venerdì 27 febbraio 2015

Dice che è un risultato storico per il calcio italiano l'aver qualificato cinque squadre agli ottavi di Europa League, vulgo Coppa Uefa, impresa che riporta - ma per eccesso - alle stagioni in cui allo stesso turno se ne erano qualificate quattro: Inter, Juventus, Napoli e Roma nel 1989; Atalanta, Bologna, Inter e Roma nel 1991. Magari. A beneficio di mia madre che segue con grande attenzione questo blog ma non altrettanto la storia del calcio, specifico che erano gli anni in cui la Coppa Uefa diventava riserva di caccia delle squadre italiane che la vinsero nel 1989 col Napoli, nel '90 con la Juventus in finale sulla Fiorentina, nel '91 con l'Inter in finale sulla Roma, nel '93 di nuovo con la Juventus, nel '94 di nuovo con l'Inter, nel '95 col Parma in finale sulla solita Juve e nuovamente, ma sul Marsiglia, nel 1999; in aggiunta alle finali perse dal Torino nel '92 e dall'Inter nel '97, che a sua volta nel '98 vinse sulla Lazio l'ultima finale tutta italiana.

Anzi, dice che l'impresa di ieri è superiore a quelle passate perché stavolta abbiamo qualificato agli ottavi della competizione europea più vasta e più rappresentativa dello stato di salute di una nazione calcistica non quattro ma cinque squadre, nostro record assoluto. Ma è vero? Urge qualche considerazione a margine. Per prima cosa nei lontani anni del dominio era impossibile qualificare cinque squadre agli ottavi in quanto quattro era il numero massimo di partecipanti per nazione. Inoltre se abbiamo così tante squadre in Uefa è perché ne abbiamo sempre meno in Champions League, e quindi stiamo beneficiando di una situazione di ripiego: la Fiorentina, quarta nello scorso campionato, non ha potuto qualificarsi nemmeno ai preliminari della competizione principale in quanto sono diminuiti i posti che spettano alla nostra federazione; il Napoli, terzo, è stato estromesso ai preliminari di Champions ed è retrocesso in Uefa così come ha fatto tre mesi dopo la Roma, seconda l'anno scorso, che non mi sembra molto più debole di alcune squadre che oggi stanno galleggiando negli ottavi di finale di Champions League - eppure lì non c'è.

Dice infine che il trionfo delle cinque italiane in Uefa è indicativo del ritorno dell'Italia ai passati fasti, quando dominava questa competizione e l'Europa calcistica tutta: prova ne sia che mentre noi abbiamo cinque squadre agli ottavi la Spagna ne ha due e Inghilterra, Germania, Olanda e Belgio una soltanto ciascuna. Se però allarghiamo lo sguardo anche alla Champions League e sommiamo le trentadue squadre che partecipano complessivamente agli ottavi di finale, ne usciamo ridimensionati:
l'Italia ne ha sei (una soltnnto nell'aristocrazia europea), la Spagna cinque (ma ben tre in Champions), l'Inghilterra quattro (sempre con tre in Champions); l'orrenda Germania ne ha cinque, ma quattro di esse sono al piano di sopra e solo una nello scantinato dove noi dominiamo in lungo e in largo. Non c'è molto da vantarsi, se siamo forti in Europa League è perché siamo vasi di coccio in Champions, e qualificare molte squadre agli ottavi implica è meglio che qualificarne poche ma significa anche che ci stiamo ridimensionando, che stiamo diventando piccola borghesia mentre ai tempi del filotto in Coppa Uefa eravamo lì lì per instaurare una monarchia assoluta. I fatti dimostrano che il passato non sta ritornando. Non ritorna mai.

