giovedì 27 agosto 2015

Non è curioso che proprio nel giorno in cui parto da Cambridge per ripassare dopo anni da Oxford esca sul Foglio un mio articolo sulla Oxbridge connection, ossia sul patto del Nazareno fra Cambridge e Oxford? In Inghilterra qualcuno avanza il sospetto che esista un accordo fra politici laureati nelle due università per continuare a governare all'infinito indipendentemente dal colore e dal partito. Nell'articolo spiego cosa c'è di vero e cosa no.

mercoledì 26 agosto 2015

Ogni volta che devo andare a Oxford accade qualche disgrazia, e infatti stamattina non appena ho fatto il biglietto del treno è venuta giù un'acqua battente che ancora non accenna a smettere e forse non solo funesterà l'intera trasferta di domani ma probabilmente durerà una quarantina di giorni, rendendo necessario costruire un'arca sulla quale far salire solo e soltanto due studiosi di sesso diverso per ogni materia così da garantire la salvezza della cultura: un professore e una ricercatrice di accadico, una lecturer e un dottorando di meccanica quantistica, un assegnista di studi voltairiani (bellissimo) con un'ospite a sua discrezione e così via. Comunque. Il principale motivo di orgoglio per questa trasferta a Oxford è avere scoperto che la rivalità con Cambridge è talmente radicata e capillare da essersi diffusa perfino nei bigliettai in stazione. Allo sportello infatti ho escogitato il numero di chiedere prima I wish to go to Oxford, desidero andare a Oxford, correggendomi poi con I would like to go to Oxford, mi piacerebbe andare a Oxford, e poi concludendo con un Well, I'm not so keen on that, dopotutto non sono così entusiasta di farlo, che per poco il bigliettaio non scavalcava la vetrata per venire a stringermi la mano ridendo.

martedì 25 agosto 2015

Grazie alle diatribe laburiste e al barbuto Jez Corbyn che va di gran moda, i riflettori sono puntati sulle diverse anime della sinistra fino al punto da far dimenticare che in Inghilterra esiste e resiste una destra non cameroniana. L'ho incontrata di persona stamattina. Avevo bisogno di una lavanderia e per evitare il traffico del bank holiday incombente ne ho cercata una piccolina, nella zona del Grafton Centre che è il principale centro commerciale di Cambridge. Il gestore era sulla cinquantina e mi ha guardato con il sospetto che si deve a un cliente nuovo che non solo è chiaramente straniero ma dichiara anche di avere bisogno di camicie stirate per martedì perché poi mercoledì parte per sempre e chi s'è visto s'è visto. Il modo in cui ha indagato su di me è stato educatissimo oltre che raffinato, inserendo nello smalltalk della consegna dei miei stracci una serie di considerazioni o domande volte a scoprire non tanto da dove venissi ma cosa pensassi, perché è quella la discriminante. Non gli interessava tanto sapere se fossi italiano quanto capire che idea mi fossi fatto della Rinascente, e quando gli ho spiegato del nome dato da d'Annunzio e dell'edificio milanese che mi piace perché è coerente col resto della città si è sentito libero di lamentare che il Grafton Centre non sarebbe mai dovuto sorgere perché non c'entra nulla con Cambridge, oltre a danneggiare i negozi più piccoli su cui la società locale si reggeva. L'ha ripetuto tre volte prima di esaminarmi introducendo nel discorso Michael Portillo; la delusione che ho causato non sapendo che dopo essersi dimesso da parlamentare Portillo aveva condotto una trasmissione di viaggi per la BBC è stata bilanciata dalla mia competenza nel ricordare che Portillo aveva perso le primarie per la leadership conservatrice da Iain Duncan Smith. A quel punto il lavandaio s'è sentito libero di esprimere l'idea che Portillo non fosse gran che come politico ma andasse bene come persona - rimarchevole la distinzione, l'opposizione anzi, fra person e politician - e mi ha fatto pagare perché altrimenti saremmo andati avanti all'infinito, io a rispondere alla sua interrogazione e lui a scoprirsi un po' di più a ogni risposta esatta rivelandomi di essere non ostile ai conservatori e non favorevole agli stranieri, non ostile però a quelli che si integravano con la cultura inglese ed erano in grado di sostenere una conversazione, ma nemmeno favorevole ai fat cats della finanza ai cui soldi i Tory si sono asserviti temo definitivamente; e così via a precisare sempre più la propria posizione differenziandola da quella del partito che avrebbe naturalmente supportato. All'uscita ho notato che mentre Cameron per cinque anni ha parlato e parlato della big society, la quale doveva venire in soccorso dei meno abbienti creando dei plotoncini locali di aiuto spicciolo, ma alla fine non credo che abbia combinato gran che, il lavandaio esponeva fuori dalla porta un cartello in cui prometteva che, se dimostravi di essere disoccupato e avevi bisogno di far lavare e stirare un abito per un colloquio di lavoro, lui lo faceva gratis. Lo vedrei bene come candidato alla leadership conservatrice nel 2020.

