giovedì 23 luglio 2015

Le Tour, jamais (3)

Terza puntata della storia prima felice poi dolentissima di come Gianni Bugno, nonostante l'evidente superiorità su quasi tutti i concorrenti, neanche nel suo miglior Tour de France riuscì a vestire la dannatissima maglia gialla. Cliccate qui per la prima e per la seconda puntata.


Inutile girarci intorno, la scena madre del Giro d’Italia 1992 è Miguel Indurain in maglia rosa che, nella cronometro conclusiva in Lomellina, acchiappa Chiappucci, partito ben prima di lui, affibbiandogli un ritardo complessivo di cinque minuti. Ciò non impedisce al diavolo della Carrera di arrivare secondo in classifica generale, in maglia verde di miglior scalatore, ma significa al contempo due cose. Anzitutto deprezza il piazzamento di Chiappucci, relegandolo su un gradino del podio piccolo piccolo visto che non è mai stato in grado di impensierire il gran navarro. Ma chi lo è? La seconda conseguenza è infatti che la sfida rimandata al successivo Tour è di fatto velleitaria, ché per staccare Indurain bisogna inventare qualcosa che nemmeno il creativo, incontenibile, a tratti folle Chiappucci è mai riuscito a scovare. Incuriosisce piuttosto la preparazione di Bugno. Già tipo ombroso di suo, aggiunge mistero a mistero con una preparazione in chiaroscuro negli undici mesi che precedono la corsa gialla: ad agosto 1991 vince la classica di San Sebastian, in riva all’Atlantico, proprio lì donde partirà la Grande Boucle dell’anno dopo; a settembre vince il Mondiale su strada a Stoccarda, infilando in volata Stephen Rooks e lo stesso Indurain ma alzando le mani troppo presto e rischiando di finire uccellato a sua volta sul millimetri estremi della linea di traguardo. Poi sparisce. Forte di questi due auspici (San Sebastian, e davanti a Indurain) entra in un lungo periodo di latenza che culmina nella scelta di non partecipare al Giro del ’92 e lasciare che sia Chiappucci a venire messo sulla graticola. Decide insomma di diventare Lemond e come lui salta la corsa rosa; poiché il Mondiale l’ha vinto, il Giro anche, il tricolore pure, sceglie di investire tutte le forze della primavera nella preparazione della corsa estiva. A San Sebastian si vedrà.

Il 4 luglio, nei Paesi Baschi, Indurain riparte esattamente da dove aveva concluso: va più forte persino di Thierry Marie, vince il prologo e dà già 12” a Bugno e 14” a Lemond. Giallo era partito e giallo è arrivato, ma sa che tenere la maglia dal primo all’ultimo giorno è impresa sfiancante. Come tutti i grandi generali, Indurain è prudente e lascia che alla tappa successiva Alex Zülle, l’occhialuto svizzero che lo segue a 2” in classifica, vada a prendersi un abbuono intermedio sufficiente a scavalcarlo. Poi, quando arriva l’Alto de Jaizkibel, sul quale Bugno aveva fatto danzare la furlana in agosto, si forma un gruppetto con gli attaccanti più in forma: c’è Bugno, ovviamente, c’è Indurain, ci mancherebbe, ci sono Chiappucci e Chioccioli, c’è Breukink, c’è Leblanc. Manca solo Greg Lemond. È la fine di una storia d’amore; il Tour sa essere fedele per anni ma all’improvviso si rivela volitivo e cambia i suoi favori. Lo Jaizkibel sancisce che il tempo di Lemond è finito (dopo di lui nessun altro americano vincerà il Tour de France) anche se nella discesa il gruppo tornerà compatto.

