ne deduce che la Puglia brulica di studenti meritevoli i quali, se solo qualcuno li finanziasse, vorrebbero scappare a studiare al Nord; ma Nichi Vendola, l'eroe di noi giovani, è pronto a tutto pur d'impedirlo, proferendo loro queste parole di cui faccio la parafrasi in prosa corrente: "Io vi salverò, io non permetterò che le migliori menti della mia regione siano costrette ad andare a studiare in università lontane, magari classificate ai primi posti della graduatoria Anvur per la valutazione della ricerca, col rischio che i pugliesi di domani vengano posti di fronte a una proporzione studenti/professori inferiore all'ordine delle tre cifre o che addirittura, in un futuro non troppo lontano, trovino un lavoro retribuito. Né lascerò che siano sottoposti a esami che si svolgono nella data prestabilita, alla mercé di docenti reperibili negli orari di ricevimento, venendo magari alloggiati in strutture non fatiscenti e talvolta perfino finanziate da benefattori e mecenati. Non voglio che gli studenti pugliesi vadano a finire in regioni più ricche e produttive, né che si confrontino con realtà estranee, e dovrà passare sul mio cadavere chiunque voglia surrettiziamente spingerli a maturare allontanandosi da papà e mammà. Perché a un giovane meritevole, solo perché è nato in Puglia, non devono essere negate le stesse opportunità di un giovane nato al Nord?".

Già, perché? Io non lo so con precisione ma da oggi so perché, quando vedo una foto di Nichi Vendola, mi si rizza il pelo sulla schiena come ai gatti.

[Ora è disponibile anche sul sito di Tempi, con foto di Nichi Vendola per provare se fa lo stesso effetto anche a voi.]

lunedì 19 agosto 2013

Tutti prendono in giro Franco Bragagna per il tumultuoso accavallarsi di concetti nelle sue telecronache; è un alternarsi di nozioni infinitesimali e metafore friedrichiane, lampi e cantonate, spoonerismi, raggiri di parole e dissociazionni d'idee, aneddoti da caminetto.

Su Quasi Rete recensisco lo stile liberissimo nelle cronache dei Mondiali di atletica di Franco Bragagna, l'ultimo narratore sperimentale.

domenica 18 agosto 2013

Stamattina ho assistito alla Messa non voglio dire più deprimente della mia vita, ma a una che avrebbe potuto essere migliore se il lettore non fosse stato semianalfabeta, se il canto dell'Alleluia non avesse trasudato lassitudine e sconforto, e se, visto che si trattava della Messa per i bambini, ci fosse stato almeno un bambino (il più giovane ero io). Lì ho sentito leggere dal Vangelo: "Sono venuto a portare il fuoco sulla terra; e come vorrei che fosse già acceso! Pensate che io sia venuto a portare la pace sulla terra? No, vi dico, ma la divisione". E' seguita come commento a queste parole un'omelia critica sulla critica di un qualche innominato esponente della Lega al discorso di Papa Francesco a Lampedusa; nonché un'argomentazione contro il compromesso del governo di larghe intese.
Com'è come non è mi sono tornate in mente le parole che ieri avevo letto in Cina e altri orienti di Giorgio Manganelli (Adelphi): in Pakistan "la Corte sentenzia non tanto 'in nome' quanto 'per conto' o 'su delega' di Allah"; "quanto al Capo dello Stato, costui governa a sua volta 'su delega', giacché il mondo non appartiene ad alcun uomo, ma tutto e solo ad Allah". Ancora, il Pakistan è "una comunità sacra - 'umma' - che collettivamente pensa ed è pensata da Dio, e che vive in modo totalmente posseduto dal sacro, in quanto appartenente a Dio"; quindi "non esiste legge dello Stato, anzi non esiste propriamente Stato, ma solo la 'sunna', la tradizione, la legge che la collettività custodisce da sempre". Dichiara infine un pakistano: "Noi siamo una 'umma', esistiamo nel disegno di salvezza di Allah"; "noi siamo un popolo di Dio, una nazione che è tale in quanto pensa ed è pensata da Dio".
Ecco, nel Pakistan del 1979 tutto parlava di Dio mentre nella civile Italia del 2013 tutto parla dell'Imu, dell'agibilità politica, delle prerogative del Quirinale e del rimpasto di governo. Quando prima o poi l'Occidente sarà morto e sepolto, sulla nostra lapide quest'epitaffio sarà scritto: "Avevamo la vera religione / ma non eravamo persone serie".

