mercoledì 30 aprile 2014

Indovinate chi si nasconde dietro la misteriosa "compagnia casuista" che scopre la prova inconfutabile dell'esistenza di Dio e preferisce occultarla? Sul Foglio in edicola oggi parlo de La prova nascosta di Laurence Cossé, romanzo francese di vent'anni fa che è stato appena tradotto dalle edizioni e/o perché particolarmente adatto al tempo di Papa Francesco.

martedì 29 aprile 2014

Forse non sapete che i dubbi dei conservatori sulla canonizzazione di Giovanni XXIII erano già diventati un romanzo nel 1980. Lo aveva scritto Anthony Burgess, quello di Arancia meccanica e Gesù di Nazareth, e naturalmente non lo si trova più in libreria perché è scritto troppo bene per poter sopravvivere al mercato editoriale italiano. Sul Foglio di oggi spiego qual è il romanzo e cosa c'entrano George Orwell e l'eresia pelagiana.

lunedì 28 aprile 2014

Bene, è tutto pronto e fra un mese lo trovate nelle migliori librerie, nelle peggiori e in quelle così così.



Si chiama Ho visto Maradona ed è una storia di calcio, politica, sesso e sfogliatelle. Lo pubblica Ediciclo nella nuova collana Battiti.

giovedì 24 aprile 2014

Mi sono sempre domandato come mai Gianrico Carofiglio, autore barese Rizzoli, venda eoni di copie in più di Raffaele Nigro, autore barese Rizzoli. Adesso poi la collana in cui vengono pubblicati è la stessa, con identica forma oblunga del libro in hardback, quindi non si può dire che la casa editrice faccia figli e figliastri. Penso di poter escludere che Carofiglio venda di più perché barese di Bari mentre Nigro venda di meno perché oriundo di Melfi e barese acquisito. Il mistero diventa viepiù insolubile mentre, dopo aver letto Il bordo vertiginoso delle cose di Carofiglio, leggo Il custode del museo delle cere di Nigro; fino a che ci trovo scritto quanto segue:

- Perché, di che si occupano oggi gli scrittori?
- Di che si occupano? Lasciamo stare. Si vestono da detective e cercano assassini. Si occupano di amori e fastidi dei politici e della gente di cinema, oppure aspirano a uscire in tivù, indagando su codici misteriosi, sul Graal e su scabrosi omicidi per far svagare i lettori preoccupati dai guai della vita e dal non potersi arricchire con tutta facilità.
- Tutto sommato sono animati da buoni propositi...
- Sì. Sono dei metronotte, vigilano sulla nostra serenità.

Io dunque mi sono sempre domandato come mai Raffaele Nigro venda meno di Gianrico Carofiglio ma almeno ora so di là da ogni ragionevole dubbio che se lo domanda anche lui.

mercoledì 23 aprile 2014

Oggi sul Foglio affronto l'annosa questione del town & gown, ossia dei rapporti fra accademici e civili nelle città universitarie, presentando il caso di Cambridge, contando quanti bicchieri di porto all'anno bevono i professori e soprattutto spiegando perché all'improvviso dicono tutti di essere così impegnati. Tutto nasce da una polemica sterile attorno a un articolo di Mary Beard, la professoressa che ha portato l'Antica Roma sugli schermi delle tv britanniche.

martedì 22 aprile 2014

Sul sito di Tempi è disponibile la recensione-diluvio di Noah, il film con Russell Crowe, Anthony Hopkins e Tubalcaino. Sembra lunga, ma se la leggete tutta risparmiate sia tempo sia i soldi del biglietto. Eccola:

Bisogna anzitutto ricordarsi che nonostante le massicce apparenze la Bibbia ha il dono della sintesi. Lo aveva già capito due millenni fa il cosiddetto Anonimo del Sublime il quale individuò nei primi versetti della Genesi la fattispecie della narrazione vertiginosa, che mostra nel giro di poche parole un precipizio infinito. La fama della Bibbia – fama stilistica, intendo – è dovuta a espressioni brevi, concise, fulminanti: “E fu sera e fu mattina”. Ho controllato sulla mia copia; a non voler considerare la Genesi che da un versante meramente narrativo, una pagina basta a raccontare la creazione di luce, firmamento, acque e luminaria magna, ossia sole e luna; alla fine della seconda pagina la creazione è stata completata; alla fine della terza Eva viene data ad Adamo e alla fine della quarta avvengono la cacciata dal Paradiso terrestre e l’inizio della storia umana propriamente detta.

La lunga, complessa storia di Noè viene raccontata in soli quattro capitoli – Genesi 6-9 – dalla corruzione dell’umanità alla benedizione dei figli del patriarca. Nel suo nucleo centrale copre quanto meno duecento giorni: sette dall’annuncio del diluvio alla prima goccia d’acqua; quaranta di pioggia; centocinquanta di terre sommerse. È tuttavia un computo per difetto. Dice infatti la Genesi che le acque del diluvio inondarono la terra “il diciassette del secondo mese” dei seicento anni di Noè (7, 11), che l’arca si posò sulle montagne dell’Armenia “al ventisette del settimo mese” (8, 4) e che il primo giorno del decimo mese (8, 5) dalle acque che man mano si ritiravano iniziarono a spuntare le vette dei monti. A quel punto Noè attese altri quaranta giorni e spedì il corvo in perlustrazione; dopo un tempo imprecisato, smarrito il corvo, venne mandata la colomba che fallì il primo tentativo di trovare terre emerse e venne pertanto rispedita una seconda volta dopo sette giorni dal suo ritorno (8, 10). Tornata la colomba la sera stessa con un ramoscello d’ulivo nel becco, Noè attese altri sette giorni. Quanto tempo è passato dall’inizio della storia? La Genesi racconta che Noè scoperchiò il tetto dell’arca, guardò e vide che la superficie della terra era asciutta il primo giorno del primo mese del suo anno seicentesimo primo (8, 18) e nel versetto successivo aggiunge che la terra fu asciutta il ventisette del secondo mese. È trascorso più di un anno; la mano che scrisse la Bibbia lo ha raccontato in due capitoli, riservandosi un capitolo preliminare per le cause dell’ira di Dio e un capitolo ulteriore per il sigillo dell’alleanza fra Dio e l’uomo, l’istituzione dell’arcobaleno e la preconizzazione del destino della posterità di Noè.

