lunedì 28 novembre 2011

Proprio nei giorni in cui la massima attenzione delle testate nazionali è rivolta alle date italiane del tour di Paul  McCartney, l'editore Robin pubblica un libro che vanta di essere "il più completo dossier sulla 'morte' di Paul McCartney". Questa presunta morte costituisce da quarant'anni una delle più inquietanti leggende di doppelganger e viene alimentata con indizi a decine che sarebbero sparsi nella produzione dei Beatles e altrove; personalmente è una delle cose che trovo più impressionanti al mondo e ne scrivo con qualche brivido. Secondo la macabra vulgata, McCartney sarebbe morto in un incidente stradale nel novembre 1966 e sarebbe stato sostituito da un sosia, leggermente più alto di lui, che ne avrebbe preso il posto in tutto e per tutto nella futura produzione del quartetto. Abitualmente però non si tiene conto di un dettaglio decisivo. Se i Paul McCartney sono due, vuol dire che c'è un McCartney I che ha inciso Please please me, A hard day's night ed Every little thing, e un McCartney II che ha inciso She's leaving home, The fool on the hill e Maxwell's silver hammer; di conseguenza direi che, chiunque egli sia, io sono un fan del secondo.
(Detto questo, riguardo alla leggenda io mi attengo alla risposta dello stesso McCartney alla giornalista che gli chiedeva: "Cos'ha da dire ai sostenitori della teoria secondo la quale lei sarebbe morto?" "Che sono vivo").

domenica 27 novembre 2011

Il campionato spezzatino mi disorienta e di conseguenza per la prima volta pubblico su Quasi Rete l'anticipo dopo che la partita in questione s'è effettivamente giocata. Ma che anticipo: si tratta di Atalanta-Napoli 0-0 sul campo e 0-2 a tavolino, quella dell'immortale monetina di Alemao.

Alessandro Dumas, indipendentemente dall'essere père o fils, non avrebbe saputo immaginare di meglio. Nemmeno Georges Simenon e Lev Tolstoj, messi a lavorare capo contro capo allo stesso tavolino, sarebbero riusciti a concentrare in uno stesso giorno, ma che dico, in uno stesso pomeriggio, anzi nello stesso giro di posta della stessa oretta, il contrappasso che rese il Milan e il Napoli due figure mitologiche opposte (la ragione e l'irrazionale, l'apollineo e il dionisiaco) legate indissolubilmente l'una all'altra e intente per sovrammercato a berciarsi insulti senza riconoscersi come doppelgänger.

giovedì 24 novembre 2011

L'affaire Fassina ha fatto passare inosservata un'altra piccola discrepanza apertasi ieri nel Pd. Sostiene Sandro Gozi, a pagina 17 del Corriere della Sera di oggi: "Non siamo più opposizione, ora siamo maggioranza". Sostiene Pierluigi Bersani, a pagnia 16 del Corriere della Sera di oggi: "Non c'è nessuna maggioranza". (Scusate, lo so che è come sparare sulla croce rossa ma che devo fare? Da una decina di giorni la politica in Italia è improvvisamente noiosissima).

mercoledì 23 novembre 2011

Perché un raffinato editore d'arte con casa e bottega nel centro storico di Pavia, più versato magari in edizioni pregiate dell'opera di Opicino de Canistris (documentatevi), dovrebbe mettersi a pubblicare guide ai campionati inglese, spagnolo e tedesco?


