martedì 31 dicembre 2013

La nostra cultura e il nostro immaginario sono stati colonizzati in modo talmente minuzioso da farci accettare supinamente che la parola dell'anno 2013 sia "selfie" solo perché così è stato stabilito dall'Oxford English Dictionary. Pagine e pagine di notizie sono seguite senza considerare che per quanto autorevole la scelta è stata effettuata da un'istituzione che si occupa di una lingua straniera. Questo è un corno della questione; il corno opposto è che la nostra vita è talmente parcellizzata, talmente abituata al protagonismo dei nostri ombelichi da averci fatto perdere il minimo senso della storia, per quanto macroscopici possano essere gli eventi. L'abbaglio del flash dello smartphone (che, se fossi d'Annunzio, ribattezzerei superfonino) ci ha accecati al punto da non farci accorgere che nel 2013 è stata pronunziata la parola del secolo, altro che dell'anno, per portata e conseguenze. Non è inglese ma latino: è "renuntiare".

lunedì 30 dicembre 2013

Dice che sono cinico perché quando sento di ventenni che scodinzolano dietro alle commemorazioni dei partigiani mi assale una tristezza pari quasi a quella che coglie Ernesto Galli Della Loggia di fronte alle scolaresche costrette a partecipare a convegni contro la mafia e a crociere per la legalità. Per tre motivi. Il primo è che la storia è storia e la maniera più sana di rapportarsi a essa non è la partecipazione identitaria né il tifo curvaiolo: non avendo nulla contro i partigiani devo altresì notare che come loro sono passati i cromwelliani e i capetingi e gli assirobabilonesi; un ventenne che aderisse oggi agli ideali dei cromwelliani, dei capetingi e degli assirobabilonesi desterebbe in me identica tristezza.

Il secondo motivo è che bisognerebbe trascorrere questa corta vita cercando di passare il tempo in maniera decente e guardando avanti anziché indietro; altrimenti si fa la fine delle università che organizzano tavole rotonde intitolate "Ricordando gli antichi maestri" e poi si lamentano di non ricevere fondi per l'innovazione.

Il terzo motivo è che la retorica della resistenza esercitata in guisa progressivamente manierista dalla sinistra italiana ha avuto l'effetto pratico di non riuscire a creare un concreto e credibile progetto socialdemocratico, preferendo il muro contro muro anche a babbo morto e finendo per compattare intorno a tale contrasto il campo avverso che, fino a vent'anni fa, nemmeno esisteva. Resto infatti convinto che l'apice della rovina sia stato raggiunto con la manifestazione del 25 aprile 1994, quando in reazione agli sfavorevoli risultati elettorali di un mese prima venne convocato un guazzabuglio di partigianesimo e antiberlusconismo che è poi diventato la più diffusa linea identitaria della sinistra italiana contemporanea e che, secondo me, quel giorno fece decidere d'emblée a molti indifferenti di votare Berlusconi per i vent'anni a venire. Reco a mio sostegno due dati di fatto: alle europee di un mese dopo Forza Italia incrementò vertiginosamente la propria percentuale, dal 21 al 30. Inoltre al corteo partecipò Alba Parietti che, annaspando nella pioggia incessante che tormentava i manifestanti, alzò bandiera bianca commentando: "Si vede che Dio è di destra".

venerdì 27 dicembre 2013

Innamorarsi è un bel film in cui Robert De Niro - l'ho rivisto proprio ieri sera - nota Meryl Streep su un treno suburbano, la incrocia per caso in libreria, la abborda in stazione, attacca discorso, le chiede come mai vada in città, le propone di fare uno dei prossimi viaggi insieme, si siede di fianco a lei districandosi fra i pendolari, identifica l'ospedale dov'è ricoverato il padre di lei, la invita a prendere un caffè fuori, trasforma repentinamente il caffè in un pranzo, poi in un altro pranzo ancora, la porta in un pied-à-terre, cerca di fare sesso anche se lei non è propensa, va ad avvilirsi guardando casa sua dal giardino antistante, la chiama sul telefono fisso finché non risponde il marito. E' un film del 1984 che, se uscisse nel 2014, si intitolerebbe Stalking.

giovedì 26 dicembre 2013

A Natale purtroppo siamo tutti più buoni, soprattutto ora che il serial killer e il camorrista evasi la scorsa settimana sono stati rapidamente catturati e verranno altrettanto rapidamente dimenticati, così come i propositi vendicativi di far tornare in vigore la pena di morte - non per l'evasore ma per il direttore del carcere. Il sopravvento dei fatti sulle idee oscura un concetto chiave espresso in un'intervista a Repubblica da Luigi Pagano, vice-capo vicario del Dipartimento di amministrazione penitenziaria del Ministero della Giustizia. Pagano dichiara che "il sistema funziona" perché, calcolando sul totale di permessi premio, lavoro all'esterno e semilibertà, la percentuale di detenuti che non rientra si assesta sul 5%.