sabato 17 agosto 2013

Che Yelena Isinbaeva fosse brava lo sapevamo; che sia bella, si vede; adesso scopriamo che è anche intelligente. L'interesse delle sue dichiarazioni sulla presunta legge anti-gay promulgata ad Putin non risiede tanto nella considerazione che la Russia sia diversa e più eterosessuale di altri luoghi; quest'affermazione è statisticamente sindacabile come qualsiasi asserzione sulla sessualità, che è la parte nascosta e sfuggente di ciascuno (anche se, non so se siete mai stati in Russia, non so se avete mai visto le russe, ma se ci siete stati, se le avete viste, mi sembra chiaro il motivo per cui, ecco, ci siamo capiti). Piuttosto mi ha colpito la scioltezza con la quale ha spostato il discorso su un piano differente e superiore, mettendo in evidenza la fallacia degli omosessualisti. Il punto non è infatti stabilire se essere omosessuali sia bello o brutto, né se l'universale affermazione dell'omosessualismo migliorerà o peggiorerà questo mondo scombiccherato. Il punto è invece, come ha detto la Isinbaeva, che le leggi di un paese vanno rispettate dai forestieri che ci passano così come gli abitanti di quel paese devono rispettare le leggi altrui nei propri passaggi all'estero. Gli omosessualisti cercano di affermare la propria convinzione spacciandola per principio universale, e per questo hanno ottenuto che la legge russa che proibisce la propaganda omosessualista in presenza di minori venisse bollata col marchio di "legge anti-gay"; se fosse passato il nome, poniamo, di "legge salva-bimbi" allora la reazione del pubblico superficiale e distratto sarebbe stata presumibilmente diversa. La Isinbaeva, guardando abitualmente il mondo da un'altezza prossima ai cinque metri, ha colto che una legge non deve essere l'affermazione di un principio generale calato dall'alto ma la soluzione di un problema particolare che emerge dal basso; e che come tale deve rispondere alle esigenze di un certo gruppo di persone entro determinati confini. Purtroppo ha ammesso di non parlare bene l'Inglese e di essersi espressa male. Se avesse voluto passare alla storia, alla domanda in conferenza stampa avrebbe potuto rispondere "there is no such thing as mankind", ossia l'umanità non esiste e quindi è inutile cercare principii che valgano per tutti. Esistono degli individui che compiono degli atti e poi ne rispondono alla propria coscienza, eventualmente alla polizia e sicuramente un domani al Padreterno; esistono agglomerati di individui che si danno delle regole circoscritte all'agglomerato, e ognuno può vagliare se e quanto gli convenga trasgredire; a casa propria uno fa cosa vuole e a casa altrui si adegua. Se non gli piace non ci va, e non si sentirà la sua mancanza. Sentendo le dichiarazioni della Isinbaeva infilate da un qualsiasi telegiornale fra le nostre beghe agostane, fra il questicidio e la quellofobia, ho capito che l'Italia sbaglia a rimpiangere di non avere atlete come lei. Avremmo bisogno di donne.

domenica 11 agosto 2013

Mi fanno presente che sul nuovo numero del trimestrale L'Estroverso Raffaella Belfiore recensisce Voltaire cattolico. Si trova anche online cliccando qui.

sabato 10 agosto 2013

Gli italiani, che tragedy, non sanno l'Inglese. Ieri ad esempio è stato diffuso un video in cui il sottosegretario a non so che Michaela Biancofiore dichiarava alla Bbc che Berlusconi è innocent, mica delinquent. Allora giù improperi e sberleffi da parte del cosiddetto popolo di internet, cioè il quarto Stato composto da chi anziché fare qualcosa sta seduto ad aspettare di criticare quello che fanno gli altri: che imbarazzo la Biancofiore che parla Inglese togliendo le vocali in coda alle parole, the vocals from the parols. Ebbene, se il popolo di internet sapesse l'Inglese saprebbe anche che si tratta di una lingua composita che assomma termini di origine sassone a termini di derivazione latina, i quali pertanto spesso coincidono con quelli italiani scevri dell'ultima vocale. Se avesse mai prestato opera di traduzione o interpretariato, il popolo di internet, saprebbe che l'Inglese più diventa difficile per loro più diventa facile per noi, ovvero che i termini inglesi più aulici sono proprio quelli di origine latina che risultano più immediati e intuitivi per gli italiani. Se il popolo di internet avesse quanto meno letto Beppe Severgnini, saprebbe che costui si rallegra all'idea che in quanto italiani latinofoni disponiamo di un arsenale di termini elementari che ci consente di parlare un Inglese sofisticatissimo per i madrelingua. Se possedesse un dizionario Inglese/Italiano, il popolo di internet, potrebbe trovarci scritto (ricopio dal mio Hazon/Garzanti): "Innocent, agg., innocente, non colpevole: the accused (o the defendant) is innocent, l'imputato è innocente. Delinquent, agg., (dir.) colpevole, (amm.) inadempiente, insolvente: s. juvenile delinquent, delinquente minorenne". Ora, non voglio dire che Michaela Biancofiore conosca a memoria il dizionario, ed è magari probabile che andando a intuito sappia l'Inglese a sua insaputa; fatto sta che il famoso popolo di internet è composto da una manica di presumptuous ignorants.