La risposta a quest'inquietante interrogativo, unitamente a una disamina dei vantaggi del libro (che è fatto di carta) sul web (che è fatto di niente) si trova nella mia recensione alle guide alla Premier League, alla Liga e alla Bundesliga opera dell'enciclopedico Renato La Monica, su Quasi Rete.

lunedì 21 novembre 2011

L'imponente vittoria di Mariano Rajoy alle elezioni politiche spagnole può tornare istruttiva a noialtri per almeno quattro ragioni:

1) insegna non solo che un partito di destra può vincere le elezioni senza alleati, ma che per candidarsi credibilmente a guidare un paese deve presentarsi alle elezioni da solo, proponendosi agli elettori moderati come unica opzione possibile de facto, e chi non lo capisce peggio per lui;

2) insegna che la Chiesa non dev'essere una stampella per imbarcare i voti di qualche centinaio di suore di clausura ma è l'unico collante i cui valori possano tenere insieme identità politicamente difformi, e chi non vuole adeguarsi si arrangi;

3) insegna non c'è miglior propaganda elettorale per un candidato di destra di un bel governo che attui una politica di sinistra;

4) insegna che dopo anni e annorum in cui gli intellettuali progressisti ce l'hanno menata con la minaccia di trasferirsi a Parigi a New York o a Malindi in caso di vittoria di Berlusconi, finalmente abbiamo anche noi un posto dove emigrare nel peggiore dei casi.

domenica 20 novembre 2011


Novembre, andiamo. È tempo di occupare. O, meglio, di okkupare con la k, secondo la grafia che sui dazebao viene riprodotta pari pari dai tempi di Cossiga e che dal segnare un elemento di aggressiva rottura col passato è diventata il precipitato stantio della più rassicurante adesione a una tradizione reiterata e immutabile contro ogni progresso. Novembre: non si capisce perché, ma ogni anno la sommossa studentesca casca nello stesso mese, alle prime brume, quando il freddo si fa pungente e l’asserragliarsi fuori orario in un’aula si ammanta dello stesso torpore del rintanarsi in un grembo materno, al riparo dagli elementi e da ogni contrarietà. Mai come quest’anno però il tempismo è infelice. Dodici mesi fa Berlusconi era il nemico di abbattere che giustificava ogni nefandezza, ma quest’anno la festa a base di monetine e champagne è appena stata consumata. Allora imperversava l’iconografia di una Gelmini arcigna nella sua beata ignoranza, mentre oggi non si può riempire in fretta e furia i cartelloni di caricature di Francesco Profumo, sempre ammesso che si riesca a distinguerlo da Ornaghi, Balduzzi o Terzi di Sant’Agata. Nel 2010 il governo stava per cadere (si avvicinava il fatidico 14 dicembre) e a colpi di cortei si poteva rintuzzare una volta per tutte la riforma universitaria di là dal fossato della crisi istituzionale; oggi il governo s’è appena insediato e, con tutte le possibili cattive intenzioni, non ha ancora avuto il tempo materiale di attuarne mezza. Nulla rende lampante il pessimo tempismo di quest’anno più dell’inattualità di terminologia e simbologia. Nel 2008 la marea montante di studenti in piazza aveva imposto l’immagine impressionistica dell’Onda anomala; l’anno scorso la protesta contro i tagli era emigrata sui tetti costringendo Bersani all’atto più memorabile della sua segreteria, l’ascesa su scala a pioli con sigaro fra i denti. Quest’anno, col vizio di aspettare i comodi dell’anno accademico, gli studenti si sono ridotti a utilizzare materiali di risulta imbastendo una protesta a babbo morto. A Pavia, che eleggo a campione per mere ragioni logistiche, lo slogan della protesta è #OccupyPavia, variante in salsa locale delle proteste dello Zuccotti Park e della St Paul’s Cathedral: sebbene arricchita dall’ashtag iniziale che fa tanto protesta globale e primavera techno-cool, rimastica uno slogan estraneo e già trito, peraltro nel momento in cui altrove gli occupanti iniziano a sgomberare. Una protesta che fa il verso a una protesta altrui si riduce a ballo in maschera e festa a tema: infatti prima del corteo “contro debito e austerità” (che è come dire contro botti piene e mogli ubriache) ci si scalda tutti con un bell’Occupy Party: dj, nientemeno, Beppe Rebel. E d’altronde a Pavia cosa vuoi occupare? La stazione dei treni? Ma dopo le venti la zona si desertifica e nessuno si accorgerebbe di un bivacco. Il cortile principale dell’Università? C’è già installato un dinosauro in scala 1:1 per propagandare una mostra a tema preistorico, non è che due tende farebbero più impressione. La centralissima Piazza Vittoria? Il suolo è tutto acciottolato e dormirci dev’essere scomodissimo. Così, mentre le lezioni vanno avanti regolarmente, i tetti restano sgombri e le strade sono presidiate soltanto da un nebbione d’antan, alla fine l’occupazione ha dovuto rifugiarsi nell’Aula Magna sotterranea, un bunker al neon intermittente simbolo perfetto di una protesta che c’è ma non si vede.

