mercoledì 4 giugno 2014

Oggi compio cinque anni che scrivo sul Foglio, che ritenevo il giornale più bello del mondo quando lo leggevo e basta, e che tale è rimasto nonostante me. Avevo iniziato così, il 4 giugno 2009, con una cordiale stretta di mano al luogo dove m'ero trasferito a vivere poche settimane prima.

---

La Noemi d’Inghilterra si chiama Ruth Padel: non vince concorsi di bellezza ma scrive poesie, e anzi può vantarsi di essere stata la prima donna a occupare la cattedra di Poesia a Oxford. Per quasi due settimane. Dopo di che è stata invitata a dimettersi per aver favorito con qualche mail delatoria il ritiro dalla competizione del suo più accreditato rivale, il Nobel Derek Walcott. Pochi giorni prima dell’assegnazione della cattedra qualcuno aveva improvvisamente ricordato che una ventina d’anni fa Walcott avrebbe molestato delle sue alunne, anche se non s’è ben capito quante, come e soprattutto chi. Fatto fuori il primo a metà maggio, fatta fuori la seconda l’altro giorno, ora la cattedra fluttua verso l’indiano Arvind Mehrotra, persona noiosissima che a quanto pare non ha mai molestato né diffamato nessuno. Il tutto a conferma che Oxford è un’accademia trasparente e democratica, e che quindi facciamo bene a invidiarla; quando invece ogni elemento dello scandalo dimostra che non dovremmo affatto.

Innanzitutto l’esistenza di una cattedra di Poesia, con l’iniziale maiuscola, è aberrante. Ricorda i grafici cartesiani atti a misurare la grandezza di un’opera ne L’Attimo Fuggente; richiama un’istintiva assonanza col ministero dell’Amore in 1984. Oxford patrocina un’idea di eugenetica culturale per cui tutto può essere insegnabile, smontabile, riproducibile; tutto dev’essere infilato nel tritacarne accademico per uscirne riassunto, codificato, omologato. Senza contare che suona ridicolo che un premio Nobel debba mettersi in fila per una cattedra nel suo campo, e magari perdere, in nome di un egualitarismo prudente e parossistico. Ci si è basati sull’assunto che fosse l’istituzione a dar gloria all’individuo quando è l’esatto contrario. Oxford avrebbe dovuto implorare Walcott per ottenerne l’onore di concedergli la cattedra. Walcott avrebbe dovuto rinunciare nobilmente dicendo che certe cose sono troppo importanti e belle per essere insegnate.

E poi, le molestie. Gli Inglesi godono del vizio vittoriano-protestante di valutare una persona in base a quello che combina in camera da letto. Nel 2004 un buon ministro come David Blunkett fu rimosso perché aveva fatto non so cosa con non so chi, caso che non aveva niente a che vedere col bene della nazione, così come le eventuali molestie di Walcott non avrebbero niente a che vedere col suo talento poetico. Oxford è una perfetta cassa di risonanza per questo moralismo da tre lire, con la sua morbosa lista di cose consentite e vietate che opprime ogni studente o ricercatore; per ottenere accesso alla biblioteca Bodleiana bisogna ancora certificare esplicitamente la propria intenzione di non dar fuoco agli incunaboli. Sull’ottusità del luogo ha scritto passi memorabili gente come Oscar Wilde o Martin Amis, quindi è inutile tornare sull’argomento.

In generale il confine delle molestie inglesi si è allargato a dismisura: nei pub si appendono predicozzi sulla sconvenienza di attaccare bottone con sconosciute; in ufficio bisogna presentarsi con la cintura di castità perché ogni atto può essere frainteso e ogni contatto potrebbe valere una denuncia. Non sto parlando di pacche sul didietro, bensì di portare a una collega un cioccolatino assieme al caffè. Magari un giorno verrà fuori che vent’anni fa Walcott ha lasciato cadere complimenti innocui. Magari è solo un vecchio porco maldestro, e se non altro ciò lo renderebbe più simpatico.

Infine l’atteggiamento degli intellettuali. La più rappresentativa di tutte è stata Jeanette Winterson, la quale non s’è l’è fatto dire due volte e ha dichiarato che Oxford è un “piccolo cesso maschilista”. Non ha considerato che Oxford non è piccola affatto e soprattutto che la principale vittima di questo scandalo provinciale è un maschio. Non ha capito che grazie a gente come lei la nazione intera sta venendo immobilizzata dall’isteria per il politically correct. Se si chiede a un africano di rispettare la fila per l’autobus, è razzismo. Se non si concede la strada principale ai predicatori musulmani, è discriminazione religiosa. Se in metrò si cede la seggiola a una signora è sessismo, se si offre aiuto a una nonnina che deve attraversare la strada è ageism – un reato che in Italia scopriremo fra qualche tempo e tradurremo con “vecchismo”. Guai a sorridere a un bambino. Guai a calciare un pallone al di fuori delle zone e degli orari previsti.

In tutto questo emerge un solo aspetto positivo. Grazie alle sue mail delatorie, Ruth Padel ha finalmente scritto qualcosa per cui varrà la pena di ricordarla.