giovedì 26 febbraio 2015

Speriamo che il ritorno in edicola di Charlie Hebdo ponga fine all'overdose di Voltaire cui siamo stati sottoposti, sempre a sproposito, a partire dai giorni dell'attentato islamico a Parigi. Tutti hanno riciclato in tutte le salse l'immortale frase di Voltaire "Non sono d'accordo con quello che dici ma darei la vita perché tu lo possa dire", la cui principale caratteristica è di non essere di Voltaire: una bufala, insomma, benintenzionata e settecentesca quantunque ma pur sempre una bufala. Sulle infinite rifrazioni di questa frase e sull'esplosione del Voltaire percepito ma non reale ho scritto un contributo per Bunker Debunker, blog che smaschera bufale e non-notizie da giornali e web; lo tiene Chiara Severgnini, allieva della scuola di giornalismo Walter Tobagi di Milano che ogni tanto potete leggere sul sito "Piazza digitale" del Corriere della Sera. (No, non è parente). Trovate il mio pezzo cliccando qui.

mercoledì 25 febbraio 2015

Che grande novità gli appelli degli scrittori agli editori: ce n'è uno con primo firmatario Gabriele d'Annunzio. Mentre si combatte intorno all'acquisto di Rizzoli da parte di Mondadori, ecco una piccola storia della separazione delle carriere fra editori e scrittori, dal caso Sommaruga del 1884 al drastico restyling di Iperborea nel 2015. La trovate sul sito del Foglio.

lunedì 23 febbraio 2015

Non ricordo se fosse uno zio oppure un altro parente, o soltanto un signore che si chiamava Sam. Fatto sta che Richard Dawkins - patriarca britannico degli atei, biologo di chiara fama, divulgatore di successo e autore del bestseller The God Delusion nonché inevitabilmente autorità assoluta nell'autorevolissima Oxford - in un'intervista pubblicata ieri su Repubblica ha dichiarato che da bambino aveva già capito che il Babbo Natale in cui credevano tutti era soltanto un signore mascherato: Sam, appunto. Non solo. Aveva anche capito, già a nove anni, che ogni alunno delle elementari seguiva una religione differente ma che ciascuno di loro, fosse buddista o islamico o induista o addirittura cristiano, era convinto che la propria religione fosse non solo giusta ma anche l'unica e sola. Dunque, grazie a Babbo Natale smascherato e al pluralismo dell'istruzione britannica, Richard Dawkins aveva capito che Dio non esiste già da bambino. Poi non è cresciuto.

martedì 17 febbraio 2015

Ci siamo scandalizzati perché nelle università italiane non ci sono abbastanza professori giovani ma non ci siamo accorti delle altre magagne accademiche denunciate da Stefano Pivato, ex rettore a Urbino, in Al limite della docenza (Donzelli): la sperequazione dei fondi ministeriali, le borse di studio non corrisposte, l'incoraggiamento al plagio, la maledizione di Luigi Berlinguer sui ministri successivi e Indovina Chi. Sul Foglio in edicola oggi leggo il libro di Pivato scoprendo l'università in cui nessuno legge e tutti si laureano.

L'articolo si trova anche online sul sito del Foglio.

venerdì 13 febbraio 2015

La prossima volta che qualcuno sbraita perché dite "negri" anziché "neri" e magari osa darvi dell'ignorante, tirategli sul naso Il buio oltre la siepe di Harper Lee. La prima edizione italiana del 1962, per la precisione, non solo perché essendo di formato più grande e dorso più rigido di quelle correnti fa più male, ma soprattutto perché in questa pietra miliare dell'antirazzismo è spiegato papale papale che chiamare qualcuno "nero" significa dotarlo di un aggettivo come se fosse un oggetto, mentre essendo lui un essere umano dotato di individualità (e pertanto un sostantivo) va chiamato "negro". Negre sono le persone, nere sono le cose. Questo stabilisce con grande precisione Amalia D'Agostino Schanzer, prima autorevole traduttrice del romanzo ai tempi in cui non c'era Google Translate e persona che della lingua italiana doveva intendersi non poco visto che a lei si deve l'azzeccato titolo della nostra versione - sicuramente meglio della versione letterale "uccidere un passerotto" che rende irraggiungibile l'originale To Kill a Mockingbird. Negri, non neri. 1962, non 2015. Editore Feltrinelli, non La Difesa della Razza.

martedì 10 febbraio 2015

Scusate, ancora calcio.