Questa premessa puntigliosa serve a calibrare il raffronto con la narrazione degli stessi eventi nel film di Darren Aronofsky che racconta la storia del cugino americano di Noè, Noah, interpretato da Russell Crowe. Considerato che la pellicola dura centotrentotto minuti, si possono trarre alcune conseguenze significative. Anzitutto, se lo stesso ritmo narrativo di Noah fosse stato applicato all’intero racconto della Genesi, la quale dalla creazione della luce alla morte di Giuseppe in Egitto impiega cinquanta capitoli, ebbene quest’ipotetico film Genesis sarebbe durato millesettecentoventicinque minuti, ovvero un giorno quattro ore e rotti. Il sublime, la narrazione vertiginosa che contraddistingue le prime pagine della Bibbia, nel film americano va del tutto a farsi benedire; la solennità di termini e modi che puntella il resoconto veterotestamentario è maestosa se concentrata nelle poche pagine essenziali di un testo scritto quando scrivere era materialmente difficile e faticoso, mentre diventa bolsa se dilatata nelle due ore e mezza di uno spettacolo che il progresso della tecnica e della virtualità ha reso, per quanto complicato, indubbiamente più comodo da realizzare. “E fu sera e fu mattina, primo giorno” è una formula senz’altro più efficace di “E fu sera e fu mattina, eccetera eccetera, omissis, bla bla bla”. 

La seconda conseguenza è dovuta al fatto che la storia di Noè ha un nocciolo narrativo che si sviluppa in un tempo limitato rispetto a quello enorme dell’attesa nell’arca, fra i complessivi centonovanta giorni di inondazione e gli otto mesi dopo i quali iniziarono a rivedersi i cocuzzoli delle montagne. Un regista che volesse impostare un film sul rispetto di queste proporzioni otterrebbe un film cupo, claustrofobico e ripetitivo ai limiti dello sfibrante oltre che umidissimo. La più urgente necessità di Aronofsky, una volta deciso di voler fare un kolossal della breve ma intensa storia di Noè, era di riempire i vuoti che il resoconto biblico lasciava inevitabilmente. Per questo ha dovuto integrare quello che la Bibbia dice con chiarezza – ben poco, in verità – galoppando con la fantasia; e, poiché per quanto giovane non è uno sprovveduto, ha deciso di affidare il riempimento ai ben noti gusti del pubblico. A fare un film possono essere buoni quasi tutti ma non altrettanto a riempire le sale.

Alla gente piace anzitutto l’azione, vedere altra gente che si mena: donde le numerose scene di guerra di tutti contro tutti, che andavano intese come un omaggio al filone di Braveheart piuttosto che di Thomas Hobbes. Alla gente piace l’amore: donde la tormentata storia d’amore fra Sem (personaggio biblico) e Ila (non sono riuscito a rileggere la Bibbia per intero prima di mettermi a scrivere ma penso di poter arguire che si tratti di un personaggio immaginario). Alla gente piacciono i bambini: dunque, si è detto Aronofsky, facciamo un drammone familiare in cui Ila ha una ferita al grembo che le impedisce di far figli, salvo poi miracolosamente partorire due gemelle e venire minacciata da Noè che vuole ucciderle a nuda lama. Alla gente piace la magia: quindi diamo ad Anthony Hopkins il ruolo di Matusalemme dotato del potere di rendere feconde le sterili e soprattutto di praticare l’anestesia totale su minori premendo loro la fronte con un dito. Ai bambini piacciono i mostri: allora popoliamo la terra di giganteschi Guardiani che sembrino dei Transformers di pietra e che in primo piano mostrino la faccia lacrimosa di ET.

In quest’ottica va letto secondo me il messaggio etico contenuto in Noah che ha commosso i fan di tutto il mondo, quelli abituati a twittare ai profili delle star i commenti sui film in cui li hanno visti recitare: il mondo è in pericolo, l’uomo è nemico dell’ambiente, se non facciamo qualcosa la terra gli si rivolterà contro. Non so, non credo, anzi non mi interessa che Aronofsky o i produttori pensino davvero che questo fosse il messaggio sotteso al testo biblico e che l’ira di Dio nei confronti dell’uomo fosse dunque dovuta allo scarso ambientalismo dei contemporanei di Noè, nel tentativo di comunicare allora ai pochi giusti del genere umano un messaggio simile a quello che il Signore sta oggi faticosamente tentando di farci capire riguardo al riscaldamento globale per bocca di Al Gore. A guardare il film con occhi appena appena smaliziati è evidente che il messaggio ambientalista è un riempitivo né più né meno come le scene truculente, le scene d’amore, le scene drammatiche e le scene magiche: è stato calcolato a tavolino cosa piace al pubblico e gli è stato dato in pasto come materia di riflessione e discussione.

