martedì 30 giugno 2015

Guareschiade, parte quarta.

Mi sono ricordato che un giorno Abraham Yehoshua, a Pavia, sentendo inerpicarsi un po' troppo su temi carsici del suo nuovo romanzo e su implicite correlazioni con cultura e storia ebraica un presentatore indubbiamente arguto e colto, oltre che accademicamente versato nella filologia semitica, lo aveva interrotto esclamando: "Too much doctorate! Too much doctorate!". Per leggere bene un romanzo e per capirlo meglio conviene non avere esagerato con lo studio e non avere fatto "troppo dottorato". Io da questo versante sono ahimè a uno stato irrimediabile se non con un lungo esercizio di analfabetismo e vita reale, ma a dipanarmi da troppi libri di filosofia e dalla laurea e dalla specializzazione e dal dottorato e dalla fellowship giunge per mia fortuna l'ammonimento che Guareschi formula in un racconto del 1958. Qui un romanziere francese dà i propri libri da leggere alla morosa, francese pure lei; costei non gradisce e gli rivela che non deve prendersela, in quanto non le piacciono nemmeno Victor Hugo né Balzac né Chateaubriand. Esasperato e sgomento, lui le domanda quali siano mai i suoi scrittori preferiti e lei risponde con parole che farò tatuare a perenne memoria sulla schiena della prossima mia fidanzata che si vanterà di essere laureata, magari in filosofia:

Kant, Bergson, Descartes, Spinoza. Io sono una povera ragazza senza fantasia e senza cultura e capisco solo i libri in cui non c'è niente da pensare perché tutto è già pensato. Se uno non mi spiega che cosa significano, io i fatti non li capisco.


[Qui trovate la terza parte, la seconda, e pure la prima.]

lunedì 29 giugno 2015

Passata l'ondata di entusiasmo? Bene, ora potete concentrarvi su un aspetto negletto durante il fine settimana di celebrazioni arcobaleno, dalla sentenza della corte suprema degli Stati Uniti che ha sancito che il matrimonio è un diritto costituzionale, indipendente dal genere dei contraenti, al gay pride che a Milano ha fatto sfilare migliaia di cartelli con la scritta "Sì" su corso Buenos Aires. Non so se sia stato un caso la scelta della strada dello shopping compulsivo ma dozzinale, col palco proprio sotto il punto in cui le luminarie dello scorso Natale recavano la scritta lampeggiante "Esaudisci i tuoi desideri".

Alla base della campagna per i diritti lgbt vige lo stesso principio - "Esaudisci i tuoi desideri" - che in piccolo regola lo shopping su corso Buenos Aires e in grande il gorgo del capitalismo. Si tratta di un anelito neutro e vago benché insistente, che non prende in considerazione l'ipotesi che i desideri di un tizio possano contraddire i desideri di un altro ma che ci tiene a dare a entrambi l'impressione che i propri desideri siano diritti e valgano quindi come legge universale. Il capitalismo si regge sull'ideale dell'uniformità dei desideri individuali (a differenza del comunismo che si regge sull'uniformità dei desideri collettivi): ciascuno deve avere eguale diritto ad acquisire ciò che lo differenzia dagli altri, che sia lo sposare chi gli pare oppure lo shampoo utile esattamente al tipo di capelli che ha in testa o lo smartphone personalizzato oppure una lattina col proprio nome sulla confezione.

Questo spiega perché i più grandi festeggiamenti per la sentenza americana, presto trascolorata nella parata italiana, siano arrivati da aziende con fatturati iperbolici: la Coca Cola, Facebook, Google; in Italia, uno dei principali e sottili martellatori sui diritti lgbt è il giornalone borghese par excellence, il Corriere della Sera. Questo tuttavia spiega meno perché la sinistra, che un tempo avrebbe sfruttato lo scorso fine settimana per organizzare la rivoluzione proletaria in Grecia, si sia allineata così ciecamente a una battaglia che ha come lampante scopo precipuo la creazione e il lenimento di una clientela, uniformata nella convinzione di eguaglianza e unicità di ognuno dei suoi membri, nella pretesa di esclusività rispetto a chi non ne fa parte (un po' come negli anni '80 senza lo Swatch non eri "giusto") e nella persuasione che i diritti siano un genere di conforto disponibile all'acquisto su vasta scala.

