sabato 26 dicembre 2015

Non per vantarmi ma quest'anno i miei auguri di Natale sono stati così.



venerdì 25 dicembre 2015

Modesta proposta per cambiare la data del Natale facendo lo scisma fra cattolici e pagani. Strenna online sul sito del Foglio.


mercoledì 23 dicembre 2015

Sul Natale non c'è niente da dire. In prima pagina sul Foglio di oggi trovate la mia intemerata contro la cultura secolarista affamata di modernità, che ogni anno cerca di rendere eccezionale il 25 dicembre uccidendo il senso rituale, cioè cristiano, della festa. Con una proposta per cambiare la data e alcune considerazioni sulle pagine festive del quotidiani e su Renato Pozzetto come modello del multiculturalismo.

domenica 20 dicembre 2015

Tale e tanta è la tristezza della nostra epoca che adesso, a dieci minuti dal calcio d'inizio della Coppa Intercontinentale (inspiegabilmente in diretta su Rai 2), su youtube sono già disponibili le immagini di Barcellona - River Plate replicata su Fifa 16. Ebbene poiché il calcio è quello sport che la televisione universale ha trasformato in attività metafisica, distinto dall'atto di prendere una palla a pedate ma indistinguibile dall'atto di guardare una palla presa a pedate, è normale che lo sviluppo naturale sia un videogioco che riproduce l'atto di guardare una partita rendendola interattiva, ed è inevitabile che il videogioco abbia lo stesso nome della federazione internazionale che dovrebbe fra una cosa e l'altra organizzare il regolare svolgimento del gioco vero, quello in cui si muovono le gambe. Non solo; è significativo che internet, in quanto mezzo di comunicazione cosmico assoluto, abbia reso disponibile la possibilità non solo di guardare il gioco (come accade con la tv) ma di guardare un gioco che riproduce il guardare il gioco. Anzi è auspicabile che presto la riproduzione si svincoli dalla realtà degli eventi e dalla loro verosimiglianza, così che i videogiochi non siano più costretti a utilizzare come attori virtuali calciatori e squadre reali da contrapporre in scontri possibili; bensì, a universale vantaggio economico, diventino compiutamente immaginari ossia soppiantino in toto la narrazione delle partite, rendendone superfluo lo svolgimento. Auspico pertanto che fra quattro minuti, al momento di fischiare il calcio d'inizio della sfida di Yokohama, l'arbitro convochi a sé i capitani di Barcellona e River Plate sancendo che è già stato omologato il risultato della simulazione diffusa su youtube, facendo risparmiare a tutti tempo, e sudore, ed eventuale noia.

lunedì 14 dicembre 2015

Ho letto Non nel mio nome, pamphlet Rubbettino scritto da un militante cattolico - Jean-Pier Delaume Myard - che si picca già nel sottotitolo di essere omosessuale ma contro le nozze gay. Secondo me, il ragionamento non regge e regge ancora meno se ci si basa su una prospettiva cattolica: la ridda di sigle e associazioni nate per difendere la famiglia mi sembra l'inutile complicazione di un affare semplice. Nel libro però ho trovato due idee convincenti, una sul ruolo sociale dell'amore familiare e una su chi sia il nemico che i cattolici devono sforzarsi di combattere in questi tempi duri; unico problema, non sono idee dell'autore ma di un filosofo e di un cardinale. Potete leggere tutto sul sito del Foglio.

sabato 12 dicembre 2015

Domani, a Pavia, invasione di papi efferati dopo il mio poco misericordioso articolo sul Foglio.


venerdì 11 dicembre 2015

Sul Foglio in edicola oggi (fate ancora in tempo a comprarlo) vi rivelo due metodi retorici infallibili: uno per vincere un dibattito contro un sostenitore delle nozze gay, l'altro per perderlo. Dipende da come leggete lo stesso libro, Non in mio nome di Jean-Pier Delaume-Myard (Rubbettino), che si definisce omosessuale contro il matrimonio per tutti. Se lo leggete come ragionamento giuridico, funziona; se lo leggete come pamphlet cattolico, no.

