venerdì 22 ottobre 2010

Timothy Garton Ash è una persona intelligente. Ogni tanto lo incontro per strada a Oxford, in quanto s’aggira spesso nella stessa zona in cui lavoro. Indossa sempre una sciarpa, di solito un cappello, e dietro la barba scura mi guarda con gli occhietti vispi di chi spera di essere riconosciuto, o forse lo sa già. Di sicuro non giova alla mia privacy il fatto che sovente io vada a zonzo con una copia del Guardian sottobraccio; allora è ovvio che tutti i suoi corsivisti appena mi incrociano per strada mi guardino come una celebrità. Timothy Garton Ash però vive e insegna a Oxford solo metà dell’anno mentre il resto del tempo lavora in America, credo a Stanford. A questo proposito, sul Guardian di ieri ci informava di essere passato da New York e di essere andato a un night club. Buon per lui. Invece no: era entrato in questo locale, che si chiama New York Dolls come si evince dalla vistosa pubblicità sistemata sul tettuccio di un taxi su due, per dimostrare che la moschea a Ground Zero non è poi questa cattiva idea. O meglio: la moschea a Ground Zero sarebbe meglio evitarla ma, dovendo sorgere all’interno di un centro di studi islamici collocato a tre isolati da Groud Zero, si tratterebbe di un esercizio comparabile al New York Dolls che si trova un mero isolato più in qua. Se la moschea offende la memoria delle vittime dell’11 settembre, la stessa memoria non dovrebbe essere offesa anche dal night club? E invece la costruzione della moschea incontra difficoltà inaudite mentre il New York Dolls sta lì dai tempi in cui Arafat concedeva interviste a Playboy. Si tratta di un articolo lungo, ben architettato, molto ragionato e soprattutto intelligente: mi ha quasi convinto che l’attentato alle torri gemelle l’abbiano organizzato le spogliarelliste.

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