Da Washington a corso Buenos Aires questo fine settimana è stato inscenato lo sghei pride, una manifestazione di massa rivolta a individualisti appartenenti alla borghesia media e medio-alta, disinvolti nell'utilizzo totalitario dei social network (tutti hanno colorato d'arcobaleno la propria immagine su Facebook grazie a un'applicazione prodotta apposta) e felici di correre incontro alle fauci spalancate di creatori professionali di clientele ottuse. I manifestanti dello sghei pride hanno a disposizione una certa somma di denaro che certo non li rende ricchi ma garantisce un margine di sicurezza e sono lieti di investirla nel foraggiare aziende che avrebbero appoggiato senza remore i colori di qualsiasi bandiera garantisse loro di raggiungere la clientela più vasta e desiderosa di sentirsi blandita, anche qualora al posto dell'arcobaleno ci fosse stata la svastica: il denaro non solo non puzza ma non ha nemmeno ideologia. Altro che #loveislove, la campagna doveva chiamarsi #loveismoney. In Grecia e altrove, intanto, i poveri non hanno tempo di essere gay.

venerdì 26 giugno 2015

Guareschiade, parte terza.

E se qualcuno sta pensando che sia facile raccontare storie semplici o far ridere la gente o essere uno scrittore popolare, sappia che c'è un racconto di Guareschi - Il sistema, s'intitola - che non solo inizia col marito che dice alla moglie "Minnì, ti odio" con una disinvoltura che se solo l'autore si fosse chiamato Giovannino Carver l'avrebbero sommerso di premi Mondello e corsi monografici di scrittura creativa; ma che anche, dopo cinque o sei pagine di dramma borghese portato con distacco al parossismo, s'interrompe all'improvviso e l'autore prende la parola dicendo:

La noia è la peste di questi giorni. Ed è sospesa nell'aria, questa noia che è la polvere delle macerie morali che intristiscono il mondo intero, il mondo sconfitto che va fatalmente avviandosi verso la catastrofe finale. Ciò può sembrare pessimismo ma è rigorosamente esatto perché, dopo migliaia e migliaia di guerre, siamo arrivati al punto che, mentre fino a un certo tempo fa dopo la guerra c'era il dopoguerra, adesso, appena finita una guerra colossale, siamo già nell'anteguerra. (...) Per salvarsi, bisogna che gli uomini distruggano tutte le diavolerie che hanno creato e prendano a calpestare coi piedi nudi la terra liberata e guardino verso l'alto perché, adesso, il cielo è vicino ma Dio è lontano. I Fioretti di San Francesco oggi sono diventati letteratura, materia d'esame nelle scuole, e questa è la rovina. La cultura e il progresso hanno ucciso la civiltà.

Questo per dimostrare non solo che quando vuole Guareschi sa ingranare la marcia e tenere un ritmo da prosatore affilato e profondo, che centomila pagine d'oggi non sarebbero in grado di riprodurre con altrettanto nitore, ma anche che questo piccolo racconto inosservato, essendo uscito su rivista il 25 giugno 1950, è con ogni evidenza stato scritto ieri.


[Ecco la prima parte ed ecco la seconda.]

giovedì 25 giugno 2015

Guareschiade, parte seconda.