Di conseguenza non mi interessa nemmeno la protesta degli ultracristiani per i quali il film puzza di blasfemia perché travisa il messaggio divino. Gli autori del film non sono irriguardosi; piuttosto li accuserei di essere dei fregnacciari. Si sono vantati di avere condotto le riprese su base filologica, evidente ad esempio nella composizione dell’arca che nell’immaginario di tutti noi è una barcona ma invece è effettivamente un parallelepipedo, un container ligneo come l’hanno ricostruita loro secondo le indicazioni che il Signore da a Noé: trecento cubiti di lunghezza, cinquanta cubiti di larghezza e trenta cubiti di altezza (Genesi 6, 9) ossia, dicono gli esperti, 130x22x13 metri. In compenso mostrano Iafet ancora bambino quando secondo il Vecchio Testamento, pur essendo il figlio minore, al momento del diluvio doveva avere più o meno cent’anni. Se anche vogliamo considerare che gli ebrei calcolavano gli anni in modo dieci volte più frettoloso del nostro (ma allora questo ridurrebbe il diluvio a temporale estivo di una mezz’oretta), non si spiega perché Cam e Iafet entrino nell’arca uno in preda ai tormenti ormonali dell’adolescenza e l’altro in piena innocenza infantile, ed entrambi single, quando Genesi 6, 18 dice esplicitamente che nell’arca entrano otto persone: Noè e sua moglie Jennifer Connelly, i tre figli e le loro tre mogli. Nell’arca di Noah rinveniamo invece sette persone: oltre al patriarca e alla patriarchessa ci sono Sem e la sua moglie immaginaria, Cam, Iafet e Tubalcaino. Sorpresa. Questi, primo fabbro, inventore del martello e secondo la tradizione anche della musica (l’iconografia lo mostra mentre, primo percussionista della storia, batte il ritmo sull’incudine), è il personaggio più riuscito del film: si proclama re del circondario e dev’essere anche l’inventore della tartare in quanto mangia animali crudi staccandone la testa in un boccone come l’Ozzy Osbourne dei tempi migliori. Noè lo fronteggia dichiarandosi figlio di Lamec, ed è giusto, dimenticando però che stando a Genesi 4, 22 fu figlio di Lamec pure Tubalcaino, il quale viene affrontato e sconfitto in un combattimento finale degno della scena della salamoia di Chi ha incastrato Roger Rabbit.

Noè passa invece per inventore dell’aborto selettivo: non se ne vanta, in verità, ma promette a Ila che farà vivere il frutto del suo grembo se sarà un maschietto e lo ucciderà se è una femminuccia, la quale potrebbe generare altri figli. Il cardine del film è proprio questo: Noah si sente incaricato da Dio del compito di sterminare gli uomini, la principale colpa dei quali non è che “ogni pensiero del loro cuore era di continuo al male” (Genesi 6, 5) ma di mangiare carne anziché nutrirsi di bacche. Ciò che nella Bibbia è trascendente viene tradotto in immanenza perché così deve essere, perché nella cultura di massa la religione è impronunciabile se non viene ridotta a spiritualità vagamente fru-fru così come il patto che lega l’uomo a Dio può essere comprensibile solo in termini di attivismo superficiale. Altrimenti il film non vende e le sale restano vuote. Ho come il sospetto che gli evidenti anacronismi – la gente si veste come nell’alto medioevo, a parte Noah che di tanto in tanto indossa una polo, mentre una foglia di alloro cangiante serve a Ila come test di gravidanza – potessero volutamente essere finalizzati a camuffare il travisamento del senso del testo sacro. Nella Bibbia Noè appare ancora oltre i quattro capitoli che raccontano la sua storia, in riferimenti del Nuovo Testamento che le danno profondità teologica e dottrinale, naturalmente del tutto assenti nel film. Inoltre Noah rispetta le dimensioni dell’arca ma tradisce il comandamento di Dio: secondo Noah “il Creatore” gli rivela espressamente che l’acqua separa il puro dall’impuro, salvando il primo e affogando il secondo, quando invece il Signore comanda a Noè di portare nell’arca sia gli animali puri sia quelli impuri (Genesi 7, 2), a significare che sulla terra la giustizia non è da una sola parte e che la purificazione, quando verrà, sarà oltremondana. Senza questa prospettiva la storia di Noè è decapitata come una pietanza di Tubalcaino e resta semplicemente la storia di Noah, ambientalista vegetariano pluriomicida che crede di essere sempre dalla parte del giusto e ignora come invece il patriarca era stato scelto da Dio perché era giusto per la sua generazione (Genesi 6, 9) ossia era giusto in relativo, non in assoluto. Noè era il meno peggio e per questo Dio volle salvarlo insieme a quanto di puro e impuro si trovava sulla terra.

venerdì 18 aprile 2014

Mi sono ricordato che era il 2006, avevo appena letto Dell'amore e di altri demoni e avevo iniziato un pezzo su Gabriel García Márquez chiedendomi: "Quando ci sarà un Papa sudamericano?". Adesso ce l'abbiamo, García Márquez è morto e io ripropongo quel vecchio articolo su di lui, il Cristianesimo, un grappolo d'uva e il demone della storia.