sabato 22 agosto 2015

Quiz per anglofili: cos'hanno in comune la corsa alla leadership laburista, i programmi scolastici di musica, il medico del Chelsea, i manichini di Topshop e l'università di Cambridge? Il fatto che in Inghilterra essere donna è diventata un'emergenza sociale. Ne parlo sul Foglio in edicola oggi.

martedì 18 agosto 2015

Cos'hanno in comune Henry Miller, Anthony Burgess, P.G. Wodehouse e Aldous Huxley? Troppo testosterone. Una critica letteraria inglese propone di eliminarli dalla lista dei cento migliori romanzieri di ogni tempo per sostituirli con autrici che potreste anche avere sentito nominare e che consentirebbero alla quota rosa di raggiungere percentuali accettabili. Sulla prima pagina del Foglio di oggi racconto la storia della decapitazione femminista dei monumenti letterari.

venerdì 14 agosto 2015

Ma le avete viste le facce dei quattro candidati alla leadership laburista? Siccome so che non sapete nemmeno chi siano, vi  suggerisco di cercare su google gli identikit di Andy Burnham, Yvette Cooper, Jeremy Corbin e Liz Kendall. Non sorprende che buona parte del dibattito interno al partito verta sulla prospettiva di restare all'opposizione per altri dieci anni o forse venti, nonostante quanto avevo scritto sul Foglio nel giorno in cui Gordon Brown cedeva a tempo potenzialmente indeterminato la casa di Downing Street al dinamico ciuffo conservatore di David Cameron:

Gli inglesi hanno da sempre un rapporto controverso col corpo dei loro leader. La Regina, per esempio, ogni estate va in vacanza nello stesso paesino e la prassi è che tutti gli abitanti del luogo fingano di non vederla: è la loro maniera di tributarle onore. Ma un giorno un turista non molto pratico del tacito accordo, avendo scorto in una sala da tè questa signora dall’aria familiare, le si avvicinò sussurrandole discretamente: “Sa che somiglia moltissimo alla regina?”. E lei: “Grazie, è davvero rassicurante”.

Il desiderio di ignorare a ogni costo il sembiante di chi rappresenta la nazione è stato rimosso senza ritegno di fronte a Gordon Brown. Nel giorno che avrebbe portato alle sue dimissioni, quasi tutti i quotidiani – senza distinzioni fra raffinati broadsheet e tabloid popolari – hanno incentrato la prima pagina su un primissimo piano del suo volto accigliato, quasi grottesco per quanto infantile appariva la sua espressione. Sembrava volessero certificare all’unisono che Brown era da tempo la caricatura di se stesso, schiacciato sotto il peso di una fisicità che non riusciva più a governare e che lo rendeva un po’ ridicolo e un po’ implausibile. Per quanto i media inglesi abbiano iniziato a danzare intorno al cadavere di Brown già nel giugno 2009, quando le dimissioni in serie di ministri chiave lo costrinsero a un rimpasto estremo e quasi eroico per il suo equilibrismo, il momento in cui l’attenzione dell’opinione pubblica è stata fatta convergere sul corpo del primo ministro è arrivato a settembre. A Brighton, nel corso del congresso laburista, Andrew Marr della Bbc gli rivolse una raffica di domande improvvide sul suo effettivo stato di salute e Brown fu costretto a entrare nei dettagli su come avesse perso la vista dall’occhio sinistro durante una partita di rugby al college. Mai un premier era apparso tanto isolato e sperduto come Brown sul palco di Brighton mentre cercava affannosamente di non rispondere all’inquisitorio Marr, che gli chiedeva se davvero assumesse psicofarmaci.