sabato 19 novembre 2011

Fra il primo e il secondo goal di Massaro, rispettivamente al 25' e al 45' del primo tempo, si erano intrufolati il goal di Lentini e uno di Gullit, così che il Milan - imbattuto dalla penultima giornata di due campionati prima - all'inopinato svantaggio aveva reagito con una gragnuola di legnate. La Fiorentina aveva fatto la figura del travet che va a litigare per il parcheggio con uno che una volta uscito dall'auto risulta essere un armadio, oppure dell'imbarazzante ladruncolo che in non so quale aeroporto pensò bene di rubare la valigia a Usain Bolt e scappare veloce sicuro di non essere mai acchiappato.

Su Quasi Rete l'anticipo di questa settimana è Fiorentina-Milan 3-7 del campionato 1992-'93. Se non vi basta e ne volete sempre di più, potete andare in libreria e comprare Anticipi, posticipi di Antonio Gurrado e Francesco Savio, editore Italic Pequod, prefazione di Roberto Beccantini.

giovedì 17 novembre 2011

Non me la sento di esprimere un giudizio sul governo Monti perché al terzo o quarto ministro mi sono addormentato e non so come sia andata a finire. A prima vista mi sembra tuttavia che questo governo di filosofi re, per quanto tutti indubbiamente degnissime persone, favorisca la pratica di uno degli sport preferiti degli italiani: l'elogio cautelativo dell'ignoto. Si tratta di uno sport estremamente diffuso - a scuola, nelle accademie, in tv, perfino in famiglia o fra amici - che funziona così: appena viene menzionato un argomento poco noto, tutti gli interlocutori simultaneamente iniziano a esprimere il proprio assenso con cenni del capo, mezze parole, riferimenti vaghi che lasciano intuire una maggiore conoscenza comune che rende superfluo l'approfondimento del tema. Non è sport da sottovalutarsi in quanto vi si basa una cospicua parte della produzione saggistica italiana, scritta e orale: ad esempio, se siete invitati a tenere una conferenza su Teofilo Folengo e putacaso non siete esperti di Teofilo Folengo, vi basterà pronunciare la frase "Non è certo questo il luogo di entrare nel dettaglio riguardo al Folengo" per ottenere compiaciute espressioni di consapevole supporto da parte del pubblico, il quale ovviamente di Teofilo Folengo ne sa forse meno di voi e quindi niente. Così voi siete soddisfatti perché avete tenuto la  vostra conferenza e il pubblico è soddisfatto perché ha avuto l'impressione di conoscere Teofilo Folengo senza prendersi la briga di studiarlo. Così è per il governo Monti. La quantità di elogi sperticati che vengono intessuti a maggior gloria di questi ignoti tecnici sono il segno che nessuno sa davvero chi siano e pertanto tutti ne parlano bene per non sfigurare in società; né qualcuno s'è azzardato a notare che la squadra di governo è composta da diciassette elementi, mica male per uno che ammette di essere terrorizzato dai gatti neri. In definitiva però il problema di un governo così dinamico non è quando cade ma se si rompe il femore.