[Ora disponibile anche sul sito di Tempi, il settimanal cattolic & dadaist.]

venerdì 9 agosto 2013

Il fatto, spiega Brooker, è che "la gente prende tutto sul serio. Quando parli sul serio pensa che sei sarcastico e quando sei sarcastico pensa che parli sul serio. La morale, naturalmente, è che la gente dovrebbe smettere di tentare di comunicare".

Sul Foglio in edicola oggi illustro il paradosso di Charlie Brooker, il geniale giornalista inglese (autore di Black Mirror) che scrive di non scrivere per ridurre le emissioni globali di fuffa.

(Per approfondire, qui c'è l'articolo di congedo di Brooker sul Guardian e qui la conseguente inchiesta di Piero Vietti sul Foglio.)

sabato 3 agosto 2013

Spiace che Cécile Kyenge non vada alla festa della Lega; per fortuna non ci vado neanch'io altrimenti ne avrei approfittato per chiederle una cosetta. Lei, precisamente, di cosa si occupa? C'è un vago ricordo della delega all'integrazione, quasi nessuno sa che per colpa della palestra di Josefa Idem le è stata assegnata anche la delega alle politiche giovanili. Le offese che ha ricevuto sono senz'altro becere e gravi, ma quando parlano di lei i quotidiani si limitano a riferire delle sue brillanti reazioni agli insulti, riducendo l'operato della Kyenge alll'integrazione del ministro stesso nel Consiglio dei Ministri. Anche cronisti insospettabili ormai non la definiscono più col titolo corretto del suo dicastero ma come "primo ministro nero della Repubblica", confondendo il ruolo con l'identità e suggerendo tacitamente che il ministro nero in tanto è ministro in quanto è nero. In questo contesto di vacuità tautologica un consigliere comunale del varesotto ha conseguentemente definito la Kyenge "ministro del nulla" ed è stato pavlovianamente tacciato di razzismo nonostante che avesse espresso un giudizio politico, per giunta sul ruolo e non sull'identità della Kyenge. Ecco, Enrico Letta è un politico giovane ma esperto, sagace, furbacchione. Se avesse affidato alla Kyenge Viminale o Farnesina non mi sarebbe importato che il ministro fosse nero, bianco, giallo, rosso o blu; invece ha sottilmente consegnato al ministro nero il ministero che si occupa dell'integrazione, fra gli altri, del ministro stesso. Così qualsiasi critica politica le si fosse mossa sarebbe finita nel mucchio della cagnara sul colore della pelle. Scelta di abilità politica estrema e di sottile, cinico,  machiavellico, quasi soave razzismo.

martedì 30 luglio 2013

Stamattina ho atteso invano che Laura Boldrini e Cécile Kyenge intervenissero a sedare una rissa che era scoppiata al bagno 137 di Rimini, non lontano dai miei piedi. Qualora non avessero voluto esporsi al rischio di strappare un attaccapanni usato come arma impropria dalle mani degli extracomunitari impegnati a rotolarsi sotto l'ombrellone altrui, le due rappresentanti delle istituzioni avrebbero potuto approfittarne per consolare i bambini che piangevano,  tranquillizzare i vecchietti che trepidavano, trattenere le famiglie che scappavano, risarcire i bagnini del danno economico che subiranno in conseguenza del danno d'immagine o quantomeno stigmatizzare la vendita di merce rubata o contraffatta da parte degli immigrati suddetti. Le due alte rappresentanti delle istituzioni tuttavia non si sono viste, forse impegnate in un qualche convegno su integrazione e multiculturalismo. Poco male; quando dall'ombrellone dietro il mio ho sentito una signora condannare l'intervento della polizia dicendo "Eh, poveri immigrati", ho capito che presto non mancheranno molte altre occasioni.