Da allora le immagini imbarazzanti si sono susseguite incalzandolo. In un corteo solenne a Buckingham Palace si lascia sfuggire un incongruo sorriso che sembra piuttosto un rictus; visita le truppe in Afghanistan indossando (Dio solo sa perché) due elmetti uno sull’altro; sprofonda il volto fra le mani scoprendo di aver lasciato il microfono acceso mentre offendeva un’elettrice. Oppure, stando alle rivelazioni di Andrew Rawnsley in “The end of the party”, in auto conficca una penna nel sedile di un sottoposto che gli aveva fatto perdere la pazienza. I dibattiti televisivi hanno fatto il resto: mettendo Brown a confronto con due consapevoli posatori quali David Cameron e Nick Clegg, hanno contribuito a diffondere l’idea che non fosse adatto a governare perché muoveva la mascella in modo buffo e non sapeva mai come sistemare le mani sul leggio.

Il triste paradosso di Gordon Brown è che nessun primo ministro sembra aver dato meno di lui peso alla propria immagine e ciò nonostante verrà ricordato soprattutto per il suo corpo brutto, goffo e malandato. Non gli si può negare una grandezza tragica. Lui forse aspirava a essere un Macbeth destinato al dolce tormento di vedersi le mani sempre macchiate del sangue dei suoi alleati, divenuti avversari e via via sconfitti; invece i media hanno trasformato la sua inesausta furia politica nella rabbia di Calibano che scorge la propria immagine riflessa in uno specchio.

giovedì 13 agosto 2015

L'uovo oggi, la gallina domani e la rivoluzione copernicana nel sistema dell'istruzione inglese. Sul Foglio in edicola trovate un mio articolo su come oggi - con l'uscita dei risultati degli A-levels, gli esami di maturità britannica - cambia una volta per tutte la sorte degli adolescenti istruiti: non saranno più gli studenti a scegliere l'università ma le università a scegliere gli studenti.

mercoledì 12 agosto 2015

C'è quel racconto di Aldo Palazzeschi in cui (mi pare) un inglese va in Egitto per una spedizione archeologica con la moglie e un coccodrillo poco educato se lo pappa. La moglie allora presenta le proprie rimostranze al coccodrillo offrendogli un matrimonio riparatore; il coccodrillo accetta di buon grado e si trasferisce con lei in Toscana, dove si piazza sulla sedia a dondolo a leggere il giornale in tweed mentre fuma la pipa. Una lucertola vedendolo riconosce in lui un lontano parente e gli domanda cosa faccia conciato a quel modo. "Non lo vedi? Faccio l'inglese". Così anch'io al mattino leggo il giornale cercando di camuffarmi il più possibile perché vado a farlo da Savino, lo storico bar italiano di Cambridge che ha il pregio di vendere caffè Illy quindi viene frequentato da inglesi che se ne intendono, tanto che è sempre pieno e arrivano sempre persone che finiscono per chiedermi se possono sistemarsi sulle sedie vuote del mio tavolino; poiché io non amo il reducismo evito di prendere le copie tentatrici del Corriere della Sera e della Gazzetta dello Sport (del giorno prima, si capisce) ma leggo con sussiego il Guardian e poi sfoglio rapidamente il Telegraph, il Times e l'Independent in ordine decrescente d'importanza e di necessità. Faccio l'inglese talmente bene che ieri il signore col tweed e la moglie che condividevano il mio tavolino nell'atto di andarsene mi hanno sussurrato con fare cospiratorio: "Lei è italiano? Anche noi".

martedì 11 agosto 2015

Scusate, nel pubblico c'è un volontario per l'eutanasia? Ecco disponibile online il mio pezzo sullo spettacolo che Philip Nitschke, per gli amici Dottor Morte, sta mettendo in scena in questi giorni al Fringe festival di Edimburgo, direttamente dal sito del Foglio.