Qui invece racconto il momento di più vicino contatto fra me e lui, a Parigi tre anni fa.

giovedì 17 aprile 2014

Avete visto al cinema Noah, il film sul cugino americano di Noè magistralmente interpretato da Russell Crowe? Tempi mi ha mandato a guardare la storia di questo ambientalista vegetariano pluriomicida che crede di avere sempre ragione anche se non ha ben presente cosa c'è scritto sulla Bibbia; ne è venuta fuori un'esegesi illuminista del polpettone americano che, versetto per versetto, parte dal diluvio universale e arriva a Ozzy Osbourne. La trovate sparsa su cinque pagine intere di Tempi in edicola questa settimana: in copertina c'è Hollande che fa cucù.

lunedì 14 aprile 2014

Sul sito di Tempi trovate le istruzioni su tutto quello che c'è da fare in politica in materia di voto animale, animalista e animalesco:

Nel quadro del tentativo generalizzato di trasformare l’arco costituzionale in arca di Noè, offro anch’io un contributo all’adeguata valorizzazione del ruolo politico dei nostri amici animali. Incombono le elezioni europee, che chiameranno alle urne circa venti milioni di italiani proprietari di bestiole che li riempiono di affetto, li consolano, li leccano, li graffiano, li mordono, li fanno uscire alle quattro del mattino per la pipì, li impoveriscono col racket dei croccantini, li costringono a trascorrere buona parte del tempo libero a lanciare palline sbavate e li commuovono rosicchiando ogni giorno capi pregiati di abbigliamento e imprescindibili documenti di lavoro. È giunta l’ora di ricambiare e il Dudù Act potrebbe non essere sufficiente.

Altro che Lista Tsipras, votate Forza Gatto se siete state femministe, se siete state comuniste, se siete state giovani e belle e avete sprecato la vostra età migliore a questionare coi maschi anziché a farvene amare: adesso l’unica creatura di genere opposto che vi sopporti è una massa di pelo caudata che vi sale sul letto mentre dormite e che per evitare equivoci avete fatto castrare. Lo trattate come il marito che non avete voluto avere e come il figlio che avete sempre sognato di abortire ma non illudetevi: è lì perché affezionato alla casa, non a voi.

Se invece vi sembra che la Lega Nord si sia imborghesita e non stia facendo abbastanza per risolvere la questione degli immigrati, è ora che vi federiate nella lista Forza Maiale. Emuli di Marine Le Pen, potrete conquistare le amministrazioni comunali e imporre che il sacro porco venga servito nelle mense scolastiche, costringendo così i piccoli musulmani a una scelta drastica: o morire di fame o convertirsi. Potrete infilare il guinzaglio a un verro e portarlo a spasso sulle aree lottizzate per la costruzione di avveniristiche moschee; potete infilare la maschera suina nelle feste organizzate dagli enti locali e poi farvele rimborsare; potete anche, se avete sense of humour, chiedere in usufrutto la sede di via della Scrofa a ciò che resta di Alleanza Nazionale: tanto, vista l’aria che tira, non le serve più. (Forza Maiale è disponibile anche nella versione per giovani conservatori: Forza Porcellum).

Ma se non siete un partito e non siete una casta, se siete cittadini punto e basta, è pronto per voi Forza Microbo, il movimento nato per dare rappresentanza politica agli organismi non visibili a occhio nudo favorendo la loro partecipazione diretta alla vita istituzionale. Scopo del voto a Forza Microbo sarà fare sì che i palazzi del potere vengano intaccati da un elevato numero di microrganismi i quali ne fiacchino la costituzione rendendoli incapaci di combinare alcunché per anni e anni. Onde assicurare la trasparenza delle scelte politiche operate dai microbi è già stato predisposto un accurato sistema di microscopi direttamente controllabile online da chiunque non abbia una laurea in medicina o biologia e non sia in grado di leggere un vetrino. I microbi si raduneranno periodicamente in manifestazioni nazionali detti Epi-day-mie e, poiché un microbo vale un microbo, ciascuno di loro occuperà il proprio scranno esclusivamente in qualità di portavoce con vincolo di mandato, lasciando poi il posto a un altro microbo al termine della legislatura e tornando a svolgere la propria normale attività non visibile a occhio nudo.

Per un populismo più leggero, d’intrattenimento, sarà invece il caso di scegliere Forza Foca, ideato da Fabrizio Bracconeri per rifondare una destra al passo coi tempi, radicale e audace esattamente come i B-movie degli anni ’80; per ultimare la sostituzione della medicina con la stregoneria, è tempo di votare Forza Beagle. Se invece siete stanchi di queste boutade provocatorie, avanzo una proposta concreta: anziché limitarci a ricambiare l’affetto che gli animali ci donano ogni giorno, perché non tagliare la testa al toro, no, scusate, perché non afferrare il toro per le corna, no, scusate, perché non lasciar perdere il toro e affrontare la questione di petto dotando anche gli animali del diritto di voto?

In fin dei conti il Trattato di Lisbona formalizza che gli animali sono esseri senzienti esattamente come i greci che votano Alba Dorata; l’impronta di una zampa è, in definitiva, un segno più complesso di quello – già difficoltoso per molti esseri umani – di tracciare una croce. Inoltre, una volta conquistato anche l’elettorato passivo, gli animali potranno ricambiare l’affetto di cui li colmano i loro amici uomini emanando una legislazione che supporti finalmente i cinquantenni disoccupati, i mariti divorziati, i bambini indifesi, le famiglie numerose, i maschi che vogliono continuare a sposare le femmine, i poveri, gli umili, i sofferenti. Pensiamoci. Io intanto, per il niente che vale, annuncio sin d’ora il mio pieno e incondizionato sostegno a Forza Cavallo: crudo, macinato, pestato, con un filo d’olio e magari pepe rosa.

venerdì 11 aprile 2014

L'agibilità politica dei cani, Forza Dudù e tutti gli altri partiti che sorgeranno per intercettare il voto animalista di ogni colore: su Tempi in edicola questa settimana (numero 15, in copertina c'è uno stetoscopio) trovate un mio articolo scritto col bazooka su come i nostri amici animali cambieranno la politica dopo avere cambiato il nostro modo di pensare. Con un'appendice su alcune possibili leggi a tutela del nostro amico uomo e una ricetta in omaggio.

