lunedì 28 gennaio 2013

Finalmente domenica!
Ventiduesima giornata, 27 gennaio 2013

Savonarola, non venivo a Ferrara da sei anni: una mia amica che di mestiere faceva la modella léttone mi aveva detto di scendere un attimo per un caffè – vivevamo allora entrambi a Modena – e invece mi aveva rapito caricandomi in macchina e portandomi fin lì. Sotto il tuo monumento, che ti ritrae nella postura del prestigiatore irritato perché nessun coniglio sbuca dal cilindro, perché nessuna colomba svolazza al cadere del drappo, le avevo chiesto ragione del suo atto dimostrativo, e lei: “Troppi libri. Eri arrabbiato. Volevo dimostrarti che si può vivere anche lontano”.

Savonarola, sei anni dopo mi ritrovo a passare sotto la tua statua (l’espressione non è migliorata col tempo) e penso che ho fatto bene a imbastire questa sfacchinata in trasferta – adesso vivo a Pavia e il viaggio è più lungo e costoso, ci vuole addirittura il Frecciarossa e la modella léttone chissà dov’è – perché la terra gira e rigira attorno al sole ma l’umore persiste uguale: troppi libri, sono arrabbiato. Leggo e leggo e mi sembra che me ne manchino sempre più per arrivare a una completezza decente. Scrivo e scrivo e mi sembra che mi pubblichino sempre di meno, in proporzione a produzione e qualità e aspettative. Allora ho bisogno di prendere il treno e andare a sbollire da qualche parte, in mancanza di qualcuno che mi rapisca e mi mostri come si possa vivere anche lontano dalla scrivania.

(Approfitto per la trasferta di un convegno e il quotidiano itinerario dall’albergo alla sede preposta passa esattamente sotto lo studio di un noto legale. Mi verrebbe voglia di salire le scale e chiedere: “Scusi, buongiorno, vorrei parlare con l’avvocato Franceschini”. “Mi spiace, signore, l’avvocato Franceschini si trova al momento fuori città”. “Fuori città, l’avvocato Franceschini, e dove?” “A Roma, signore, da qualche annetto ormai”. “A Roma, l’avvocato Franceschini, a fare che?” “A farsi, signore, crescere la barba”. “La barba, l’avvocato Franceschini, crede di essere il Che Guevara?”. “Non già, signore, però si vocifera che su un imprecisato tovagliolo di un imprecisato ristorante l’imprecisato segretario di un imprecisato partito abbia schizzato l’organigramma di un imprecisato futuro nel quale l’avvocato risulterebbe incombente presidente della Camera”. “Della Camera, l’avvocato Franceschini? Senta a me, glielo impedisca, lo leghi alla sedia, piuttosto lo minacci di raderlo con la ceretta, per il suo bene s’intende: non vorrà mica fargli fare la fine di Fini, l’ha vista la fine che ha fatto Fini? O di Bertinotti, a fare da spalla in cardigan a Paolo Rossi su Rai3? O di Casini, Dio scampi? Luciano Violante, se lo ricorda qualcuno Luciano Violante? Presidente della Camera, l’avvocato Franceschini, ma per favore. Se gli vuole bene glielo impedisca con tutte le sue forze, a meno che non lo voglia inguainato nel cuoio a presentare trasmissioni su Italia1 come Irene Pivetti”.)

Savonarola! Non so tu ma io, se fossi l’avvocato Franceschini, indipendentemente dalla barba mi ritirerei a Ferrara che è tranquilla e nobile e a scanso di ogni rischio passerei il tempo a passeggiare e a scrivere, tanto gli pubblicano qualsiasi cosa e non ha i problemi che mi fanno dormire male per carenza di editori. Invece io, Savonarola, mi dibatto nel paradosso perché più ci penso e meno vedo vie d’uscita in quanto, se anche volessi incanalare la mia rabbia editoriale in una protesta organica, in mancanza di modelle léttoni, cosa potrei fare? Entrare in una Feltrinelli e mangiarmi l’ultimo romanzo di, boh, Paolo Di Paolo? Andare in edicola e comprare questo o quel giornale al solo scopo di stracciarlo dopo avere controllato che non contenga articoli miei?

Niente, avvocato Franceschini, volevo dire, Savonarola, l’unica maniera sensata di incazzarmi costruttivamente perché non mi pubblicano sarebbe di sedermi alla scrivania e buttare giù, a mano, un libro: ma poi avrei bisogno di qualcuno che me lo pubblicasse e allora tornerei al punto di partenza, schiavo del paradosso che io stesso ho ingenerato, esattamente come te che, a furia di invocare il rogo per questo e il rogo per quello, allo scopo di dimostrare la credibilità delle tue intenzioni infine al rogo hai dovuto farti mettere tu, eh, Savonarola?

[Come ogni lunedì, il resto della rubrica, in cui Francesco Savio parla agli ubriaconi mentre io parlo ai monumenti, si trova su Quasi Rete, il blog letterario della Gazzetta dello Sport.]