lunedì 10 agosto 2015

A completamento del mio pezzo uscito sabato sul Foglio riguardo alle nuove tendenze del teatro britannico e in particolare alla messinscena dell'eutanasia al Fringe Festival di Edimburgo, devo segnalare che questo fine settimana sui palchi scozzesi tutte le attenzioni sono state accentrate su uno spettacolo in cui due attori si spogliavano progressivamente lanciandosi reciprocamente addosso della vernice. Bello, intenso, significativo; come hanno segnalato alcuni recensori, un percorso per giungere alla piena liberazione del popolo britannico, troppo spesso costretto da cliché e obblighi sociali.

Prima che io possa liberarmi e andare in giro per Cambridge nudo cosparso di vernice deve passarmi il raffreddore, frutto delle temperature improvvisamente estive del fine settimana (il mio povero corpo, che si era acclimatato sul tipico freddolino di queste latitudini, non ha retto); vi terrò aggiornati. Posso però segnalare che oggi un ulteriore passo è stato fatto verso la liberazione del popolo britannico, proprio stamattina, proprio a Cambridge, proprio mentre ero in fila da WH Smith per comprare il giornale. Il signore davanti a me, in attesa che si liberasse l'unica cassa monopolizzata da un tale che stava comprando dei Gratta & Vinci e si dilungava in chiacchiere con la cassiera che per educazione gli dava corda, a un certo punto ha fatto l'imponderabile: si è raschiato la gola per farsi notare. Non contento, in seguito ha sbuffato; e quando il troppo gli è parso troppo, ha anche fatto minacciosamente un passo in avanti verso la cassa. Non vedo l'ora di leggere la recensione della performance domani su Cambridge News.

sabato 8 agosto 2015

Pensavate di volare a Londra per venire a vedere Benedict Cumberbatch che recita Amleto? Tanto vale che allunghiate il tragitto arrivando fino al Fringe Festival di Edimburgo, così potete andare a teatro per provare la macchina della dolce morte salendo sul palco durante un monologo sull'eutanasia: non avrete più dubbi su essere e non essere. Ne parlo sul Foglio in edicola oggi.

venerdì 7 agosto 2015

Ieri sera ero tutto ammirato da una brevissima recensione nel tradizionale dorsetto culturale sul Guardian del sabato, in cui Il libro delle cose nuove e strane di Michel Faber (Bompiani) viene raccontato in trenta righe dal punto di vista della moglie del protagonista nonostante che il romanzo sia scritto dal punto di vista del marito - quand'ecco che subito sotto ho scorto qualcosa di ancora meglio. Yes Please dell'attrice scollata Amy Poehler viene recensito da Laura Miller in questi termini:

Viene presentato su pagine stampate infilate fra due fogli cartonati a mo' di copertina; pertanto, tecnicamente parlando, è un libro. Tuttavia è il tipo di titolo cui nell'ambiente editoriale si fa talvolta riferimento come "non-libro", nel senso che ha poche delle qualità che la gente libresca abitualmente ama ritenere esemplificative dell'oggetto. Non è un atto di scrittura coerente e ben ordito attorno a una storia o a un argomento. Viene difficile immaginare qualcuno che riesca a trovare un senso in parti di esso, o addirittura a leggerlo tutto.

Purtroppo non conoscevo prima Laura Miller e purtroppo l'impietoso Google mi svela stamattina che si tratta di una lettrice professionista che scrive anche per Slate, New Yorker, Harper's Magazine. Peccato. Per tutta la notte avevo sognato che si trattasse dello pseudonimo con cui Fabio Fazio si vendicava di tutta la melassa che a Rai 3 gli fanno da anni riversare su libri e non libri.


