lunedì 16 novembre 2015

Arriverà un giornalista (forse è già arrivato) e definirà "ragazzo normale" uno qualsiasi dei terroristi descrivendone la routine quotidiana indistinguibile dalla nostra e passando sotto silenzio il dato di fatto che, essendo musulmano, appartiene a una minoranza religiosa. Da che la storia esiste, e in qualsiasi Stato, le minoranze religiose non sono mai state normali perché la loro stessa condizione li pone in attrito col credo professato in maggioranza entro gli stessi confini, che per etimologia costituisce la norma. In tempi recenti, avendo rinunciato a cambiare la religione delle persone, si è deciso di cambiare la definizione di normalità escludendo la fede dai suoi appannaggi. Negli ultimi centocinquant'anni si è deciso di abituarsi gradualmente all'idea ottusa che la fede abbia a che fare solo e soltanto con la sfera privata e che dunque non cambi nulla se un individuo si professi calvinista o scintoista o carpocraziano a patto che si comporti come tutti i connazionali seguendo le stesse leggi e gli stessi principii comuni; è come sostenere che non importa se un uomo sia raffreddato, l'importante è che non starnutisca. Bell'illusione illuminista contraria ai manuali di storia, smentita a posteriori dai fatti e a priori dall'etimologia, poiché religione significa quod religat ovvero ciò che lega e unisce e tiene insieme comunità che si riconoscono in un trascendente condiviso la cui negazione merita di essere contrastata alla morte. Possiamo fingere che non sia così, noi tiepida maggioranza di comodi atei o semicristiani paraculi dal sangue acquoso, ma non possiamo pretendere che lo finga anche chi si identifica in una minoranza e sa di appartenervi perché è meno distratto o codardo di noi. Noi però siamo troppo impegnati nello sforzo di riempire il posto vacante che la religione privatizzata ha lasciato nella sfera pubblica (poiché la natura non tollera vuoti) trasportandoci l'amore e i sentimenti destinati alla sfera privata, nella pretesa di tramutare i desideri intimi in diritti universali, nel tentativo di trasformare secoli e secoli di civiltà in un'enorme terza media mentre attorno a noi l'inevitabile corso della storia stringe il suo cerchio di fuoco.