Si annunzia dunque un Tour scoppiettante, come conferma il successivo arrivo a Pau di una fuga bidone, in cui si rivela Richard Virenque: con gli altri due fuggitivi prende un margine massimo di 22’ e al traguardo, dopo 235 km di avanscoperta, guadagna la maglia gialla arrivando con 5’ di vantaggio su un gruppetto così composto, in ordine di volata: Bugno, Chiappucci, Mottet, Indurain. Sono passati due giorni e i duri hanno già cominciato a giocare. In classifica dietro Virenque c’è Indurain a 4’34”, Bugno lo segue due secondi appresso e dà l’impressione di sfidarlo alla pari, Chiappucci è quinto a cinque minuti e Lemond, ancora inconsapevole del proprio funerale, decimo con lo stesso tempo di un onesto pedalatore che si chiama Pascal Lino. Questi il giorno dopo sorprende il mondo della birota infilandosi in un’altra fuga bidone, arrivando con 7’ di vantaggio a Bordeaux non avendo tirato per un metro in quanto compagno di squadra di Virenque e sfilandogli la maglia gialla. Bugno, come Mao, potrebbe dire che la situazione è eccellente poiché grande è la confusione sotto il cielo di Francia: non essendoci squadra padrona e cambiando leader oggi, cambiandolo domani, un bel giorno la maglia gialla potrebbe toccare a lui. Se lo meriterebbe. A Libourne la sua Gatorade sfodera una prova maiuscola, perdendo qualche secondo dalla Carrera ma guadagnando mezzo minuto sulla Banesto: ora in classifica c’è davanti lui, con 14” sul rivale italiano e 27” sul mammasantissima ispanico; ma non casca davanti a tutti perché lo precedono i trionfatori delle fughe bidone, Lino per cinque minuti e Virenque per tre. Il giorno dopo, a Wasquehal sul Passo di Calais, arriva un’altra fuga con vantaggio cospicuo e Bugno viene scavalcato anche da Bauer e Heppner, fermi restando i rapporti di forza fra i favoriti. A Bruxelles Chiappucci capisce l’andazzo e s’infila in una fuga pure lui (c’è anche Lemond); Bugno è troppo timido o forse un po’ snob per mettersi a correre dietro alla madness of the crowd: resta tranquillo a marcare a uomo Indurain e con lui arriva a quasi due minuti di distanza. Evidentemente ritiene che la corsa sia affare fra loro due; probabilmente non gli pesa più di tanto che la classifica, a sera, dica Chiappucci terzo a 3’34”, Lemond addirittura quarto a 4’29”, Bugno settimo aggrappato stretto al mezzo minuto scarso di margine su Indurain.

Nel disinteresse dei pretoriani della Banesto continuano ad arrivare al traguardo fughe su fughe fino a che, alla nona tappa, non arriva la cronometro del Lussemburgo. Sessantacinque chilometri al termine dei quali andrebbero stilate due classifiche. Una dovrebbe recitare: vincitore Armand De Las Cuevas, il francese stempiato col cognome spagnolo, dietro di lui Bugno a 41”, Lemond a 1’04”, Lino a 1’06” e così via. L’altra classifica dovrebbe includere solo e soltanto Miguel Indurain, che fa corsa a sé vincendo con tre minuti di vantaggio sul compagno di squadra De Las Cuevas, 3’41” su Bugno, 4’04” su Lemond, 4’06” su Lino e così via. Indurain è inumano. Indurain ha percorso il primo terzo di gara alla media di 57 chilometri orari. Indurain va in moto, non in bicicletta. Non prende la maglia solo perché il colore giallo dà forze suppletive alla corsa disperata di Lino, che buon corridore quantunque sa di avere i giorni contati pur non sapendo quanti: Indurain lo ha nel mirino, a un minuto e mezzo, e alla peggio gli basta aspettare la cronometro conclusiva per papparselo. In mezzo, però, ci sono le montagne.

