lunedì 27 luglio 2015

Le Tour, jamais (5)

Quinta e ultima puntata del feuilleton giallo del psicociclismo estivo. Cliccando qui trovate la prima, la seconda, la terza e la quarta.

Se sei martello batti e se sei incudine statti, dicono a Napoli e forse, per via di Garibaldi, la voce sarà arrivata fino a Monza. Dopo mesi e mesi trascorsi in posizione fetale a leccarsi le ferite inferte dal Tour, Gianni Bugno torna martello al Giro delle Fiandre del 1994. È il giorno di Pasqua e, si parva licet, la risurrezione non guasta. Veste maglia Polti e brucia Musseuw in volata infinitesimale, in discussione fino all’ultimo fotofinish perché ha alzato le braccia proprio mentre il belga dava il corpo di reni postremo. Rischiosissimo; di lì in poi deciderà di non alzarle più se non per una vittoria che meriti, ossia o il Tour o il terzo Mondiale. Continua a vincere al Giro, una tappa, indossa fugacemente la maglia ciclamino, si classifica dignitosissimo ottavo nella prima corsa a tappe in cui Indurain riesca a non primeggiare, infilzato nell’ordine dal russo di Broni Eugenio Berzin e dal gregario spelacchiato di Chiappucci, Marco Pantani.

Al Giro Indurain non tornerà più, consapevole che il suo fisico non può più reggere un impero su cui non tramonti mai il sole; si ripresenta invece in giallo all’apertura di gala al gran prologo di Lille. Non vince (si aggiudica il prologo Chris Boardman, da poco spogliato del record dell’ora da Graeme Obree, lo scozzese che correva su una bici fatta anche con pezzi della lavatrice) ma distanzia tutti i concorrenti, da Rominger a Zülle a Chiappucci. Bugno, che pure è lo stesso che aveva aggredito le prime tappe del Giro sembrando tornato agli antichi fasti, è dietro a tutti loro. Rimane trasparente, impercettibile, fino alla nona tappa, la cronometro di Bergerac. Indurain non fa prigionieri e dà due minuti a Rominger, cinque e mezzo a Boardman, sei a Ugrumov, otto a Chiappucci, nove a Zülle. Bugno arriva a 10’37”, sconquassato benché sempre illeggibile in volto, penultimo fra i favoriti davanti al solo peso piuma Pantani. Stringe il cuore il computo dei minuti che giorno dopo giorno gli piombano addosso nelle tappe di montagna. Al mattino del 17 luglio 1994, a Castres, la classifica recita Indurain primo con 7’56” di vantaggio su Virenque, secondo. Vale la pena di continuare? 

Bugno non si presenta ai nastri di partenza e torna in Italia. Pantani invece continua, insiste, scatta e a fine Tour arriva sul podio, terzo dietro Ugrumov, a 7’19” da Indurain che ha tirato i remi in barca.
Bugno non vincerà null’altro di significativo fino all’anno dopo, complice una squalifica per doping dovuta a un caffè con Coca Cola preso al bar prima della Coppa Agostoni. A una settimana dall’inizio del Tour del 1995 si corrono a Pescara i campionati italiani di ciclismo. Bugno va in fuga, resiste alla pioggia, vince su Andrea Tafi la volata del gruppo ristretto e si guarda bene dall’alzare le braccia. È il ritorno dell’eroe? A ben guardare, ha di nuovo saltato il Giro privilegiando una lunga pausa meditativa. Nel ’92 l’aveva fatto per cercare di scalzare Indurain e Chiappucci dai rispettivi troni; nel ’95 lo fa perché spera di accaparrarsi la maglia anche per un solo giorno, in maniera più o meno casuale, con una coltellata di gran classe nelle prime tappe. Ha bisogno di passare anzitutto indenne il prologo di Saint-Brieuc, che si corre in notturna. È una tappa atipica, tant’è vero che la vince il mattacino Jacky Durand; Bugno, minacciato dalle tante cadute nella notte bretone, preferisce affrontare le curve con prudenza e rimanda l’assalto alle tappe successive; non è così che ha fatto anche al Giro dell’anno prima? Ma niente, la sua corsa procede anonima mentre a Le Havre acciuffa la maglia Ivan Gotti, bergamasco sino ad allora sconosciuto, che la serba un paio di giorni.

Niente, non è destino; tanto più che il 9 luglio c’è la crono di Seraing; tanto più che l’8 luglio, mentre tutti stanno cercando di risparmiare energie, Indurain impazzisce e va in fuga in una tappa piatta. Fa una cronometro da solo, con a rimorchio Johann Bruynell che gli succhia le ruote, non dà un cambio e poi si prende tappa e maglia gialla (tanto, il giorno dopo, Indurain sa di vincere la crono, tappa e maglia come sempre). È il più gran numero mai fatto sulle strade dei Tour postmoderni. “Dite che vinco solo a cronometro, dite che in montagna amministro stancamente?”, sembra chiedere Indurain mentre taglia l’aria a velocità missilistica: “Allora vi faccio vedere che mi basta una tappa a casaccio per mettere un minuto fra me e gli altri, per pura forza di watt sui pedali”. Bugno affonda. Mentre perfino il vecchio Chiappucci s’affaccia in classifica (decimo a un quarto d’ora a metà Tour), il campione d’Italia sparisce dai radar. A Parigi è cinquantatreesimo a 1h58’47” di distanza da Indurain, primo e ultimo a vincere cinque Tour di fila. Meglio di Bugno fa Gotti, quinto, meglio di Bugno Chiappucci, undicesimo; ma meglio fanno anche corridori come  Lanfranchi, Cenghialta, Podenzana, Pelliccioli, il danese Bo Hamburger e l’ucraino Vladimir Poulnikov, la meteora statunitense Lance Armstrong e il redivivo polacco Zenon Jaskula, tutti rispettabilissimi pedalatori ma non baciati da un alluce del talento che la bici aveva riservato a Bugno.


Ultimo forse a essere nato passista, scalatore, cronoman e velocista tutt’insieme, Gianni Bugno decide di non partecipare più al Tour. Il giallo avrebbe donato alla manifesta superiorità della sua classe ma è meglio lasciar perdere; finché ci sarà Indurain non c’è speranza e andare in giro per la Francia a fare il treno merci non è confacente. L’estate dopo, spogliato anche del tricolore, Bugno segue la corsa dal divano di casa. Alla prima tappa di montagna Rai Tre gli telefona in cronaca e lui a mezza bocca sembra quasi rimproverarli: “Non avete visto che a Indurain in cinque anni non è mai venuto un raffreddore?”. Tradotto, cosa state lì a fare la telecronaca? Cosa stavo io lì a corrergli dietro? Detto, fatto. Sulla salita di Les Arcs, a tre chilometri dall’arrivo, la telecamera inquadra Indurain da solo. Ecco, dicono i cronisti, ecco che è partito, s’invola verso il sesto Tour anche senza la cronometro pedemontana di prammatica. L’inquadratura successiva mostra però i culi di vari ciclisti davanti a lui. All’arrivo Indurain prenderà quattro minuti di ritardo, non vincerà mai più un Tour, e Bugno sul divano penserà che proprio non era destino.