mercoledì 18 giugno 2014

Maracanazo
da Milano, Brasile-Messico

"Fai almeno finta che ti dispiaccia". Nessuno ricorda l'anno preciso ma qualche tempo fa l'Inter aveva perso un derby col Milan in modo esorbitante, 5-1, 5-0, 6-0, boh. A tarda sera Sergio Meda, già colonna della Gazzetta dello Sport, si ritrova ai Navigli e lì vede Bobo Vieri che fa il galletto con due o tre fanciulle; gli si avvicina e lo rimprovera: "Fai almeno finta che ti dispiaccia". Non si sa cos'abbia risposto Vieri né se abbia risposto; gravissima mancanza, inoltre, è non avere idea dei pensieri delle due o tre fanciulle dei Navigli. Belgio-Algeria è appena finita, esattamente come la presentazione del mio romanzo e di quello di Francesco Savio, siamo in un bar vicino a Corso Buenos Aires: c'è Meda, appunto, c'è Savio, ci sono io, c'è Silvano Calzini, quello delle figurine letterarie rese celebri da Antonio D'Orrico su Sette del CorSera, c'è Gino Cervi, omonimo ma non parente. Io mi metto a ricordare la sofferenza incarnata un mesetto fa sui volti di diciassette ventenni (maschi): detto a Milano suona irreale ma dovete sapere che a Pavia ci sono talmente tanti collegi universitari da poter organizzare un abbondante torneo di calcio fra di loro, che viene seguito perfino su La Provincia Pavese. Il mio collegio ha di recente inanellato, negli ultimi quattrocentocinquant'anni, risultati poco convincenti: l'anno scorso non aveva partecipato per manifesta inferiorità, l'anno prima era arrivato ultimo a -1 punto per via di antiche penalizzazioni. Insomma, poiché il calcio è uno sport incomprensibile, quest'anno la squadra funziona, arriva in semifinale dove affronta un altro collegio più forte ma già inopinatamente sconfitto nella fase a gironi e, inevitabilmente, perde; ma perde di un gollettino, per una smemoratezza difensiva avvenuta prima di organizzare un tiro a segno verso la porta avversaria senza riuscire a pareggiare. Storia prima felice e dolentissima che si chiude con diciassette ventenni, ancora sudati dalle fatiche del campo a noleggio, seduti affranti e silenziosi con lo sguardo perso in un punto indefinito del cortile del collegio, dalle undici a mezzanotte, all'una. A vent'anni, nonostante il mondo in mano e tutta la vita davanti, fatti a pezzi da una partita persa. Non poteva passare di lì, Sergio Meda? Non potevano passare almeno venti o trenta fanciulle amiche di Bobo Vieri? Dal bar ci spostiamo a cena, intanto, e nessuno ne approfitta per far notare a Gino Cervi che il precedente romanzo di Savio era stato pubblicato dall'editore Fernandel. Troviamo un ristorante pugliese, quello che in altri tempi si sarebbe definito un trani, ed entriamo accingendoci a guardare Brasile-Messico ma ecco, a sorpresa, nel trani non c'è il televisore, c'è solo una gigantografia di Pippo Baudo attorniata da centinaia di foto del proprietario assieme a personaggi dello star system incorniciate però entro dimensioni meno imperial-regie. Così, anziché guardare la partita, siamo costretti (facendo finta che ci dispiaccia) a mangiare panzerotti, orecchiette, bistecche di cavallo: e io giù a dire che, viste le mie origini, portarmi a cena fuori in un ristorante pugliese è assurdo come far giocare al Brasile i Mondiali in Brasile, con la differenza che i panzerotti, le orecchiette, il cavallo che ci hanno servito erano buoni mentre ho come l'impressione che al Brasile stia restando qualcosa sullo stomaco.