lunedì 29 luglio 2013

Un tempo a Trento avevo la fidanzata; ora invece ci ho l'amico Carlo Martinelli che oggi sul quotidiano Trentino (che in Alto Adige si chiama "Alto Adige") dedica a Voltaire cattolico un box nel novero dei libri da portare sotto l'ombrellone, sempre ammesso che in Trentino e soprattutto in Alto Adige ci siano gli ombrelloni.

martedì 23 luglio 2013

"Eccomi volterriano", scrive sul Giornale in edicola oggi un imponente Camillo Langone scatenato dalla lettura di Voltaire cattolico. Coglie l'occasione per parlare di Vladimir Luxuria e dei soliti papisti più papisti del Papa (tutto si tiene). Potete leggerlo anche sul sito del quotidiano.

sabato 20 luglio 2013

Ultimo forse a essere nato passista, scalatore, cronoman e velocista tutt’insieme, Gianni Bugno decide di non partecipare più al Tour de France. Il giallo avrebbe donato alla manifesta superiorità della sua classe ma è meglio lasciare perdere; finché ci sarà Indurain non c’è speranza e andare in giro per la Francia a fare il treno merci non è confacente.

Su Quasi Rete la quinta e ultima puntata del feuilleton giallo che racconta la storia di come Bugno non vinse ai il Tour. Guest star, Marco Pantani coi suoi ultimi capelli.

mercoledì 17 luglio 2013

Se oggi non avete comprato Libero male, perché tutta la pagina 32 è dedicata a Voltaire cattolico: Gianluca Veneziani parla del mio libro e Marco Respinti ricostruisce il suo contesto intellettuale.

Se non volete spingervi fino all'edicola, potete comunque ascoltare Edoardo Camurri che legge l'articolo di Veneziani stamattina su Radio Tre: trovate il podcast della trasmissione "Pagina 3" cliccando qui (minuto 14:00, se non avete la pazienza di ascoltare tutto).
Nel 2400 gli storici della religione dibatteranno con rigore filologico della “Lumen Fidei” e della controenciclica con la quale, su Repubblica del 7 luglio, Eugenio Scalfari ha chiesto a entrambi i Papi ragione del perché Dio non abbia mantenuto il patto stipulato con Abramo. Dedurranno magari che a inizio XXI secolo il cattolicesimo italiano era diviso fra un prodotto di massa, l’enciclica in vendita a poco prezzo, e un prodotto d’élite, ovvero le requisitorie di una setta di illuminati di chiara matrice gnostica, i cosiddetti “laici”.

Ma l'analisi storiografica non finisce qui, perché da sabato è in edicola "Miracoli", il settimanale che cambierà radicalmente le carte in tavola per gli storici della religione del 2400. 

martedì 16 luglio 2013

Quando il Tour parte dal Puy-du-Fou, il 3 luglio, Bugno è subito terzo nel prologo, dietro a Indurain che resta in giallo e ad Alex Zülle, davanti però a Monsieur Prologue Thierry Marie, a Tony Rominger, a Jalabert e a Chiappucci che comunque si difende alacremente. Sembra che l’iridato abbia passato i mesi precedenti a prepararsi al momento giusto in cui carpire la maglia gialla, non appena Indurain dovesse avere un capogiro, un raffreddore, un foruncolo al soprasella.


Poi però cosa succede? E, soprattutto, perché? Lo racconto nella quarta puntata di Le Tour, jamais il feuilleton giallo di Quasi Rete.

sabato 13 luglio 2013

Incuriosisce piuttosto la preparazione di Bugno. Già tipo ombroso di suo, aggiunge mistero a mistero con una preparazione in chiaroscuro negli undici mesi che precedono la corsa gialla: ad agosto 1991 vince la classica di San Sebastian, in riva all’Atlantico, proprio lì donde partirà la Grande Boucle dell’anno dopo; a settembre vince il Mondiale su strada a Stoccarda, infilando in volata Stephen Rooks e lo stesso Indurain ma alzando le mani troppo presto e rischiando di finire uccellato a sua volta sul millimetri estremi della linea di traguardo. Poi sparisce. Forte di questi due auspici (San Sebastian, e davanti a Indurain) entra in un lungo periodo di latenza che culmina nella scelta di non partecipare al Giro del ’92 e lasciare che sia Chiappucci a venire messo sulla graticola. Decide insomma di diventare Lemond e come lui salta la corsa rosa; poiché il Mondiale l’ha vinto, il Giro anche, il tricolore pure, sceglie di investire tutte le forze della primavera nella preparazione della corsa estiva. A San Sebastian si vedrà.