Ieri, poiché era san Giovanni e alla sera avevo bisogno di divagarmi, mi sono messo a leggere Baffo racconta: è un libro che raccoglie storielle che Giovannino Guareschi aveva sparso su più riviste dal '41 al '60 e che mi era sfuggito quando Rizzoli le aveva trasformate in volume nove anni fa. Mi ci sono messo col malcelato intento di ritrovare pagine nuove dello scrittore che mi piaceva quand'ero bambino, e convinto di rilassarmi con prosa piana e trame semplici. Ora che sono specializzato in faccende complicate, però, mi sono accorto di non rilassarmi affatto perché dietro parole cristalline e limpide scorgo di tutto un lavorio: come se girando la manopola del rubinetto per bere vedessi plasticamente l'itinerario completo dall'acquedotto al mio bicchiere. Per questo credo che chi si disfa dei libri facili ritenendo che siano trascurabili con ogni probabilità è un miserabile cui manca la competenza tecnica minima per intuire che ci vuole molto cesello per farsi capire mentre è facilissimo scrivere difficile. Provate voi a raccontare di un ragazzo che conosce una ragazza con un grosso cane e la corteggia fino a che non ne ottiene l'assenso, del cane intendo; invece a scrivere un trattato sui cani o sull'amore credo che siamo buoni tutti.


[Come siete pignoli a chiedermi perché ho parlato di parte seconda se retrocedendo su queste pagine virtuali non riuscite a trovare il pezzo precedente. E va bene, allora facciamo che la parte prima è il mappazzone che avevo scritto nel 2008 sul mio autore grasso e sentimentale, così avete parecchio da leggere e mi lasciate un po' tranquillo.]


mercoledì 24 giugno 2015

Oggi La Provincia Pavese è in sciopero. Consolatevi col giornalismo d'essai, ossia rileggendo la recensione che dedicai al numero del 5 maggio 2012.

I quotidiani locali possono essere letti in due maniere. La prima è usarli come bollettino limitandosi ad apprendere le notizie del giorno, tutta forma e niente contenuti. La seconda è più frequente e vede l’emersione dietro ogni notizia, in qualsiasi forma venga data, di un sottotesto correlato al fatto stesso che la notizia compaia dal giornale locale in questione anziché altrove. I quotidiani locali patiscono, insomma, la prevalenza del contesto sul contenuto negli occhi di una buona maggioranza di lettori.
Questo spiega perché, quando ho mostrato in giro il titolo de La Provincia Pavese di oggi – titolo serio per una faccenda triste – tutti indistintamente hanno dichiarato che tali «400 insospettabili truffatori» richiamavano un titolo che da tempo immemorabile la leggenda attribuisce alla Provincia: «In 500 contro un albero, tutti morti»; e poco importa che con ogni probabilità non sia mai stato stampato e derivi anzi da qualche barzelletta di bassa lega, sul livello di «Falegname impazzito tira sega a passante».

Pazienza, non c’è niente da fare: lavorare a un quotidiano locale significa dover adeguarsi allo scetticismo, tentando di sconfessarlo oppure, se si è dotati di sense of humour, di cavalcare la tigre.
Vediamo come se la cava la Provincia vera, non quella leggendaria che vive nelle memorie confuse dei suoi lettori/detrattori. Superate le prime nove pagine di notizie dal resto del mondo, la sezione pavese della Provincia inizia con la doppia pagina dedicata da un lato all’economia locale e dall’altro a lettere e oroscopo. La lettera principale, alla quale risponde la direttrice, è un appello a che venga ripristinata l’ora esatta sull’orologio (fermo) dell’antica sede del comune, nella piazza centrale. La logica del lettore (il cui appello già trova in sede di pubblicazioni due altri sottoscrittori, incidentalmente con lo stesso cognome) è adamantina: «Voglio sperare che il comune di Pavia sia propenso a farlo funzionare ancora, perché tale orologio secolare situato proprio sul palazzo del comune di un tempo, nei secoli scorsi scandiva le ore per i pavesi in quanto nei tempi lontani dell’800 ma anche per buona parte del 900, non tutti i pavesi possedevano un orologio. Sicuramente ai giorni nostri non ha più questo scopo, però dato che esiste ed è anche ammirato dai turisti in quanto si tratta di un manufatto molto vecchio che sicuramente avrà un meccanismo ingegnoso che lo fa funzionare», eccetera eccetera.