mercoledì 9 dicembre 2015

In prima pagina sul Foglio di oggi, fra il pezzo di Giuliano Ferrara e quello di Maurizio Crippa, trovate me che terzo fra cotanto senno difendo l'onore di Giovanna d'Arco dai registi che alla prima della Scala l'hanno rappresentata come una pazza, una visionaria in camicia da notte, una repressa vessata dal padre che tramuta la propria castità in allucinazioni medieviste e cristologiche. Ottima scelta, insultare in un'occasione istituzionale la santa patrona di una nazione confinante e sotto attacco. Poiché si tratta di un intervento di pubblica utilità, si trova anche gratis online.

martedì 8 dicembre 2015

Inizia il Giubileo della Misericordia e sul Foglio in edicola oggi lancio un appello a Francesco affinché commuti la pena per Nuzzi e Fittipaldi, caso mai venissero condannati, in lettura coatta di Vite efferate di papi di Dino Baldi (Quodlibet): così capiscono che nessuna inchiesta scandalistica potrà mai far tremare il Vaticano dopo che ci sono stati pontefici scomunicati, ubriaconi, incestuosi, e soprattutto dopo che Dio decretò di conservare intatto per cinquecento anni proprio il cadavere di Bonifacio VIII, con tutti i papi santi che aveva a disposizione.

Si trova anche sul sito del Foglio.

lunedì 7 dicembre 2015

Grande attenzione oggi sui giornaloni – Corriere e Stampa in primis – a Gianni Rivera che esce dalla propria consueta riservatezza lanciando sul mercato un’autobiografia monumentale che non solo costa 50 euri ma che è anche stata pubblicata da un editore che non esiterei a definire oscuro, che richiede l’acquisto online (dal sito giannirivera.it) e definisce il cinquantone prezzo promozionale.  Mah. Mi sorprende perché soli due anni fa Rivera aveva dato forse inavvertitamente il più perspicace giudizio sul calcio – ma che dico sul calcio, sull’Italia dei nostri giorni – quando era stato intervistato da Nicola Calzaretta sul Guerin Sportivo in occasione del suo settantesimo compleanno. Calzaretta gli aveva chiesto ragione di come mai si fosse sempre dimostrato “refrattario alle emozioni” e Rivera aveva risposto – ve lo dico dopo cos’ha risposto. Prima verifichiamo il senso della domanda e la sua corrispondenza ai dati di fatto.

Rivera esordì nella prima squadra dell’Alessandria a quattordici anni in un’amichevole contro il non temibile Aik Solna. Dai vaghi ricordi che serbo dell’adolescenza mi pare di sapere che a quattordici anni tutti sono emozionati per definizione; Rivera però non lo fu e oltre a giocare benone segnò anche una rete. Il due giugno del 1959, con l’Alessandria che si era appena assicurata la salvezza ai danni del Torino, esordì sul serio in serie A contro un’avversaria più temibile degli svedesi: l’Inter. Non si emozionò nemmeno allora e finì 1-1. Non aveva all’epoca ancora sedici anni, età minima per poter essere schierato in campo; l’Alessandria poté farlo solo grazie a un permesso speciale della Federazione, per fortuna poco emotiva anch’essa e quindi poco propensa a lanciarsi in alti lai sullo sfruttamento minorile. Rivera passò al Milan e il 18 settembre 1960, una settimana prima dell’inizio del campionato, esordì in rossonero in una gara di Coppa Italia: avversario proprio l’Alessandria dov’era cresciuto. Niente emozioni, niente sceneggiate, niente piagnistei. Rivera giocò e il Milan vinse. Non segnò ma c’è ragione di presumere che, l’avesse fatto, non si sarebbe trattenuto dall’esultare cedendo all’ipocrisia dell’ex. Aveva diciassette anni. Per rendere l’idea, quell’estate Trapattoni ne aveva venti e giocava nella nazionale impegnata alle Olimpiadi di Roma; in trattoria aveva notato una cameriera che gli piaceva ma si era emozionato e, se non si fossero prodigati da pronubi due suoi compagni e commensali, non avrebbe trovato il coraggio di conoscere la propria futura moglie.