giovedì 10 aprile 2014

Fra secoli e secoli e secoli nulla magari resterà della nostra odierna società italiana se non una copia lacera di Creduli e credenti di Marco Ventura (Einaudi) che un qualche archeologo leggerà per scrupolo di erudizione. Ciò gli sarà sufficiente per farsi un’idea chiara del nostro tempo e più in particolare, come da sottotitolo del volume, del “declino di Stato e Chiesa come questione di fede” nei trent’anni che ci separano dall’accordo di Villa Madama fra Bettino Craxi e il cardinal Casaroli. Noi oggi non possiamo sapere quale religione professerà il futuro archeologo ma sappiamo già che non importa poiché, spiega Ventura, “ogni fede è diversa dall’altra e tutte le fedi si somigliano un po’”; ciò che conta è che “solo in parte esse colgono la realtà di una persona e di una comunità” per indagare le quali è sempre bene rifarsi al contesto generale. Eccovelo in tutta la lucidità con cui viene comunicato al futuro archeologo riguardo alle oscure interconnessioni che oggi malauguratamente ci sfuggono, accecati come siamo da contingenza e parzialità.

L’archeologo apprenderà anzitutto che l’accordo sottoscritto da Craxi e Casaroli il 18 febbraio 1984 sembrava il rinnovamento e l’aggiornamento dei Patti Lateranensi ma era in realtà l’annuncio di ciò che sarebbe accaduto nell’ottobre dello stesso anno, quando i pretori disposero l’oscuramento dei ripetitori delle tv di Berlusconi. L’intervento di Craxi fu duplice: se da un lato gli italiani dovevano essere liberi di scegliere a chi destinare l’otto per mille, dall’altro doveva essere garantita loro “libertà di telecomando” (c’è scritto davvero, a pagina 6). A partire da quel momento avvennero svolte epocali. Anzitutto “nei trent’anni che sono passati da allora la Chiesa ha scelto il credere contro il non credere”; non credere che, con ogni evidenza, era stato scelto nei diciannove secoli precedenti. 

Inoltre a partire da quel momento “l’Italia e la Chiesa di Roma sono venute giù insieme” come dimostra il fatto che, a pochi mesi dall’accordo di Villa Madama, “è nata la primogenita dell’unione fra Veronica Lario e Silvio Berlusconi al cui battesimo cattolico presenzia lo stesso Bettino Craxi” (c’è scritto davvero, a pagina 41). Si trattava di quello stesso Berlusconi che poi, non contento di aver fatto battezzare i figli, un quarto di secolo dopo fece scattare “l’offensiva” contro l’Unione Europea, rea di avere emesso una sentenza contro la presenza nei luoghi pubblici del crocifisso che, venne rivelato fra la sorpresa generale, “poteva essere interpretato come segno religioso”. Per questo Berlusconi siglò un patto scellerato con la Chiesa regalando a Benedetto XVI una croce pettorale, altamente simbolica; nella circostanza inoltre Berlusconi si dimostrò talmente diabolico da regalare il crocifisso anti-europeo a Ratzinger già nel 2008, un anno prima della sentenza della Corte Europea. Il fatto innegabile che quella regalata da Berlusconi a Ratzinger fosse diversa dalla croce pettorale indossata dal cardinal Martini segnava “l’alternativa drammatica tra il credulo e il credente” (c’è scritto davvero, a pagina 185); peggio, si configurava come “oltraggio al crocifisso” che veniva “regalato come si fa con un trofeo di vittoria e un pegno di alleanza” (c’è scritto davvero, alle pagine 223-224). La prossima volta, meglio un mazzo di fiori.

Il nostro errore di contemporanei è di considerare le cose per quelle che sembrano, trascurandone la portata metaforica che emergerà chiaramente in un futuro indefinito. Ad esempio, noi siamo convinti che parlando di “ingravescente aetate” Benedetto XVI si riferisse al proprio vigore personale quando invece si riferiva chiaramente “al vigore della Chiesa, al declino di questa al cospetto del mondo di oggi”. Se non capiamo tutto subito è perché in Italia è in atto una guerra religiosa fra la voce credula – la quale “autorizza il commercio della fede. Invita alla manipolazione. Ci rende indulgenti verso la nostra incoerenza. Ci fa sentire potenti, perché al contempo puri e cinici” – e la voce del credente che “non ha paura di dubitare. Sa che la storia è più grande di lui, ma sa anche che nella storia c’è un posto per lui. Una responsabilità per lui”; e che soprattutto “non ama i buchi di memoria in cui cadono le cose scomode”.

Una delle cose storiche che Ventura tira fuori dai buchi di memoria è l’identificazione mistica fra Berlusconi e Ratzinger, “profeti osannati e incompresi, destinati a incarnare l’anima dei loro popoli anche quando le cronache li avevano dimenticati”. Il parallelismo è evidente: erano entrambi credenti, entrambi cattolici, e “implacabili nel caricaturare il nemico” che fosse marxista o protestante o comunista o giudice (c’è scritto davvero, a pagina 57). E quale miglior prova di ciò del fatto che Benedetto XVI celebrò la memoria del Concordato del 1929 stando “attento a non lasciarsi sfuggire la parola ‘fascismo’”? E che appunto, evitando di nominare il fascismo, gli si mostrò grato? C’è scritto davvero, a pagina 51, anche se leggendo il nudo testo del discorso non si capisce bene come fece: forse nella circostanza il Papa si profuse in occhiolini e smorfie degni del Pietro Ammicca di Gigi Proietti.