Segue un’appassionante disputa sull’istituzione del senso unico a Marcignago e l’accorata lettera di una mite e presumo anziana lettrice: «Io sarò orgogliosa di morire sorretta dagli eterni valori fascisti. All’onorevole [omissis] lascio i valori attuali della politica: tangenti, corruzioni, riciclaggio, peculato…». L’oroscopo intanto minaccia la mia illibatezza con un’incursione omosessualista, avvertendo me e tutti i Sagittari dei dintorni che «tra voi e un collega potrebbe nascere presto una bella storia d’amore». Non sorprende che, di conseguenza, «in serata farete molta fatica a prendere sonno».

Poi c'è la doppia pagina sugli eventi programmati in giornata. A Torre d’Isola, «dipinti e vetri d’arte». A Valle Staffora, «il ballo delle quattro province». A Voghera, e non si sa perché solo lì, «la festa della mamma». A Magenta, che è in provincia di Milano, «il mondo degli ungulati». Grande sorpresa a Pavia, che mica per niente è il capoluogo: «Lennon alla Feltrinelli». Da pagina 15 a pagina 37 arriva finalmente la cronaca locale, divisa per sezioni geografiche in Pavia, Pavese, Voghera, Voghera e Oltrepo, Oltrepo, Broni e Stradella, Tortona e Stradella, Vigevano, Lomellina, Mortara e Lomellina, di nuovo Lomellina e basta. Tralasciamo il titolo «Giallo a Chignolo» sotto il quale campeggia la foto di un cinese. Avvertiamo invece gli interessati che «il funerale a Vistarino è vietato al pomeriggio», titolo che avrebbe fatto felice Scerbanenco; a Voghera invece «i detenuti diventano ambientalisti»; a Stradella «La moglie di Vecchioni riceve il premio per la pace». Alle competenti autorità religiose segnaliamo la presenza nell’oratorio di Sannazzaro de’ Burgondi del Mago don Sales, «sacerdote salesiano che anima spettacoli e feste oratoriane. Mago don Sales celebrerà la Messa delle 11 nella chiesa parrocchiale». Chissà la transustanziazione.

Una quinta superiore va in gita in Toscana; una quarta elementare, di più limitati mezzi, nella redazione del giornale stesso; una studentessa universitaria gode di uno stage presso la biblioteca civica Mino Milani di Garlasco; un’altra, forse invidiosa, cade dalle scale: «Paura al Pollini», istituto alberghiero di Mortara. Come nell’incipit de Il complotto contro l’America di Philip Roth, la paura domina queste pagine, un’eterna paura giustificata anche dalla simultanea rivolta degli animali, che prendono in scacco vari siti strategici della zona: «Sannazzaro, altra strage nel pollaio. Nella notte una volpe ha ucciso nove galline e un gallo a Regione San Giuseppe»; «Garlasco, sciame d’api: paura in piazza Garibaldi. L’esperto: non avrebbero punto»; e, soprattutto, «Avvistati tre lupi nella zona di Ruino».


Con tutto il rispetto per la volpe e le  api (nonché per le studentesse che cadono dalle scale), questa è la notizia più grossa e preoccupante, che merita di guadagnare la prima pagina. Ci arriva, infatti: i quotidiani locali si occupano dell’infinitamente piccolo e quindi hanno necessità di ingrandirlo; però la Provincia ha pudore, e la sistema in un minibox pallidissimo di fianco alla rutilante pubblicità di una «Scuola di educazione per cani di ogni razza ed età» che impartisce «corsi di agility, retrieving e puppy class» come a suggerire che, qualora i lupi invadessero, si può pur sempre fare un tentativo e iscriverli. L’occhiello che decora la notizia dell’arrivo dei lupi è un capolavoro di sublime understatement: «Qualche timore».