Qui sta la grande distinzione e il nucleo di tutto il belluino dibattito seguito alle due evasioni. Il sistema funziona se lo si considera con gli occhi di Rousseau o Dostoevskij, secondo i quali l'uomo è naturalmente buono (non solo a Natale) e viene rovinato o dalla civilizzazione o dalle circostanze. In questa prospettiva la pena ha il compito di ricondurre il detenuto alle origini e di conseguenza il 95% di detenuti in permesso conferma la propria bontà mentre il 5% di evasi è un normale margine di errore statistico.

Se invece uno parte dall'assunto che l'uomo non sia naturalmente buono ma vada contenuto e raddrizzato, e che la detenzione serva a preservare la società da un rischio concreto, allora il sistema non funziona più perché su venti detenuti in permesso ce ne sarà sempre uno che andrà in giro a combinare altri guai o a mettere a repentaglio la sicurezza quanto meno degli agenti che lo braccano. in tal caso dopo il camorrista e il serial killer bisognerebbe catturare anche Rousseau e Dostoevskij.

martedì 24 dicembre 2013

Papa Francesco è l'uomo dell'anno per Time ma soprattutto è l'uomo di Natale per il Venerdì di Repubblica. In un approfondito servizio Piero Melati, che deve avere trascorso gli ultimi sei mesi nascosto dentro a uno sgabuzzino di Santa Marta, spiega tutti i cambiamenti sotterranei che dobbiamo attenderci dal Pontefice e soprattutto rivela che costui "non teme neppure l'eventualità del ventiduesimo Concilio Vaticano della storia". Credo che papa Francesco non tema soprattutto l'eventualità che nel frattempo qualcun altro - Ratzinger? - ne convochi altri diciannove.

lunedì 23 dicembre 2013

Secondo molti la Chiesa non può restare un modello ieratico immobile nel tempo, sempre più distante dalla vita vera e inattingibile alle persone comuni, ma deve evolversi coi tempi. Deve essere vicina alla gente, le cui esigenze cambiano al mutare delle circostanze concrete. Deve adattarsi a una società le cui trasformazioni sono incomprimibili come l'acqua che scorre. Deve accattivarsi i giovani se non vuole restare confinata nella sclerosi delle vecchiette che, sempre più rade, occupano i banchi delle parrocchie. Ovviamente la Chiesa deve assecondare questo cambiamento con moderazione e cautela, dovesse anche costare qualche ritardo nell'adeguarsi alle novità di diffusione più repentina nel secolo. Per questo motivo ieri, quando sono tornato a Messa a Gravina, ho notato che il Santo è stato cantato a ritmo di twist.

mercoledì 18 dicembre 2013

Ho letto L'utilità dell'inutile di Nuccio Ordine (Bompiani) e mi sono venuti alcuni dubbi che esulano dai soliti elementi secondari che servono a confermare al lettore medio di trovarsi dalla parte giusta; un lettore più scafato, che in Ordine riconosca anzitutto l'erudito machiavellista, fra le righe del suo manifesto trova acquattato un saggio sui rapporti fra intellettuali e potenti, dove "potente" significa chi ha ingenti quantitativi di denaro e può disporne a piacimento.

Ma la cultura umanistica è stata avvantaggiata o svantaggiata dalla retorica dell'inutilità e della gratuità? Avanzo alcune questioni irresolubili ma pratiche sul Foglio in edicola oggi.

sabato 14 dicembre 2013

Questo libro non ammette recensioni perché non sembra scritto nell'inglese che conosco e padroneggio bensì in un miscuglio di lingue, talune ignote; uno potrebbe recensirlo solo fingendosi più intelligente dell'autore e sbeffeggiando Joyce perché non riesce a capirlo; Joyce tuttavia utilizza il linguaggio come mezzo di ricerca sperimentale di qualcosa di radicalmente nuovo mentre io, in quanto recensore, sono costretto ad affidarmi all'uso tradizionale della lingua; il contenuto del suo libro coincide con la forma in cui è scritto quindi chiedermi di cosa parli sarebbe come pretendere che spiegassi a parole cosa significa una sinfonia di Beethoven.

L'editore Gallucci ha appena pubblicato Finn's Hotel, presunto inedito di James Joyce. Una recensione inglese del 1939 ci aiuta a capire se si tratta davvero di un inedito e soprattutto a districarci nel dibattito furibondo fra avanguardiani e avanguardoni. Sul Foglio di oggi, a pagina 2.