A partire dall’accordo del 1984 la “complicità fra Italia e Città del Vaticano” ebbe lo scopo di “impedire l’accertamento di fatti e responsabilità” e formare “il conflitto tra giudici e politica che divenne strutturale nell’Italia dei decenni successivi”. Fu nell’alveo di questa complicità che infatti “venne incubata la fede berlusconiana nei giudici comunisti e nell’attacco di questi alla libertà del popolo”, che trovò espressione nella “religione civile di Marcello Pera e Joseph Ratzinger che asserviva Dio agli interessi politici e economici dei retori della nazione cristiana”. Per questo, si presume, quello di Giovanni Paolo II fu un pontificato mentre quello di Benedetto XVI fu un regno (c’è scritto davvero, a pagina 138). Questa religione civile venne poi capillarmente insegnata nella scuola pubblica di Letizia Moratti secondo questi termini: Gesù “non era il Cristo. Non era il Figlio di Dio, della stessa sostanza del Padre, nella Trinità. Non era il risorto. Per combattere la secolarizzazione e il relativismo, Gesù veniva secolarizzato e relativizzato. Era una figurina disarticolata e devitalizzata a uso della tattica credula”.

La tattica credula consiste in un approccio alla storia “che subordina tutto all’urgenza contingente e al posizionamento rispetto a essa di chi parla, che non inquieta l’osservatore con una verità a lui esterna, ma gli somministra il tranquillante di un’ortodossia, e che di conseguenza appiattisce l’altimetria degli individui, rimuove la sostanza dei conflitti e edulcora l’amaro lutto di generazioni”. Marco Ventura se ne guarda bene, come dimostra la ricostruzione dello scandalo dei referendum. Sentite qui. Nel febbraio 1991 Craxi invitò gli italiani ad andare al mare anziché votare al referendum sulla legge elettorale. Perse e poche settimane dopo Giovanni Paolo II nominò Camillo Ruini a capo della Conferenza Episcopale Italiana; e solo quattordici anni più tardi quello stesso Ruini invitò gli italiani a non votare al referendum sulla fecondazione assistita del 2005. Il cerchio si chiudeva: Ruini “era divenuto presidente dei vescovi italiani quando gli italiani preferivano le urne al mare, il maggioritario al proporzionale, quando implodeva il cattolicesimo politico democristiano. Ora conduceva gli italiani a votare non votando” (c’è scritto davvero, a pagina 88). Pesava inoltre l’aggravante che “la fede di Camillo Ruini è non solo speranza ma certezza, realtà”; insomma questo cardinale credeva davvero a tutta la storia della creazione, del peccato originale, dell’incarnazione e magari anche della risurrezione. Era un credulo. Se fosse invece stato un buon credente avrebbe piuttosto riso e applaudito al monologo che Roberto Benigni, ospite di Fabio Fazio e Roberto Saviano nel novembre 2010, tenne in tv sull’allora freschissimo caso che coinvolgeva Ruby Rubacuori (c’è scritto davvero e piuttosto diffusamente, da pagina 115 a pagina 125) e “il battezzato Silvio Berlusconi”, un uomo che non solo aveva fatto battezzare i figli ma s’era perfino fatto battezzare nella più tenera infanzia, e che chiamato così sembra un po’ il “cittadino Luigi Capeto” convocato alla ghigliottina.

Questo è niente. Pensate che nel 2010 il cardinal Bagnasco sostenne in un pubblico discorso che “i credenti in Cristo continueranno a sentirci tra i soci fondatori di questo Paese oggi come nel 1980, nella fase più acuta del terrorismo”. Prima che arrivasse Ventura nessuno aveva notato che “proprio nel 1980, i cattolici celebrati da Angelo Bagnasco nel 2010 trovarono al cinema, nella prova di fede dell’eroe di ‘Guerre stellari’, Luke Skywalker, un’icona”. C’è scritto davvero, a pagina 68. Mentre tutti erano distratti dalle mosse diversive del primo pontefice polacco, il senso del cattolicesimo era tutto racchiuso nel dialogo fra Skywalker e il maestro Yoda mentre tentano di estrarre la navicella spaziale da un lago fangoso: “Luke è sbalordito: -Non posso crederci!- -Ecco perché hai fallito, ribatte il maestro jedi”.

Ed è forse solo un caso che, solo due mesi prima dell’aprile 1989 in cui fu formalizzato l’accordo sull’insegnamento della religione nelle scuole pubbliche, Raffaele Riefoli in arte Raf cantasse sul palco di Sanremo “Cosa resterà degli anni ’80”? C’è scritto davvero, a pagina 73. E non è evidente che “Thatcher, Reagan e Ratzinger si incontravano in una difesa della fede che usava la società al contempo invitava l’individuo alla riscossa, venerando spiriti divini e economici più forti di ogni massa”? E non balza all’occhio che Berlusconi vinse le elezioni proprio dieci anni dopo il “Rapporto sulla fede” di Ratzinger e Vittorio Messori? C’è scritto davvero, a pagina 79. E non è significativo che la tv pubblica mandò in onda “L’Isola dei Famosi” fra il 2003 e il 2013, ovvero proprio quando “nell’Italia del baratro politico dei valori, del primato di una ‘rilevanza’ che ci isolava dal mondo, la compravendita di sesso e potere inquinò tanto la società italiana quanto la società ecclesiale”? C’è scritto davvero anche questo, a pagina 224.