martedì 23 giugno 2015

Laura Antonelli, tu muori e noi invecchiamo. Ricordiamo i tuoi film di quarant'anni fa ma fra quarant'anni di quali attrici italiane ci balenerà una lontana coscia, un reggicalze, una scala? Tutt'al più ricorderemo patinati appelli contro il femminicidio, servizi fotografici col velo haute couture in sostegno di Malala, interviste in serie sul ruolo della donna nella società da cui a stento sarebbe riuscita a risvegliarci la sottanina trasparente che nel febbraio 1980 indossavi sulla copertina di "High Society" (sottotitolo: "The magazine that does it all"). Laura Antonelli, probabilmente sei già in paradiso perché hai sofferto più di quanto avrai mai fatto soffrire e perché anche i maschi meno spirituali pregano sempre per le donne che hanno causato piacere gratuito, come il cane che non riesce a mordere la mano che gli dà da mangiare. Laura Antonelli, tu vivi perché sei già morta nell'ultima scena di Porca vacca, quando i due soldati Renato Pozzetto e Aldo Maccione stanno lì a discutere su chi dei due debba sacrificarsi per far saltare una diga contro gli austriaci e mentre loro parlano tu sei già sparita all'orizzonte carica di tritolo per riscattare un ruolo da troia truffaldina. Da quando ti sei sottratta ai nostri guardi siamo stati in grado solo di discutere e sindacare anziché sedurre e agire. Laura Antonelli, tu muori e l'Italia finisce.

lunedì 22 giugno 2015

Abbiamo un problema col Papa; anzi, due. Siamo un po' tonti quindi quando parla sentiamo solo ciò che vogliamo sentire e non cogliamo affermazioni eclatanti che lasciamo passare sotto silenzio; come se non bastasse, siamo anche piuttosto ignoranti quindi se dice qualcosa di sorprendente pensiamo che se lo sia inventato seduta stante anziché rifarsi al Vangelo. Cadiamo sui fondamentali, come il prete del film di Verdone al quale sfuggiva di mente come si chiamasse Gesù. Qualche esempio.

Dicono che sia un Papa comunista, attento al sociale, che all'improvviso ha preso la decisione di schierare la Chiesa contro il capitalismo. Certo, come no: Papa Francesco si rifà infatti al pensiero del fondatore del comunismo, San Giovanni Battista, il quale in riva al Giordano suggeriva alle folle che lo interrogavano: "Chi ha due tuniche, ne dia una a chi non ne ha; e chi ha da mangiare faccia altrettanto" (Luca 3, 11, se volete controllare). Le idee sediziose del Battista sono poi state testualmente riprese da un altro pericoloso no global che mandò i suoi apostoli a evangelizzare il mondo raccomandando loro di non portare con sé due tuniche per il viaggio (Luca 9, 3, sempre se volete controllare). Quando il Papa volando dal Brasile s'è domandato "Chi sono io per giudicare?" ha finalmente insufflato nella Chiesa il pensiero di un noto attivista lgbt, San Paolo di Tarso, il quale chiedeva a muso duro: "Ma tu, perché giudichi tuo fratello? Tutti ci presenteremo al tribunale di Dio" (Romani 14, 10, ma spero che riteniate superfluo controllare). E la smania di aprire gli ambienti del Vaticano - la Cappella Sistina, il colonnato del Bernini - a nullatenenti e barboni? Be', sentite un po' questa bella storia raccontata da Gesù sulle pagine di Repubblica. Un giorno un uomo diede una grande cena e fece molti inviti ma all'ultimo istante gli invitati iniziarono ad accampare scuse; allora il padrone di casa disse al servo: "Esci per le piazze e per le vie della città e conduci qui poveri, storpi, ciechi e zoppi. Va' per le strade e lungo le siepi e costringili ad entrare, perché la mia casa si riempia; perché nessuno di quelli che erano stati invitati e non sono venuti assaggerà la mia cena" (forse non era un'intervista a Repubblica, forse è Luca 14, 16-24). Noi crediamo che il Papa apra il Vaticano ai barboni per pauperismo mentre lo fa per riempire i posti che abbiamo lasciato vuoti.