Ci si arriva con calma, andando prima verso le Alpi, dopo tre tappe finalmente normali. Il menu del 18 luglio prevede Saisies, Iseran e Sestriere, anzi, Sestrières. Chiappucci passa in testa a tutti e tre i colli per rafforzare la leadership nella classifica degli scalatori, inanellando 125 km di fuga secondo quella che al Tour di quest’anno appare un’usanza. Sulla seconda cima Bugno continua a marcare Indurain: è sicuro che stavolta Chiappucci vada a schiantarsi, nonostante che abbia accumulato cinque minuti di vantaggio, e che vada fatta la corsa al ritmo del navarro. Sbaglia, bisognava attaccare subito, se si avevano gambe; era l’unico grimaldello per far saltare il ciclismo razionale di Indurain, contrapporre al suo cronometro di implacabile precisione un orologio squagliato dal sudore e dalla fatica immane. Bugno e Indurain gambe ne hanno: iniziano la rimonta sul Moncenisio e, man mano che la cima del Sestriere s’avvicina, il vantaggio di Chiappucci s’assottiglia visibilmente. Sull’ultima salita Indurain passa davanti a Bugno e piazza una progressione cingolata. All’arrivo paga 1’45” da Chiappucci ma nei chilometri conclusivi è riuscito a dare un minuto abbondante a Bugno, colpito e affondato. Fra la crono e la prima salita vera, la superiorità mostrata da Bugno per undici mesi e la scelta di puntare tutto sul Tour per giocarsela alla pari sono andate a farsi benedire: in classifica, Indurain ha 1’42” su Chiappucci e 4’20” su Bugno.

Il giorno dopo però c’è l’Alpe d’Huez, preceduta da Monginevro, Galibier e Crox de Fer. Bugno ha vinto lì nelle ultime due edizioni e tenta la terza impresa; anzi la tenta in grande, negli ultimi dieci chilometri del Galibier che com’è noto sono lunghissimi. Si porta via un gruppetto con compagni di razza come Chioccioli e Fignon in grado di aiutarlo nell’ascesa, staccando Indurain di un minuto e mezzo: ci sono altre due montagne per accumulare altri tre minuti e vestirsi di giallo come fece Chiappucci, come ha fatto Virenque, come hanno fatto Pascal Lino e tanti altri nomi ben più dimenticabili. Così ragiona Bugno e rimuginando s’attarda; in cima Chioccioli gli dà un mezzo minuto, poi in discesa Chiappucci e Indurain iniziano a fare il diavolo a quattro e se lo rimangiano prima della Croix de Fer. La salita ricomincia e si stacca, in discesa rincorre e rientra ma l’Alpe d’Huez stavolta non è amica, è un Golgota. In cima perde nove minuti dal vincitore Hampsten, quello del Gavia nevoso, e sei da Chiappucci e Indurain appaiati; in classifica da terzo diventa quinto, a 10’9” dalla maglia gialla. Nel frattempo Lemond ha approfittato di un rifornimento per ritirarsi, ironia della sorte, schiantato dall’inseguimento a Bugno sul Galibier.

A una manciata di tappe dal termine, di cui una cronometro a immagine e somiglianza di Indurain, resta dunque una faccenda fra Chiappucci e il navarro, che si marcano a Saint Etienne e a La Bourboule. Qui arrivano in gruppetto e Bugno è con loro, prova d’orgoglio. Solo a Tour, diciottesima tappa, si rivede una volatona in questo Tour impazzito; segue, a Blois, il temuto contre-la-montre. I tifosi di Bugno, che condividono il suo carattere acuto e sensibile, sanno commuoversi e lo fanno senza meno vedendolo sfrecciare dando due minuti a Chiappucci, quattro a Lino che lo precedeva in classifica e cinque ad Hampsten che era terzo. Davanti a lui, sai che sorpresa, arriva Indurain, con soli 40” di vantaggio; se la corsa fosse durata duecento metri di più, lo spagnolo avrebbe riacciuffato Chiappucci (che chiude a 2’53”) per la seconda volta in stagione offrendo una replica con colori diversi.


Finisce alla Défense, il quartiere futuribile dove Parigi sembra Seul e dove campeggia un nuovo spigolosissimo arco di trionfo sotto il quale, spiegano le guide, potrebbe infilarsi con comodo tutta Notre-Dame. Alla partenza della tappa-sfilata che porterà sui Campi Elisi Indurain ha 4’35” di vantaggio su Chiappucci e 10’49” sul povero Bugno, nonostante l’indomita coda. Gli altri non hanno distacchi, hanno fusi orari. Sul podio sorridono tutti e tre, perfino Indurain che è uno che non cambia mai espressione.

(3-continua)