"Voglio vedere la moviola" ha detto Adriano Galliani al termine di Juventus-Milan, e spero che se lo ricordi perché l'ha detto venticinque anni fa. Marzo 1990, il Milan lanciatissimo in testa al campionato va in visita a Torino - non allo Stadium che all'epoca non esisteva e nemmeno al Delle Alpi che stava venendo tirato su per i Mondiali bensì al Comunale ancora non ristrutturato olimpicamente - e la Juventus sbriga la pratica con un 3-0 tanto significativo quasi quanto la doppietta di Rui Barros, nientemeno. L'altro goal, il primo, lo segna Schillaci. Tempo un quarto d'ora e si capisce che la partita è già finita e s'inizia a fare calcoli: la Juventus ha già opzionato Gigi Maifredi in panchina per l'anno dopo, ma con risultati del genere è il caso di silurare Dino Zoff? il Milan ha ancora un punto di vantaggio sul Napoli (42 a 41; la Juve è terza a 37; la vittoria vale due punti), basterà fino alla fine? Noi che siamo posteri sappiamo che la risposta è no a entrambe le questioni; alla Juve sarebbe convenuto tenersi Zoff e lo scudetto lo avrebbe vinto Maradona. Galliani questo se lo ricorda sicuramente, ma ricorda anche la sfilza di risultati che il Milan aveva inanellato in quei giorni di marzo? La sconfitta con la Juve era arrivata dopo diciassette giornate di campionato che avevano fruttato quindici vittorie e due pareggi, ma anche dopo i primi sbuffi che segnalavano la fine della benzina: fine febbraio, e il Milan aveva pareggiato scialbamente con la Juve la finale d'andata di Coppa Italia; inizio marzo, e il Milan aveva pareggiato in modo ben più periclitante il quarto d'andata di Coppa dei Campioni contro il Malines (per gli intenditori, in porta ai belgi giocava Preud'homme). Poi, la disfatta a Torino. Per come stavano andando le cose quel Milan meritava di perdere, figuriamoci questo che si aggrappa a Paletta costretto a inseguire gli avversari carponando. "Voglio vedere la moviola" ha detto Galliani, perché se l'avversario presenta tre volte un attaccante solo davanti al portiere è bene insufflare il dubbio che sia stato aiutato da geometrie variabili come quella del fermo immagine di sabato scorso, in cui si vede Tévez fuggire verso la porta milanista tenuto in gioco da una linea francamente obliqua. Però, se l'avversario presenta tre volte un attaccante solo davanti al portiere, significa soprattutto che uno può guardare la moviola a ripetizione per il resto dei suoi giorni ma la triste verità è tutt'altra: in uno scontro fra squadre di pari livello l'episodio di un fuorigioco non visto può risultare dirimente, ma in una partita di tiro a segno con birilli quale è stata Juventus-Milan attaccarsi al centimetro perduto equivale alla negazione dell'evidenza. Valeva venticinque anni fa e vale ancora oggi, altrimenti la storia non è magistra di niente che ci riguardi.