Continua su Quasi Rete il feuilleton dell'estate, su come Gianni Bugno sia riuscito a non indossare mai la maglia gialla per manifesta superiorità. Online la terza puntata.

venerdì 12 luglio 2013

Potremmo dire che Voltaire era così impegnato a programmare il suo viaggio in Italia che non trovò mai il tempo di andarci. Leggiamo cosa testimonia lui stesso nelle sue lettere. Nel 1749 – ultracinquantenne – parla per la prima volta espressamente di un “soggiorno in Italia”, scrivendo a sua nipote M.me Denis. Leggendo queste parole, ci si immagina che questo soggiorno sia imminente e per certi versi inevitabile. Qualcosa però va storto, stando a quanto scopriamo da una lettera scritta l’anno dopo: Voltaire dice al marchese di Puisieulx, il quale sta per andare in Italia, che non vede l’ora di seguirlo. Tuttavia non lo fa. Un mese dopo, scrive che deve rimandare il viaggio all’anno seguente. L’anno seguente, ossia il 1751, Voltaire è perentorio: “Raggiungerò l’Italia in maggio”, annuncia; e, piuttosto sorprendentemente, si trasferisce in Prussia, dove trascorre alcuni anni alla corte di Federico il Grande. Passa un altro anno e nel 1752 Voltaire viene assalito dai primi dubbi: “Vorrei ancora vedere l’Italia prima di morire”, scrive poco prima di accantonare il progetto del viaggio in Italia per diciassette anni, durante i quali si trasferisce sul confine franco-ginevrino, prima nella tenuta di Les Délices, poi in quella di Ferney, dove resta per tutta la vita. Improvvisamente, nel 1769, Voltaire apprende che un suo conoscente sta per attraversare le Alpi e andare in Italia; gli scrive quindi lamentando di essere, ahilui, troppo vecchio per affrontare un viaggio del genere e, a quanto si deduce dalle lettere successive, anche per soltanto pensarci o parlarne mai più.

Sul Foglio in edicola oggi trovate un paginone con dentro la traduzione italiana del discorso che avevo tenuto la notte dello scorso 7 giugno all'Institut Français di Londra, in occasione di My night with philosophers, per giustificare la scelta del titolo del mio nuovo libro, Voltaire cattolico (Lindau).

mercoledì 10 luglio 2013

E Bugno? Al Giro vince due tappe, al solito, ma rasenta lo psicodramma: distanziato da Chioccioli in classifica nelle prime tappe, recupera il distacco in una magistrale cronometro da Collecchio a Langhirano salvo un unico fatale secondo, che lo priverà del ritorno in rosa e lo farà affondare sotto il peso del rovello un paio di giorni dopo sul Sestriere accumulandogli addosso minuti su minuti. Bugno, si dice, in realtà pensa al Tour.

Su Quasi Rete continua il romanzo dell'estate: Le Tour, jamais, ovvero storia di come Gianni Bugno riuscì a non vestire mai la maglia gialla per manifesta superiorità. Online da oggi la seconda puntata.

domenica 7 luglio 2013

La differenza fondamentale che intercorreva fra Gianni Bugno e Claudio Chiappucci era che Bugno era come il gentiluomo che s'incravattava e si preparava in ogni dettaglio per inginocchiarsi davanti a una donna, con tutto il rischio che magari costei gli rifiutasse l'anello; Chiappucci era come il gentiluomo che tocca il culo a tutte tanto prima o poi qualcuna ci sta. Quando arrivano al Tour del 1990, il momento sembra d'oro per entrambi.