giovedì 6 agosto 2015

Dall'affaire Edward Heath - primo ministro negli anni '70, immortalato nel coretto di una canzone dei Beatles sulle tasse, oggi accusato di pedofilia a furor di popolo dai quotidiani bassi - si apprende lo slittamento di alcuni concetti chiave nella cultura britannica. Heath è stato uno dei due primi ministri single nella storia contemporanea del Regno Unito, settant'anni dopo il notorio snob e libertino conte Balfour. Per dirvi l'inverosimiglianza di un primo ministro single, pensate che attorno a questo rarissimo caso è stata imbastita la trama del film Love, actually, con Hugh Grant che balla da solo di sera giù per le scale di 10 Downing Street. Heath era un modello di single molto diverso da Balfour (e da Hugh Grant, che alla fine sposa una stagista) in quanto alla carenza di una famiglia non sopperiva con un'attività seduttiva pubblicamente chiacchierata. Alle domande sulla sua vita privata, anche gli amici più intimi rispondevano: "Non ne ha". Ciò che nell'Inghilterra di quarant'anni fa era visto se non come un pregio come un'eventualità, ossia il sostanziale disinteresse dell'uomo nei confronti di tormenti sentimentali o turbamenti sessuali che lo avrebbero distolto dalla gestione del potere in cui era assorbito, oggi viene immediatamente interpretato come copertura di un'attività omosessuale. Può anche essere, ma who cares?

Qui entra in gioco infatti il secondo fattore. L'aggettivo più comune nel descrivere Heath era secretive, ovvero discreto ai limiti dell'occultamento. Anche questo era reputato un pregio nell'Inghilterra di quarant'anni fa, ritenendo che l'esposizione di emozioni, affari propri e mutande sporche fosse continentale, latina - anzi peggio, common: ossia una tentazione per così tante persone  di varia estrazione che tanto valeva che nessuno vi cedesse, soprattutto chi copriva ruoli di responsabilità. Nessun inglese serio avrebbe voluto per amico uno che gli raccontava pettegolezzi su sé stesso. Oggi invece si ritiene che chi non metta in piazza la propria privacy abbia necessariamente qualcosa da nascondere. Nel caso di Heath, l'omosessualità; ma come mai era così secretive? Non è che c'è qualcosa di peggio?

Ecco il terzo tassello. La discrezione iperbolica di Heath deve nascondere qualcosa di losco, che colori di nero l'ormai acclarata predilezione per i maschi; anzi, per i ragazzi; anzi, per i bambini. Voilà. Basta che una tenutaria di bordello, ormai carampana, dichiari di avere servito Heath e il gioco è fatto: il privato diventa pubblico, il sesso reato, la passione delitto, inevitabilmente. Poco conta che la dichiarazione sia stata resa venticinque anni fa e mai confermata, anzi smentita dalla medesima; l'enjeu politico pretende che le indagini vadano a fondo e, se non c'è nulla, vuol dire che un quarto di secolo fa esse furono fermate per impedire di arrivare a colpire nomi molto in alto. Heath sembrava una persona discreta, forse un po' troppo solitaria, e invece era un diabolico complottista.
Non basta. Le indagini si sono basate sulle rivelazioni di un bambino di sessantacinque anni il quale si è improvvisamente ricordato di avere subito sevizie dal futuro primo ministro nel 1961. Non commenterò la credibilità del singolo caso ma mi limiterò a ricordarvi che scrivo da Cambridge, dove un'inchiesta ha rivelato che il 30% degli studenti universitari sostiene di avere subito violenza sessuale e il 77% molestie sessuali; se tanto mi dà tanto, è sorprendente che dopo un'intera settimana qui io non sia stato violentato. O non sia in galera.

Manca l'ultimo pezzo. La polizia. Le forze dell'ordine del Wiltshire, di fronte al sospetto di avere insabbiato un'inchiesta nei primi anni '90, hanno reagito con forza tenendo una conferenza stampa di fronte alla casa di Heath. Santo cielo! Ma nemmeno in Corea del Nord, spero almeno, la polizia tiene conferenze stampa davanti alla casa dell'indagato! Non solo: in barba a ogni principio di giustizia basata sulle indagini, e non sull'inquisizione, la polizia ha invitato a uscire allo scoperto chiunque da bambino abbia subito violenza sessuale, benché retribuita, da Edward Heath. Accorreranno a frotte, richiamati dalla succosa madeleine giuridica: così si potrà finalmente far pagare il fio a un orrido pedofilo che a prima vista sembrava un politico discreto e melanconico, un romantico che teneva sul comodino la foto di una fidanzata mai sposata. E che è morto dieci anni fa.