Per fortuna c’è scritto anche che un uomo giunse a salvarci. Il futuro archeologo potrà consolarsi riguardo al nostro destino apprendendo che, significativamente pochi mesi dopo l’accordo di Villa Madama, Roberto Baggio s’infortunò gravemente al ginocchio. Non se ne fece scoraggiare e a capodanno del 1988 si convertì al buddhismo. Quando l’Italia toccò il punto più basso del baratro politico dei valori – proprio un anno e mezzo dopo la caduta dell’ultimo governo Berlusconi e solo tre giorni dopo l’abdicazione di Benedetto XVI – Fabio Fazio (lo stesso del monologo di Benigni) lo invitò sul palco del Festival di Sanremo (lo stesso della canzone di Raf) e Baggio tenne un discorso che Ventura ci svela essere stato rivolto alla “generazione incredula”, ossia agli italiani nati dopo il fatale 1984 che ci ha portati al punto in cui siamo. Lì Baggio ricordò “gli incidenti alle ginocchia, il sacrificio necessario per convivere col dolore” e invitò “i giovani alla fede dei credenti”. C’è scritto davvero, a pagina 230, ma magari a questo punto non vi sentite più in dovere di andare a controllare.

mercoledì 9 aprile 2014

Basta fare un salto a Roma per capire l'Italia e anzi per capire un'istituzione anteriore e più importante, la Chiesa, che c'era quando l'Italia non c'era e resterà quando l'Italia non ci sarà più. Ho letto Creduli e credenti di Marco Ventura (Einaudi), ho letto anche saggi più seri sulla distinzione fra il potere temporale e quello spirituale, ho letto fior di editoriali di Eugenio Scalfari e ho addirittura scritto una tesi di dottorato sull'ingerenza politica della Chiesa Cattolica come residuato della teocrazia ebraica nell'Europa del Settecento ma, con tutta evidenza, non avevo capito niente fino a che non ho assistito alla scena seguente. Sotto l'arco di Piazza delle Cinque Lune c'era una mendicante stanziale alla quale a mezzogiorno esatto si è avvicinato un pretino, secondo me tedesco perché solo un tedesco può a mezzogiorno in punto fare ciò che ha fatto lui, ossia consegnarle un sacchetto con dentro un pasto caldo appena cucinato e avvolto nella stagnola nell'istituto ecclesiastico che c'era lì dietro; ha detto alla mendicante che si trattava di una porzione per due raccomandandole di chiamare un suo amico e se n'è andato lasciandola mangiare in pace senza aggiungere né chiedere niente. Libero Stato quanto volete, ma l'avete mai visto fare a un impiegato dell'agenzia delle entrate?

martedì 8 aprile 2014

Basta fare un salto a Roma per capire l'Italia, basta fare quattro passi su via del Corso per capire che la principale difficoltà che Matteo Renzi incontrerà nell'abolizione de facto del Senato non sarà mai un vibrante appello firmato da fior di professoroni quanto piuttosto la dura cervice degli italiani. Ero proprio di fronte alla Galleria Colonna (che oggi si chiama Galleria Alberto Sordi ma che continuo a chiamare Galleria Colonna incontrando così il favore dei romani, che però per un qualche motivo di cui non sono pienamente consapevole restano stupiti del fatto che pur passando a Roma di rado e di straforo io persista nel chiamare Piazza della Repubblica col desueto nome di Piazza Esedra) e notavo la nuova tendenza dei postulanti: quegli stessi che un tempo si piazzavano davanti a Palazzo Madama e soprattutto a Montecitorio con l'aspirazione di veder passare qualche volto di politico reso noto dalla tivù, ecco, ora quegli stessi lasciavano deserti i palazzi del potere legislativo e si accalcavano sotto quello del potere esecutivo, Palazzo Chigi; stavo appunto meditando sulle implicazioni politiche di quest'evoluzione dovuta al renzismo subliminale quand'ecco che un ragazzo con forte accento romano è passato davanti a me insieme a un paio di amici che evidentemente erano turisti e per delucidarli, indicando Palazzo Chigi, ha detto "Quello è il Senato", rendendo molto più difficile abolirlo.


lunedì 7 aprile 2014

Basta fare un salto a Roma per capire l'Italia; anzi, guardate, basta salire su Italo, il treno indipendente i cui clienti fanno battute del tipo: "Come va?" "A duecentocinquanta all'ora". Gli otto sedili davanti al mio erano occupati da due famigliole credo della provincia bergamasca, a giudicare dall'accento, che si erano ritagliate un paio di giorni liberi per andare a scoprire la civiltà. Ciascuna famiglia aveva due figlie, per un totale di quattro bestioline che per le intere tre ore di viaggio hanno corso, urlato, saltato, fatto casino in maniere talmente variegate da rendere impossibile perfino capire l'editoriale di Piero Ottone sul Venerdì di Repubblica. Dietro di me invece, di sguincio così che potessi di tanto in tanto voltarmi a guardarle, c'erano due giovani coppie che stavano lì in silenzio, si tenevano per mano, leggevano addirittura. Ebbene i quattro componenti delle giovani coppie hanno finito per trascorrere buona parte delle tre ore dapprima a guardare con orrore le bambine, poi con sgomento i loro genitori e infine con sospetto il proprio stesso partner: lì ho capito il nostro sottile paradosso demografico, lì ho intuito che gli italiani non fanno più figli per colpa degli italiani che li fanno ancora.

