mercoledì 28 maggio 2014

Ho deciso di ambientare il romanzo nel periodo credo più felice della mia vita. Al crinale fra il 1989 e il 1990 avevo nove, dieci anni quasi: ero abbastanza piccolo da essere ancora inconsapevole delle responsabilità dell'esistenza e inoltre, se devo paragonarmi a oggi, non avevo ancora la sciatica né supponevo che mai l'avrei avuta (e invece); ero però grande abbastanza da iniziare a rendermi conto degli eventi che circondavano la mia casa, la mia famiglia e la mia piccola vita riuscendo a ricordarli fino a quest'istante - non tutti, certo, e in maniera magari confusa benché persistente. A posteriori, ritengo di essere stato fortunato perché era un periodo fuori dal comune, in cui decisamente era meglio essere vivi che essere morti. Non ricordo l'ultimo giorno di Samuel Beckett, pazienza, ma ricordo la caduta del Muro di Berlino. Ricordo distintamente la battaglia contro l'Apartheid ma ricordo anche che ero convinto che Lapartheid fosse una persona. Il terremoto di San Francisco fece sessanta morti senza che me ne accorgessi ma seguii con trepidazione eccessiva per un novenne apolitico le vicende di Achille Occhetto alla Bolognina. Ricordo Ceausescu, Nuovo Cinema Paradiso, il sindaco nero di Washington, il sequestro di Cesare Casella nonché, con preoccupante chiarezza, Toto Cutugno che vince l'Eurofestival a Zagabria. Non fu un anno, fu l'età dell'oro; se avevo da inventare una storia dovevo metterla lì.

Dall'agosto 1989 al luglio 1990 si tenne anche la stagione calcistica più entusiasmante della storia d'Italia e non accetto discussioni. I ventenni di oggi stenteranno a crederlo ma all'epoca la serie A era una cosa seria. Oltre a Maradona, che mica per niente ho ficcato nel titolo, ogni squadra aveva campioni sufficienti a renderla fuori dal comune: il Milan olandese aveva Gullit, Rijkaard e Van Basten, l'Inter tedesca aveva Matthaeus, Klinsmann e Brehme, la Fiorentina aveva Roberto Baggio, la Roma Giannini e Voeller, la Juventus Totò Schillaci nientemeno. Oggi noi ci consoliamo della serie A guardando di nascosto il campionato spagnolo mentre le nostre squadre ripianano i bilanci vendendo i migliori italiani ai magnati stranieri; per avere invece un'idea della superiorità del campionato italiano dell'epoca, pensate che nel 1990 Martin Vazquez decise di lasciare il Real Madrid per andare a giocare nel Torino. Questa stagione straordinaria come la politica di quegli anni è la cornice sportiva del romanzo.

Tutto culminava e finiva con Italia '90, la più grande festa nazionalpopolare che abbiamo mai ospitato da queste parti. A rivederla oggi sembra non avere nulla del gigantismo e dello spreco di cui era stata accusata sui giornali dell'epoca; in effetti alcuni stadi potevano essere fatti meglio ma non si può avere tutto. Ora siamo talmente abituati all'eccesso, al lassismo e alla bruttezza da avere superato e rimosso quei Mondiali coi quali intendevamo dare la cifra dell'Italia nostra, che certamente era quella di Cossiga e di Andreotti ma sapeva il punto entro cui contenersi e cosa far splendere di più e cosa meno; Italia '90 è come la merenda di Pinocchio, che allora era sontuosa perché constava di un panino imburrato da entrambi i lati mentre adesso ci fa ridere. Bastano cinque minuti di un video d'epoca per accorgerci che se allora pensavamo di avere toccato il fondo e che nulla sarebbe potuto andare peggio, ebbene, ci eravamo sbagliati e avremmo fatto meglio a godercela.

[Ho visto Maradona sarà in libreria domani. Spero che siate in libreria anche voi, altrimenti è inutile. Se siete indecisi se comprarlo o no, c'è una pagina facebook fatta apposta per fugare ogni vostro dubbio.]