Avanti veloce col nastro. Rivera vinse lo scudetto del 1962, esordì in nazionale, vinse la Coppa dei Campioni del ’63, arrivò secondo nella classifica dell’unico Pallone d’Oro vinto da un portiere ma non si scompose, stante anche il leggendario merito di Lev Jascin; nel ’66 divenne capitano, rivinse lo scudetto nel ’68, rivinse la Coppa dei Campioni l’anno seguente e per soprammercato l’Intercontinentale sopravvivendo alla caccia all’uomo organizzata a Buenos Aires dall’Estudiantes; a dicembre del 1969 vinse il Pallone d’Oro, un trofeo molto più contenuto del barocco macigno di oggidì, e lo ricevé con guardinga indifferenza sul prato di San Siro prima di una partita contro il Cagliari dalle mani di un uomo in impermeabile. Dopo di che lo sollevò svogliatamente col braccio destro, quello senza la fascia bianca da capitano, e ci volle qualche insistenza per farglielo portare in trionfo con entrambe le mani. In una delle foto che documentano l’evento, sorride quasi.

Il 17 giugno 1970 si trovò sulla linea di porta dello stadio Azteca di Città del Messico per difendere il palo alla sinistra di Ricky Albertosi durante la semifinale dei Mondiali. Era il quinto minuto del secondo tempo supplementare, l’Italia stava vincendo 3-2 e la Germania batté un calcio d’angolo sul quale Uwe Seeler colpì di testa dando al pallone una traiettoria arcuata sulla quale si avventò Gerd Müller. Il ralenti da dietro la porta dimostra che, come commentò amaro Martellini, “potrebbe intervenire Albertosi o Rivera”; invece la palla lambì il quadricipite di quest’ultimo e la Germania pareggiò. Rivera si abbarbicò al palo: mentre i tedeschi si abbracciavano quasi venne colto da uno spasmo ma subito si contenne, cinse il legno e lo avvolse con la gamba destra dalla quale stava per partire uno scatto di rabbia, un calcio al nulla. A cosa sarebbe servito? Rivera preferì non emozionarsi. Tornò a centrocampo inseguito dagli improperi di Albertosi per prendere palla immediatamente dopo il calcio d’inizio. La conservò sovrappensiero per qualche secondo mentre i tedeschi si disponevano nuovamente in difesa, stremati però, dando via libera all’azione che trovò Boninsegna furibondo sull’ala sinistra. Questi saltò Schulz miserello e forse senza nemmeno guardare propose un rasoterra disperato verso il centro dell’area, dove supponeva potesse, quanto meno dovesse esserci qualcuno; c’era Rivera il quale, ancora inseguito dalle bestemmie che Albertosi sarà stato intento a masticare sotto i baffi tagliati, segna nel momento più difficile il goal più facile che si possa immaginare, un piatto destro dritto nel punto in cui Meier non sarebbe arrivato, essendo il portiere tedesco stato spiazzato dall’evenienza che chiunque a quel punto dello psicodramma avrebbe sentito i polsi tremare e si sarebbe avventato sul pallone con la prima gamba disponibile, la sinistra appunto e magari di collo pieno, e non avrebbe certo usato la gamba della ragione, il piatto illuminista. Rivera alzò i pugni al cielo arcuando le braccia verso di sé, mentre i compagni lo cingevano dal ventre facendolo roteare, mentre Meier ancora carponava e Schulz giaceva faccia a terra, mentre Martellini si concedeva addirittura un “Che meravigliosa partita, ascoltatori italiani” e mentre una voce anonima dalla tribuna stampa urlava con gutturalità gorillesca “Vingiamo! Vingiamo! Vingiamo! Vingiamo!”, mentre l’arbitro che era messicano ma si chiamava Yamasaki favoriva il deflusso dei calciatori azzurri verso la metà campo con consumate movenze da vigile urbano. Poi Rivera tornò a centrocampo al piccolo trotto, quasi passeggiando, nemmeno spettinato.