mercoledì 5 agosto 2015

Vi spiego rapidamente come funziona il giornalismo britannico. Prendiamo il Guardian; prendiamo anche un numero vecchio (venerdì scorso) così facciamo del vintage e possiamo concentrarci sui meccanismi anziché sulla stretta attualità. Partiamo da una pagina interna, quella degli editoriali, in fondo alla quale si trova il pezzo sul dottor Palmer o meglio su Cecil, il leone ucciso in un safari facilitato dal dentista americano. Il pezzo del Guardian lo paragona a Putin (il medico, non il felino) per via della passione nel farsi fotografare con selvaggina inerte, talvolta perfino a torso nudo. Putin lo ritroviamo in prima pagina, in un articolo che riferisce della visita in Scozia di Donald Trump. Il candidato alle primarie repubblicane, visitando un campo da golf nelle Highlands, ha dichiarato che col presidente russo avrebbe rapporti più amichevoli di quelli che Obama ha saputo costruire nel suo mandato e mezzo. Dunque, per la proprietà transitiva, da un lato troviamo i cattivoni Palmer, Putin e Trump; dall'altro i buoni che per ora sono soltanto un leone e Obama. Le schiere sono destinate a rimpolparsi rapidamente. Qual è la principale accusa che viene rivolta a Donald Trump dai benpensanti? Quella di avere rivelato che gli immigrati messicani portano in larga parte delinquenza. Inaudito. Infatti cosa c'è proprio di fianco all'articolo su Trump, sempre in prima pagina? Il resoconto dell'indignazione laburista a fronte delle dichiarazioni di David Cameron; in riferimento agli assalti di immigrati a Calais, il primo ministro li aveva definiti swarm, sciame, e giù proteste perché è un linguaggio disumanizzante, e le parole sono importanti, e bisogna rispettare gli animali ma anche gli immigrati, e così la Gran Bretagna scopre di essere governata da una specie di Donald Trump meno pacchiano. Ma corriamo all'inserto G2, quello degli approfondimenti sagaci e irriverenti, dove troviamo un'intervista ai Blur il cui membro Alex James è costretto a difendersi dalle accuse dovute alla scoperta di una vecchia foto che lo ritrae, orrore degli orrori, indovinate con chi? Con David Cameron: il simil-Trump quasi-Putin che se fosse un dentista se ne andrebbe in giro per l'Africa ad ammazzare tutti i leoni e i potenziali immigrati. Aggravante: nella foto incriminata appare anche Jeremy Clarkson, anchorman di enorme successo ed ex conduttore di Top Gear, trasmissione di punta dalla quale la BBC l'ha cacciato per presunte molestie sessuali; e chi c'è a pagina tre del quotidiano? Proprio Jeremy Clarkson: una pagina intera viene dedicata al fatto che Amazon gli ha affidato - insieme ad altri due tizi che qui sembrano famosissimi ma ai miei occhi sono ignoti - la conduzione di un'altra trasmissione sulle automobili volta a rivaleggiare con Top Gear. Sdegno di fronte a un'azienda che assumendo un potenziale stupratore retroattivo, noto per le sue foto con musicisti adusi a farsi fotografare con primi ministri che vorrebbero essere Donald Putin o Vladimir Trump al solo scopo di sparare a Obama in un safari facilitato, non tiene in debito rispetto le donne. Bisogna fare come invece suggerisce Mark Haddon - autore de Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte - il quale nella rubrica "Il libro che mi ha cambiato la vita" approfitta dello spazio concessogli dal Guardian per confessare che prima di leggere negli anni '80 Spare Rib reader (sottotitolo: "100 argomenti per la liberazione delle donne") non solo era un fedelissimo fan delle comiche scollacciate di Benny Hill ma nemmeno credeva che il mondo fosse così preclusivo e violento nei confronti delle donne. Da allora però Haddon è diventato un convinto femminista, uno di quelli che - si deduce - non solo ha iniziato a guardare Top Gear solo nella nuova versione corretta e declarksonizzata ma non sparerebbe mai nemmeno a un dentista americano, anzi se gli capitasse di incontrare un leone immigrato se lo sposerebbe immediatamente.