Riteniamo altresì che il principale compito della Chiesa sia di evitare che ci tocchiamo le pudenda, e a leggere quotidiani di un certo livello parrebbe che la principale innovazione di Francesco sia di volerlo consentire benché con juicio. Per questo quando parla papale papale non ci accorgiamo di quello che dice, tutti presi a considerare il nostro ombelico e un po' più in basso. Sempre sul famoso volo dal Brasile il Papa non aveva solo sospeso il giudizio sull'omosessualità ma aveva anche detto che la metà dei matrimoni è nulla perché ci si sposa senza maturità o senza considerare che è per tutta la vita - testuali parole - cioè che qualsiasi matrimonio contratto avendo anche solo lontanamente in testa l'ipotesi di poter un domani divorziare è carta straccia. Ha detto così però nessuno ha battuto ciglio, tutti ipnotizzati dal fraintendimento collettivo e allucinatorio del "Chi sono io per giudicare?".

Idem ieri, a Torino. Alla platea di giovani, secondo i titoloni, Papa Francesco ha soprattutto raccomandato di serbarsi casti, perché è evidente che la Chiesa è erotomane e non le interessa altro che il retto utilizzo del nostro uccello. Nemmeno una riga di commento alla frase tremenda che ha lasciato cadere come una mannaia su qualsiasi velleità di fare a meno di Dio: "Se uno si fida solo degli uomini, ha perso". In effetti nella Bibbia è scritto che "nessuno è buono" (Marco 10, 18 e, se non vi basta, stesse identiche parole in Luca 18, 19); quindi "guai all'uomo che confida nell'uomo" (Geremia 17, 5, ma forse non volete controllare più). Cosa pretendete però, che si dia la notizia di un Papa che ci rivela frasi che abbiamo chiuso sul comodino a impolverarsi da millenni?

venerdì 19 giugno 2015

"Free leaves for ebribadies!", c'è scritto in Finnegans Wake (228.36, per i pignoli): tradotto, sul sito del Foglio l'articolo #JoyceSuisCharlie diventa gratis, quindi potete leggere tutti lo spericolato dialogo in cui Edoardo Camurri e io propugniamo il Bloomsday permanente e cambiamo genere a Maometto prendendo le mosse da un rognone. Per leggerlo basta cliccare qui; quanto a capirlo, è un altro discorso.

Si tratta però dell'unico modo che avete per comprendere cosa significa il distico:
As I once played the piper I must now pay the count
So saida to Moyhammlet and marhaba to your mount!
Dopo di che la vostra vita non sarà più la stessa, un po' come non lo è più la mia da quando Maurizio Milani mi ha citato nel tema unico di maturità sulla prima pagina del Foglio di ieri. Non so voi ma io lo promuoverei fisso.




giovedì 18 giugno 2015

Dunque, oggi oltre a guardare la Coppa America alle tre di notte su Gazzetta TV potreste anche prendere e andare in libreria a comperare l'ultimo libro di Voltaire, non nel senso che l'ha scritto adesso (rivelazioni: è morto nel 1778) ma nel senso che è la sua ultima nuovissima opera a essere stata tradotta in italiano, con parole e introduzione e note mie. Si intitola Gli ebrei mangiavano carne umana? E come la preparavano?, l'ha pubblicata proprio oggi Il Melangolo, costa sei euro e vi anticipo un mio brano perché sono generoso:

Voltaire ha da poco scoperto una divorante passione per la Bibbia e sta invitando i suoi amici a leggerla con attenzione, alla ricerca di perle di assurdità e abiezione; in particolare, alla marchesa du Deffand consiglia la lettura del profeta Ezechiele, al quale il Signore prima comanda di mangiare un rotolo di pergamena (Ezechiele 3, 1-3), quindi di legarsi con delle funi (Ezechiele 3, 25), poi di dormire trecentonovanta giorni sul fianco sinistro e quaranta su quello destro (Ezechiele 4, 4-6), e infine di mangiare del pane condito con escrementi (Ezechiele 4, 12-15). In quest’ultima circostanza il profeta, a onor del vero, riesce infine a ottenere che il pane sia insaporito solo con sterco di vacca. La Deffand non gradisce e Voltaire le scrive nuovamente cercando di persuaderla riguardo all’importanza di Ezechiele: "E, se permettete, vi pare niente, dopo aver mangiato della merda, promettere agli ebrei da parte di Dio che mangeranno carne umana a volontà? Non vi interessa conoscere i costumi delle nazioni? Per quanto poca curiosità possiate avere, vi proverò che non c’è popolo che non abbia abitualmente mangiato ragazzini e ragazzine; e mi concederete altresì che non è un male tanto grande mangiarne due o tre anziché sgozzarne a migliaia, come facciamo in Germania con civiltà". 