domenica 13 novembre 2011

Italiani, popolo di avvoltoi, nessuno di voi ritiene di dovere delle scuse alla Lega Nord? Per tutto quest'anno centocinquantenario è stata subissata di reprimende perché si era schierata contro le celebrazioni dell'unità d'Italia, e tutti giù a dire che l'unità era un valore fondante irrinunciabile e che chi era contro l'unità era contro l'Italia stessa. Intanto quegli stessi parrucconi e conformisti che spernacchiavano la Lega si sono prodigati per svendere l'Italia ai mercati globali, alla Banca Centrale Europea e al Fondo Monetario Internazionale, dimenticando che centocinquant'anni fa c'era solo un valore che i risorgimentali avevano più a cuore dell'unità: l'indipendenza dallo straniero.

venerdì 11 novembre 2011

Ieri sera assistevo alla presentazione del volume Storia della cultura fascista di Alessandra Tarquini (Marsilio) e a un dato punto, parlando di Bottai che lamentava di star perdendo in Mussolini "l'uomo che ho amato per vent'anni", a mezza voce è stata espressa sul palco e in platea l'idea che si trattasse di un'assonanza di stretta attualità. Senza voler essere né offensivi né polemici, il parallelo percettivo fra Mussolini e Berlusconi affonda in una serie di documenti che un domani torneranno molto utili agli storici: nel 1993, dopo che a Casalecchio di Reno Berlusconi aveva reso pubblico l'endorsement a Fini come sindaco di Roma, si iniziò a ritrarlo in fez e stivaloni come il Craxi di Forattini; nel 1994, all'insediamento del suo gabinetto, il Manifesto uscì con una prima pagina color seppia uniforme rotta dalla scritta "Ecco il governo nero"; e così via. Senza voler essere né servili né apologetici, il parallelo fra Berlusconi e Mussolini non regge per la diversità delle condizioni storiche e politiche: il bipolarismo non è un totalitarismo, sulla scheda elettorale si trovava anche il nome di Romano Prodi o chi per lui, di tanto in tanto le elezioni si tenevano e talvolta Berlusconi le perdeva, talvolta le vinceva. Sentendo parlare Alessandra Tarquini la principale differenza che ho colto ha a che fare proprio con la creazione di una cultura. Nonostante la nota posizione di Norberto Bobbio, secondo il quale il fascismo era composto esclusivamente da analfabeti intenti a dondolarsi dai rami degli alberi, nessuno storico onesto può negare l'esistenza di una cultura fascista organica e ben strutturata, benché di propaganda, né di alcuni intellettuali di indubbia capacità (Giovanni Gentile, Alfredo Rocco, Massimo Bontempelli, etc.). Quando fra sessant'anni invece verrà studiato il berlusconismo, sarà oggettivamente difficile individuare tanto l'una quanto l'altra. Anzi è difficile già oggi: il Cambridge Companion to Modern Italian Culture, che è forse la radiografia più autorevole dello sviluppo della cultura italiana dal 1946 al 2006, pur procedendo con grandi autorità ed equilibrio non presenta alcuno schema di cultura berlusconiana organica né, Giuliano Ferrara a parte, azzarda alcun nome di intellettuale berlusconiano di spicco. Com'è possibile? Eppure entrambi i periodi storici sono stati caratterizzati da un capo maniacalmente attento alla propaganda, per il quale la creazione di una cultura organica avrebbe costituito un indubbio vantaggio. Avanzo l'ipotesi che la differenza sia da cercarsi nelle finalità della propaganda. L'obiettivo del fascismo era di creare l'uomo nuovo, anzi un italiano nuovo a immagine e somiglianza di Mussolini: quando questi veniva fotografato intento alla mietitura a torso nudo, la diffusione della fotografia serviva a  dare l'esempio. Il fascismo voleva trasformare gli italiani in altrettanti Mussolinini e la cultura fascista era lo stampo per forgiarli: questo consentiva paradossalmente, nonostante la privazione di democrazia, una certa creatività nel decidere forme e confini di questo stampo. L'obiettivo del berlusconismo era opposto: quando Berlusconi veniva fotografato con la bandana, la diffusione della fotografia serviva a dimostrare che il primo ministro seguiva mode e usanze del popolo, a confermare ciò che notava Massimo Gramellini in un ottimo articolone sulla Stampa di ieri: l'italiano medio è Berlusconi senza soldi. Lungi dal voler trasformare gli italiani in altrettanti Berlusconini, lungi dal poter essere stampo, la cultura berlusconiana sarebbe stata esclusivamente specchio: e brillando di luce riflessa, martoriata dalla democrazia che col suffragio universale impone di blandire le maggioranze, non ha potuto esprimere un'originalità né un'organicità perché i contenuti della sua cultura li decideva - attenzione - non Berlusconi ma l'eccesso di democrazia, l'identificazione mistica del leader con la gente e non della gente col leader. Non a caso la creatura politica di Mussolini si chiamava Partito e quella di Berlusconi Popolo; i due ventennii si assomigliano come una piramide che poggia sulla base e una che poggia sul vertice. Ora che siamo arrivati alla fine, e sperando che nessuno venga appeso per i piedi, credo che al dissolvimento dei fumi dell'antiberlusconismo di maniera gli storici dovranno prendere atto di questa discrepanza per chiedersi quale sia il precipitato culturale del berlusconismo e capire perché Berlusconi non ci ha lasciato una riforma Gentile né un codice Rocco.