Conservò la stessa postura fieramente eretta il 6 maggio 1979, quando al Milan ormai completamente suo era più che sufficiente un pareggio per tornare a vincere uno scudetto dopo undici anni. L’eccezionalità dell’evento, poiché vincendolo sarebbe stato il decimo che avrebbe consentito di decorare la maglia rossonera con la stella dorata, aveva richiamato sugli spalti una quantità di persone tale e talmente incontenibile che non c’erano le condizioni per far cominciare la partita in buon ordine. La stella del Milan era in mano alle mattane di qualche migliaio di sconosciuti, più indomabili di undici tedeschi. Rivera non perse la testa. Continuando col passo che aveva tenuto nello stadio Azteca, avanzò sul prato di San Siro fino al punto in cui gli venne porto un microfono a gelato e pronunciò l’epigrafe resa appena umana dalla erre moscia: “Se non vi togliete dall’anello inferiore, il questore non potrà dare il permesso di iniziare la partita”. Il pubblico era riottoso, vociava e ruggiva. Un gentiluomo col cappello bianco a fungo gli si parò dinanzi e protestò dimenandosi esagitato: “Signor Rivera, io non voglio che il Milan perda lo scudetto perché vengo da Reggio Calabria, da Reggio Calabria vengo. E io voglio che se ne vanno, perché ho fatto millecinquecento chilometri”. Per Rivera l’esagitato era trasparente, invisibile, più piccolo del Pallone d’Oro. A stento levò un braccio per impartirgli la benedizione. Poi il popolo seguì la sua ammirevole calma, si ricompose, la partita poté iniziare e il Milan ebbe la stella.

Dunque Calzaretta aveva chiesto ragione a Rivera di come mai si fosse sempre dimostrato refrattario alle emozioni e Rivera gli aveva risposto che veniva da una famiglia di contadini, in cui non c’era tempo per emozionarsi. Italiani abituati a urla e strepiti, adusi all’aggettivo “incredibile” in ogni salsa, avvezzi allo strillo per azioni appena passabili, assuefatti al nome di campionissimo gettato a casaccio su fugaci fenomeni da baraccone, anestetizzati dalle lacrime in tv, propensi a disciogliersi per un bambino ciccione che canta, famelici di eventi, convinti ciascuno della propria eccezionale irripetibilità, confinati in un carnevale di eccessi perpetui, o noi che nel nostro piccolo siamo sentimentali, drammatici, esagitati, facinorosi, epilettici: se vogliamo combinare qualcosa prendiamo esempio e non emozioniamoci mai.

domenica 6 dicembre 2015

Sono apparso a Pietro Verri. Alla vigilia della prima alla Scala, la mia intervista esclusiva al fantasma dell'opera - con rivelazioni sconvolgenti su Milano capitale morale - è disponibile anche online, e gratis, sul sito del Foglio.

venerdì 4 dicembre 2015

Grandi rivelazioni sul Foglio in edicola oggi, a ridosso della prima alla Scala: il fantasma dell'opera è il conte Pietro Verri, che passa tutto in ghingheri davanti a Palazzo Marino per recarsi al teatro dove aveva assistito all'inaugurazione delle inaugurazioni, il 3 agosto 1778. Mi concede un'intervista esclusiva in cui parla del costo degli abbonamenti, di sua moglie, della mondanità milanese e della giustizia italiana; poi svanisce nel nulla.