domenica 8 febbraio 2015

Sulle prime ho biasimato i miei occhi per aver guardato di sfuggita sul sito della Gazzetta i commenti immediati al derby di Madrid e averci letto il titolo “L’Atlético umilia Andreotti” quando invece, con ogni evidenza, si trattava dell’allenatore dei blancos e quindi di Ancelotti. Poi ho capito che la mia cornea, la mia retina – insomma quella parte di bulbo oculare che non essendo particolarmente versato in anatomia non so quale sia di preciso – mi ha piuttosto fatto balenare dinanzi al naso il vero motivo della sconfitta epocale, ridicola, patetica del Real Madrid ieri pomeriggio, uno 0-4 al Vicente Calderón che poteva essere ben più largo se si considerano il goal annullato ingiustamente a Griezmann e un rigore per fallo di mano che l’arbitro poteva concedere ai colchoneros anche senza necessità di essere un efferato lettore del Fatto Quotidiano. Il Real Madrid ha perso per equivicinanza. Non so se ricordate i tempi in cui Andreotti se ne uscì con questo mirabile neologismo quando gli domandarono se l’Italia intendesse mantenersi equidistante nei fattacci che separavano gli israeliani dai palestinesi; e lui rispose che l’Italia voleva piuttosto mantenere l’equivicinanza fra le parti, cosa di cui chiunque non viva in una nazione presieduta da un democristiano di sinistra dovrebbe ammettere l’impossibilità non solo a realizzarsi ma anche a concepirsi. Ebbene, al volgere dell’ultimo capodanno il Real ha voluto macchiarsi di equivicinanza mantenendo la superba corona che ne decora lo stemma di club intrinsecamente monarchico (ma il nuovo sovrano Filippo, oltre a sposare le giornaliste tv, tifa colpevolmente per l’Atlético) e al contempo eliminando dalla cima di quella medesima corona la minuscola, quasi impercettibile croce destinata ai Re cattolicissimi. Per non scontentare i finanziatori arabi, naturalmente, che in sé se ne fottono di qualsiasi religione come tutti i servitori di mammona però, volendo vendere il marchio Real nelle loro mezzelune, preferiscono non arrischiare simboli facilmente infiammabili. Così il Real, che poteva approfittarne per rimaneggiare del tutto lo stemma optando magari per l’astrattismo in maniera tale da mettersi al sicuro (la grafica del calcio spagnolo ha molti debiti verso Mirò), ha preferito il colpo al cerchio dell’islamismo che preferisce non vedere croci in giro e il colpo alla botte dei tradizionalisti che ci tengono alla conservazione della corona. L’equivicinanza sembra sempre non costare nulla; invece arriva bene il giorno in cui ti accorgi che non sei più tu e vieni sotterrato da una squadra di pauperisti sponsorizzati dall’Azerbaigian.

giovedì 5 febbraio 2015

"Poiché la carne è debole, talvolta il metodo più sbrigativo per liberarsi di una donna è sedurla".

Sul Foglio di oggi schizzo un breve ritratto di Philip Roth - ispirato dalla biografia Roth scatenato di Claudia Roth Pierpont - in cui lo vedo come il vero Don Giovanni, quello che corre sempre ma non dietro alle donne: davanti. Per fuggirle e trovare il tempo e la solitudine necessari a scrivere trenta romanzi, anche a costo di sedurle tutte.

lunedì 2 febbraio 2015

Ragazze, non fidanzatevi con un calciatore che quando segna non esulta. Tutti gli altri vanno più che bene, vi garantiranno lussi e fama e domeniche libere; ma stanno diventando sempre meno. Ieri mi hanno colpito le copiose messi di calciatori che dopo il proprio goal non alzavano le braccia e, mentre i compagni saltavano esultanti sulle loro spalle, conservavano un'espressione metà infastidita da cotali feste fuori luogo metà contrita per il misfatto di avere segnato contro una squadra in cui già avevano giocato tempo addietro. Eppure il goal è una vendetta poco gentile contro il passato, le sue sconfitte e i suoi infortuni. L'esorbitanza del calciomercato che oramai è sempre aperto, due mesi di affari e dieci mesi di corteggiamenti e spifferi e sogni proibiti e fotomontaggi su quotidiani sportivi che parlano sempre meno di cos'è successo e sempre più di cosa potrebbe accadere - dicevo, l'esorbitanza del calciomercato ha moltiplicato esponenzialmente il numero di squadre in cui un calciatore può aver militato e contro le quali rischia di segnare senza manco alzare un timido braccino giubilante, d'istinto. Ma voi, ragazze, non cascateci e dietro questa parvenza di nobili sentimenti scorgete ciò che c'è veramente: un uomo che guarda indietro mentre l'amore guarda avanti anche quando non si vede niente, un uomo che da un momento all'altro potrebbe levarvi lussi fama e domeniche libere per riconsegnarli all'ultima arrivata prima di voi.

[Si trova anche su Quasi Rete, il blog letterario della Gazzetta dello Sport.]