mercoledì 17 giugno 2015

L'Isis. Il rognone a colazione. I matrimoni fra uomini. Le corse di cavalli. Charlie Hebdo. Game of Thrones. Shakespeare, Nietzsche, Giordano Bruno. La nuova traduzione di Finnegans Wake. Il test di Rorschach. Adolescenti zoppe e guardoni di mezz'età. La caccia al fagiano. La cicala e la formica. Le flatulenze. Questo e molto altro nel paginone dedicato al Bloomsday permanente che Edoardo Camurri e io propugniamo nel corso di una conversazione ubriaca e folle sull'Ulisse di Joyce: oggi in edicola nel Foglio e anche online.

martedì 16 giugno 2015

Avete settantadue anni, avete insegnato a Cambridge, avete vinto il Premio Nobel, siete membri della Royal Society; eppure basta una frase maldestra a farvi cacciare a calci in culo dall'università. Decenni di ricerca ad alto livello vengono vanificati. Il vostro curriculum viene cancellato da internet per sostituirlo con proclami politicamente corretti.

Sul sito del Foglio faccio il punto sull'epurazione di Tim Hunt dall'University College London e spiego cosa insegna sul futuro della ricerca la storia dell'uomo punito per aver detto che anche in un laboratorio gli uomini possono innamorarsi e le donne mettersi a piangere.

lunedì 15 giugno 2015

In effetti, a pensarci, il primo l'ho comprato in edicola, a quindici anni, giovandomi anche del vantaggio di vivere allora in un paese senza librerie. C'era questa copia dell'Ulisse di Joyce - Oscar Mondadori, dorso rosso, privo dell'apposita guida alla lettura che costituiva volumetto a parte - che costava sedicimila lire e l'ho presa perché mi incuriosiva il fatto che fosse tutto senza punteggiatura. Poi, leggendolo, è emerso che non era tutto senza punteggiatura ma anche che la punteggiatura era il meno: tante erano le meraviglie che conteneva che ho preso la decisione che ogni volta che me ne fosse schioppata davanti un'edizione diversa l'avrei comprata. E così sono seguiti la prima edizione italiana del 1960, poi il Meridiano, poi una strana versione non autorizzata pubblicata da una sedicente Shakespeare & Company editrice fiorentina, e naturalmente un'edizione inglese, poi l'edizione inglese anastatica della prima edizione del 1922, e la traduzione francese di Valéry Larbaud, e ovviamente ora che i diritti d'autore sono scaduti le nuove traduzioni italiane Einaudi e Newton Compton. Un amico mi ha regalato i tre volumi dell'edizione filologica curata da Gabler; se volete rendermi felice, soprattutto se non siete donne, adesso sapete come comportarvi. Detto questo, non dimentico che il primo l'ho comprato in edicola; ma solo anni e anni dopo mi sono accorto che il protagonista dell'Ulisse ha una libreria che trabocca di libri popolari, quasi dozzinali, più da edicola che da libreria. Allora ho capito che il romanzo di Joyce, che per decenni ha scatenato le glosse interpretative dei professori fino a rinchiudersi nell'accademia con fama d'incomprensibilità, invece va letto per quello che è: un romanzo popolare, che debba costare poco, che possa essere da tutti, che si trovi nelle edicole, altrimenti non si capisce niente. Se avessi quindici anni oggi potrei comprarlo a tre euro e novanta: la metà di quanto costava vent'anni fa: mentre tutto aumenta, la deflazione dell'Ulisse è uno dei migliori motivi per rimpiangere di non essere più adolescenti.