giovedì 10 novembre 2011

Test a bruciapelo: se dico "Inghilterra", voi a cosa pensate? Le risposte sono prevedibili: al royal wedding, alla principessa Diana, al tè, alla guida a destra, a Oxford e Cambridge senza distinguerle, a David Beckham, ai costosissimi corsi di lingua di vostra figlia (che poi è tornata incinta di un peruviano), a Wembley e Wimbledon senza distinguerli, all'aristocrazia eccentrica ma benvoluta, ai Beatles, al roastbeef e a Beppe Severgnini.


E invece ve la do io l'Inghilterra, sul numero di Tempi in edicola questa settimana: specie se fate parte della numerosa tribù di italiani convinti che non ci sia nulla di meglio di una bella figuraccia di fronte a nazioni estere impeccabili, fareste bene a leggere con me C'è del marcio in Inghilterra di Gaia Servadio (Salani).

mercoledì 9 novembre 2011

Il tempismo è perfetto in quanto casca nel momento in cui da più parti si saluta la fine di una politica mercificata e basata sulla comunicazione pubblicitaria (il famoso partito-azienda) che dovrebbe lasciare spazio a una politica più etica, fondata sui capisaldi di responsabilità, onestà e verità. Bene, bastano tredici pagine del libro di Buzzi per capire da che parte stia la fregatura.

Ammettetelo, voi avete sempre creduto che il successo di Berlusconi sia stato basato su un sapiente utilizzo dei meccanismi pubblicitari. Vi sbagliate. Quelli che hanno fondato tutta la propria propaganda sui cardini più infingardi della pubblicità ingannevole sono tutti i vari Obama e Nichi Vendola, con i loro compagni che stanno nel mezzo, ovvero la sinistra globale. Lo dimostra un insospettabile saggio del 1964: La tigre domestica di Giancarlo Buzzi, appena ripubblicato da Hacca con un decisivo capitolo inedito. Ne disquisisco sul Foglio in edicola oggi.

martedì 8 novembre 2011

Per una curiosa coincidenza proprio oggi che probabilmente siamo all'ultimo giorno mi è capitato di leggere un passo de La Famiglia Winshaw di Jonathan Coe in cui si riproduce il diario (fasullo) di un parlamentare Tory alla fine degli anni '80. Siamo a cavallo fra la pagina 138 e 139 dell'edizione economica Feltrinelli, tradotta da Alberto Rollo. Il primo brano risale al 6 ottobre 1987, pochi mesi dopo la terza vittoria elettorale di Margaret Thatcher:

Non dobbiamo mai dimenticare che dobbiamo tutto a Margaret. Se il sogno ambizioso diverrà realtà, sarà grazie a lei, e lei sola. E' magnifica, inarrestabile. Non ho mai visto tanta determinazione in una donna, un tale coraggio. Si libera dei suoi avversari come se fossero erbacce che le intralciano il cammino. Li elimina con uno schiocco di dita. Sembrava così bella quando ha vinto. Come potrò mai ripagarla, come si potrà solo cominciare a ripagarla per tutto ciò che ha fatto?