giovedì 3 aprile 2014

Verranno depositati i simboli, verranno presentate le liste, verranno indetti i comizi e poi verranno censurati i sondaggi: è di conseguenza piuttosto prematuro trarre auspici da quello che riportano adesso i giornali sulle percentuali delle intenzioni di voto in vista delle elezioni europee di fine maggio. Per questo non mi sto particolarmente interessando all'ondulazione delle cifre ma soprattutto per un altro motivo. Ogni volta che leggo un sondaggio elettorale infatti, anziché addentrarmi nell'analisi politologica dei flussi presunti, compio un rito che vi consiglio di riprodurre e che funziona così:
- accendere il televisore;
- sintonizzarsi su un canale di video musicali, la cosiddetta radiotelevisione;
- costringersi a guardare un'ora intera di trasmissione;
- leggere i messaggi inviati dal pubblico che appaiono nella striscia sottopancia;
- chiedersi cosa possa spingere un essere umano a mandare messaggi dal proprio telefonino al proprio televisore;
- chiedersi inoltre cosa possa spingerlo a utilizzare questa complicata tecnologia per mandare i propri saluti al marito, o  al coinquilino, o alla mamma;
- chiedersi in particolare cosa possa spingerlo a mandare messaggi di complimenti, sovente declinati al femminile singolare per trasmissioni condotte da un uomo e due donne;
- rattristarsi per il profluvio di punti esclamativi, di punti interrogativi frammezzo a quelli esclamativi,  di k al posto delle c dure, di x al posto dei per o (nei casi estremi) delle doppie s, di accenti al posto degli apostrofi, di apostrofi al posto dei punti interrogativi (vedi sopra), di abbreviazioni oscure, di inconsapevoli barocchismi, di figure retoriche innovative, di lectiones faciliores e di a senza mutina;
- contare quanti di questi messaggi sono sgrammaticati;
- o insensati;
- o infantili;
- considerare che ciascuno di essi è un voto;
- rileggere il sondaggio con occhi nuovi.

mercoledì 2 aprile 2014

"L'atroce dubbio" era il titolo dato al trafiletto che riportava le dichiarazioni del calciatore Vampeta, bidone brasiliano acquistato dall'Inter dei tempi d'oro, il quale a propria discolpa sosteneva che, se duecento milioni di brasiliani erano convinti che lui fosse un campione, mica potevano essere tutti cretini. Idem pensavo io dei grillini serbando il dubbio che, se sul simbolo pentastellato metteva una croce il 25% dei votanti, pari al 20% degli aventi diritto al voto, insomma, mica dieci milioni di italiani potevano essere tutti cretini. E lo stesso identico dubbio era insorto, molto tempo fa, riguardo a un dimenticato conoscente che presentava tutti i sintomi della cretinaggine infiocchettati però in modo tale che potessero essere scambiati di volta in volta per leggerezza, disinvoltura, intrallazzismo, Zeitgeist o furbizia addirittura. Poi l'altro giorno ho visto il video col quale questo conoscente si candida alle selezioni virtuali del Movimento 5 Stelle per l'elezione del parlamento europeo; l'ho sentito dire ciao, non voglio riunioni a porte chiuse fatte da pochi potenti e per questo ho partecipato al Vaffaday; l'ho sentito dire che si candida per lasciare poi il suo scranno a un altro cittadino; ho sentito il jingle "non siamo partito, non siamo una casta, siamo cittadini punto e basta" e così, all'improvviso, i miei due atroci dubbi sono diventati una certezza sola.

martedì 1 aprile 2014

Oggi essendo il primo aprile, sul sito di Tempi trovate scritto questo:

In Inghilterra è tradizione che oggi i giornali escano con all'interno una notizia assurda che solo dopo mezzogiorno (sul sito) o il giorno seguente (su carta) viene rivelata per quello che è, ovvero un pesce d'aprile. Del passato vanno ricordate apprezzabili uscite come ad esempio l'annuncio che, dimessosi da premier, Tony Blair sarebbe tornato a recitare a teatro come faceva al liceo, oppure la notizia che il Portogallo avrebbe ripianato il debito pubblico vendendo Cristiano Ronaldo alla Spagna. Il capolavoro fu l'improvviso ed elaborato endorsement che il Guardian - giornale storicamente sinistrorso, repubblicano e quindi rivoluzionario - espresse in favore della famiglia reale il primo aprile dell'anno del Royal Wedding.

Quest'anno, niente di che. Il Guardian stesso ha annunciato che gli scozzesi, una volta ottenuta l'indipendenza col referendum di settembre, inizieranno a guidare a destra nella speranza di mostrarsi simili ai continentali ed essere ammessi nell'Unione Europea. Il Daily Telegraph ha mostrato il prototipo della nuova sterlina scozzese, con il faccione del primo ministro Alex Salmond sul verso, al posto della Regina Elisabetta. L'Independent, che è il giornale degli intellettuali britannici progressisti, è ormai da anni del tutto indistinguibile nelle sue parti serie e in quelle scherzose. La rete televisiva privata Itv ha mostrato miracolose uova quadrate partorite da tali galline del Suffolk. Primeggia il Times con la notizia del duca tedesco che, in caso di ottenimento dell'indipendenza, ha diritto di corona sulla Scozia e ne diventerà il nuovo Re. Il Daily Mail ha mostrato la nuova bandiera britannica, senza il blu scozzese sullo sfondo, ma il problema è che lo scherzo potrebbe diventare realtà entro fine 2014.

La notizia del giorno è però che stavolta la stampa italiana non s'è tirata indietro e ha accettato la sfida. Va sul banale Repubblica, mostrando il solito leghista che agita la solita bandiera dell'Unione Sovietica per protestare durante il solito consiglio comunale che revoca la cittadinanza onoraria di Torino al solito Mussolini. Fanno di meglio la Stampa e il Corriere delle Sera. La prima opta per una falsa lettera di Elsa Fornero provocatoriamente intitolata "La mia riforma che aiuta i giovani". Il Corrierone invece si spinge nella perfetta riproduzione dello stile grillino pubblicando la lettera in difesa del Senato scritta da un fantomatico deputato a cinque stelle, sedicente vicepresidente della Camera dei Deputati - sì, e io sono il duca tedesco che regnerà sulla Scozia. La Gazzetta dello Sport riferisce infine che l'Inter ha pareggiato a Livorno.