martedì 1 luglio 2014

Maracanazo
da Pavia, Germania-Algeria

"Il sole batteva senza possibilità di alternative sul niente di nuovo": questo è Samuel Beckett citato sul Corriere di oggi da Raffaele La Capria che s'industria in un elzeviro travolgente, due colonne sulla routine, sulla noia, sul niente di nuovo appunto. Forse perché adesso mi arriva la tal telefonata, mi arriva il tal invito, mi saluta la tal persona di riguardo e intuisco che oramai sul ristretto bacino di Pavia ho scavallato un crinale e, volendo attenerci alla scansione proposta da Arbasino, sono passato dal rango di brillante promessa a quello di solito stronzo; forse perché il Mondiale con gli ottavi è arrivato alla fase in cui non brilla più della promessa iniziale e non ancora del fulgore decisivo della conclusione ma si barcamena in una via di mezzo che è sospesa fra la curiosità degli esordi e i brividi della fine; fatto sta che il sole batteva senza possibilità di alternative su Francia-Nigeria ma io ero fuori per delle commissioni e fuori restavo fino a fine partita, con la sensazione di non essermi perso questo gran che. Poi a tarda sera, guardando Germania-Algeria in mutande, mi veniva notificato che attenzione, negli unici due precedenti i tedeschi avevano sempre perso coi magrebini, chi l'avrebbe mai detto, una volta in amichevole nel lontano 1964 e una volta nel famoso rovescio ai Mondiali dell'82 poi neutralizzato dall'ancora più famosa pastetta con l'Austria per far passare le nazioni mitteleuropee a danno degli africani di Rabah Madjer, il tacco di Allah. Il lontano 1964: La Capria aveva quarantadue anni, aveva pubblicato da relativamente poco Ferito a morte e chissà se si annoiava già allora, anzi sicuramente perché se non si fosse annoiato non avrebbe scritto. Ecco, mentre tutti si entusiasmano perché l'Algeria attacca attacca e solo a stento la Germania resiste, mentre tutti si aspettano la novità incombente di un'africana che elimina la superpotenza economica e pedatoria, io mi annoio a priori mentre vedo il pareggio scivolare verso il novantesimo. Mi ricordo di quella volta a Mantova, in un bar in piazza, in cui io e gli altri avventori avevamo visto arrivare La Capria con la nobiltà dei suoi novant'anni e ci eravamo fermati tutti un attimo zitti a guardarlo, scrittori ed editori, correttori di bozze e uffici stampa, brillanti promesse e soliti stronzi. La partita si allunga, tutti la trovano entusiasmante ma io sbuffo, l'idea che ci siano anche i supplementari mi ricorda la battuta di Woody Allen: "Che schifo il mangiare in quest'ospizio, e che porzioni piccole". A Porto Alegre tuttavia non danno ascolto alle mie rimostranze - sarà perché in mutande sono meno autorevole - e decidono di continuare a giocare lo stesso anche se ne ho le palle piene. Tempo pochi minuti e i goal della Germania si abbattono, senza possibilità di alternative, sul niente di nuovo.