Il racconto dell'estate. Contro il logorio del ciclismo moderno, su Quasi Rete illustro la maniera sensazionale in cui Bugno riuscì a non indossare la maglia gialla neanche un pomeriggio, e Chiappucci invece sì. Oggi la prima puntata: cose che potete trovare solo sul blog letterario della Gazzetta dello Sport.

venerdì 5 luglio 2013

Oggi, su Avvenire, una bella e densa recensione di Andrea Galli a Voltaire cattolico. Potete leggerla direttamente sul sito del quotidiano della Cei.

lunedì 1 luglio 2013

Segnalo la recensione di Oscar Buonamano a Voltaire cattolico sul blog barese della Repubblica, nella quale si traggono interessanti spunti proprio su come recensire i libri dai gran ceffoni che a un mostro sacro come Voltaire tirava il nostro Giuseppe Baretti.

domenica 30 giugno 2013

Lo so che lo ripeto ogni estate ma è un aneddoto troppo significativo per non avere un che di liturgico. Anni e annorum fa, sotto i portici del Caffè del Collegio di Modena, stavo facendo una pausa mattutina con dei colleghi di dottorato sfogliando furtivamente la copia gratuita della Gazzetta insieme a un amico spagnolo, il quale aveva considerato: "Oggi inizia il Tour, che è la cosa più importante dell'anno". Una collega puntigliosa l'aveva allora corretto col ditino in resta: "Corsa, in italiano si dice corsa"; e lui candidissimo: "No no, è proprio la cosa".

Su Quasi Rete spiego perché è vero che sia la cosa e non la corsa, perché il doping non gli toglie minimamente credibilità e soprattutto perché nonostante le apparenze il Tour de France non è iniziato ieri.

giovedì 27 giugno 2013

Caro Direttore,
love is love pertanto mi trovo nuovamente nella sgradevole situazione di non poter condividere la linea del suo giornale riguardo ai matrimoni gay. In particolare a seguito della storica sentenza della Corte Suprema statunitense, la quale ha sancito che il matrimonio è un istituto che non riguarda necessariamente un uomo e una donna.


Potete leggere il testo integrale della mia lettera choc a Luigi Amicone direttamente sul sito di Tempi. Mi ha convinto la logica ferrea di Michela Marzano su Repubblica.

Se vi siete persi la prima puntata della storia, risalente al 7 febbraio, cliccate qui per la mia lettera sul diritto a sposare chi si ama.
Da oggi è in libreria il mio Voltaire cattolico (Lindau). Ecco la prefazione di Nicholas Cronk, direttore della Voltaire Foundation di Oxford, anticipata sullo scorso numero di Tempi.

martedì 25 giugno 2013

Un governo ideale, cioè un governo di sinistra, deve pensare anzitutto ai problemi reali dei cittadini. Ad esempio, andare in bici contromano si può o non si può, è bene o è male? Domenica ne "L'amaca" Michele Serra stigmatizzava gozzanianamente "le belle signore del centro di Milano che vanno in bicicletta contromano". 

Altro che processo Ruby: il problema è che, se gli elettori di Forza Italia volevano tutti parcheggiare in seconda fila, le elettrici del Pdl vogliono tutte sfrecciare in bicicletta contromano. Eppure nel Pd ferve il dibattito dopo che il sindaco di Reggio Emilia ha deciso di far valere i sensi unici solo per le automobili, col plauso dell'ottimo autore modenese Ugo Cornia. Sul Foglio di oggi racconto l'attrito fra opposti moralismi che dilania la sinistra italiana.

lunedì 24 giugno 2013

Voltaire cattolico è il mio nuovo libro, edito da Lindau, che raccoglie tutto ciò che Voltaire ha scritto in Italiano. In queste pagine la sua voce suona sorprendentemente e distintamente cattolica, specie quando prende carta e penna per scrivere al Papa e chiedergli una reliquia di San Francesco o di poter baciargli la sacra pantofola. Si tratta di una prospettiva inconsueta sull'Illuminismo che emerge dal mio saggio introduttivo e dalla prefazione di Nicholas Cronk, direttore della Voltaire Foundation di Oxford. Quest'ultima la trovate in anteprima sul numero 25 di Tempi in edicola questa settimana.


Da giovedì 27 giugno nelle migliori librerie, ma anche in quelle così così.

giovedì 20 giugno 2013

L'Italia è una nazione di figli da coccolare, blandire e giustificare: questo spiega l'attenzione smodata nei confronti degli esami di maturità. In più l'Italia è una nazione dove si crede che per essere scrittori basti essere alfabetizzati: questo spiega la polemica universale che ogni anno infuria sulla scelta delle tracce del tema di Italiano.

Su Tempi.it dico due parolette sulla famigerata traccia su Claudio Magris alla maturità, e sull'importanza degli autori che non erano in programma.