Senza soluzione di continuità, il brano successivo risale invece al 18 novembre 1990, pochi giorni prima della deposizione della Thatcher dal ruolo di capo del partito conservatore:

La telefonata è arrivata alle nove di sera. Non c'era ancora niente di deciso, ma cominciavano a sondare l'opinione tra i fedeli. Io fui tra i primi a essere consultato. I sondaggi vanno male: diventa sempre più impopolare. Anzi, non si tratta più solo di impopolarità ora. L'unica verità è che con Margaret come leader, il partito non può sostenere la corsa alle elezioni.
"Via la puttana", dissi, "e in fretta".
Niente ci deve fermare.


Ora, è curioso notare come fra 1987 e 1990 intercorra lo stesso lasso di tempo che fra il 2008 e il 2011.

sabato 5 novembre 2011

Non è vero che le partite non servono a nulla. Per comprendere a fondo il commissariamento dell'Italia, la Merkel e Sarkozy, la Lagarde e Kakkonen, Draghi e Bini Smaghi, Giuliano Ferrara e Geminello Alvi, gli austroungarici di ieri e di oggi, una delle principali chiavi interpretative giace nell'anticipo odierno di Quasi Rete, un Napoli-Juventus 3-0 ai supplementari per il ritorno dei quarti di finale della Coppa Uefa 1989-'89.

L'avete vista l'Udinese massacrata dall'Atlético Madrid? Io no, ho preferito guardare i Simpson. Avete festeggiato per la Lazio che riesce nientemeno a sconfiggere di misura lo Zurigo? Io no, ho preferito guardarmi la partita, vecchia ormai di più di vent'anni, che ci aveva fatto sospettare davvero che l'Italia fosse una nazione e che la sua preminenza continentale fosse un atto dovuto (e invece). Mettetevi comodi.

giovedì 3 novembre 2011

L'iPad mette a disposizione degli alunni strumenti potenzialmente infiniti; ma l'attenzione, la precisione, la consapevolezza nell'uso di tali strumenti si acquisiscono soltanto con lo studium, l'applicazione quotidiana e seria sulle care vecchie sudate carte che oggi diventano sudati tablet. Su questo ci troviamo rapidamente d'accordo: che sia studio su carta stampata o su pergamena, su tavole di pietra o su display, l'importante è che si sudi.

Su Tempi in edicola questa settimana un franco (e sorprendente) dialogo fra Diego Sempio, rettore della fondazione Ikaros di Bergamo che sui banchi di scuola ha sostituito i libri con l'iPad, e uno come me, secondo il quale cultura deve per forza rimare con rilegatura.

mercoledì 2 novembre 2011

Soprattutto, Paolo di Paolo sbaglia a cercare il proprio nome su blog e social network. Ora, è chiaro che per chi non ha letto il suo romanzo il protagonista non esiste ed è curioso sentirne dibattere sulle pagine di un quotidiano. Allo stesso modo i grafomani della rete - magari camuffati dietro pseudonimo e senza uno straccio di lettore fisso - non esistono finché qualche perditempo non va a scovarli.

Sul Foglio in edicola oggi intervengo sulla polemica fra i lettori virtuali che criticano Paolo di Paolo su internet e Paolo di Paolo che critica i lettori virtuali sul Sole 24 Ore, il tutto per un fraintendimento sull'esistenza dell'uno e degli altri.