Questo e altro dirò alla festa per la vigilia del Bloomsday, nel mio intervento L'Ulisse di Joyce, romanzo popolare: oggi alle 18 alla libreria Il Delfino di Pavia, piazza Cavagneria 10.

venerdì 12 giugno 2015

Sulle donne nude adotto da anni un criterio adamantino: sono favorevole se sono belle, se sono brutte sono contrario. Questa Eleanor ventitreenne ha gli occhioni cerbiatteschi delle inglesine che si truccano troppo per il sabato sera ed escono a frotte con abitini svolazzanti facendoti venire istintivamente voglia di portartele a letto tutte simultaneamente, almeno fino al momento in cui aprono bocca e passa ogni vaghezza*. Quindi, sono favorevole: anche se sta venendo subissata di improperi per essersi spogliata profanando non so quale montagna sacra del lontano oriente. La stigmatizza perfino l'esperto di viaggi Simon Calder il quale ha rammentato a lei e agli inglesi tutti che quando si mette piede in un altro paese bisogna ricordarsi che lì vigono regole diverse e che bisogna rispettarle, anche se non le si condivide. Considerato che Calder lavora per la Bbc ma scrive anche per l'Independent, il più progressista dei quotidiani favorevoli ad accoglienza e multiculturalismo**, se ne deduce che se il principio fosse valso non solo per gli inglesi che vanno ma anche per gli stranieri che vengono l'Inghilterra sarebbe stato un posto migliore e magari sarei rimasto a vivere lì.


*Nota: Una notte a Londra una passante neanche tanto male mi saltò al collo alla scoperta che ero italiano proferendomi in rapida successione le tre sole parole nostrane che conosceva - "Ciao, ti amo, vaffanculo!" - che nella fattispecie erano sintomo della sua contingente ubriachezza ma potevano essere anche considerate come condensato resoconto di ogni possibile fidanzamento.

**Nota: L'Independent fa tuttora autorità sui quotidiani progressisti italiani, i quali per dimostrare apertura mentale estesa finanche all'ortografia non di rado lo chiamano Indipendent.

giovedì 11 giugno 2015

AstroSamantha che eri nei cieli, l'opinione pubblica si domanderà se ti sia più utile il bentornato di Renzi che su twitter dà del tu a tutti ma a te del lei, chiamandoti "capitano" al maschile, oppure i sette consigli per la futura vita terrena di Beppe Severgnini che sul Corriere ti ammonisce di non dire ovvietà - un po' come se Sandro Piccinini ti esortasse a non parlare mai di "sciabolata morbida". Avevo dimenticato che fossi nello spazio fino al momento in cui ho letto la notizia dell'atterraggio; però sospetto che a partire da un domani non troppo distante, dopo averci letto favole a mezz'aria e strizzato asciugamani in orbita per la gioia dei nostri occhi terreni, inizierai a spostare il baricentro dei tuoi interventi su temi sempre meno siderali. Spero di no ma pavento il giorno in cui ti pronuncerai sui migranti e sull'omofobia, o magari stigmatizzerai la corruzione della politica e sfilerai contro il femminicidio, o godendo del vantaggio di essere donna lamenterai la discriminazione nei confronti delle donne. Aderirai a qualche campagna con l'hashtag à la page; forse ti spingerai fino a esprimerti in favore del genere neutro in grammatica promuovendoti a capitan*, e chissà se un 25 aprile a caso ti inviteranno a parlare del valore della resistenza a una platea di bimbi che sognano di essere sputati nello spazio.

Alla fine si fa ciò che il pubblico pretende e il tuo pubblico di riferimento è quello di Fabio Fazio e di twitter. Ogni posizione che prenderai nel dibattito pubblico verrà vista come un avallo della scienza a battaglie di civiltà e ogni battaglia di civiltà a cui parteciperai verrà vista come la conferma del tuo valore di scienziata. Ho già scorto persone sciorinare il tuo curriculum sul muso di chiunque osasse criticarti, senza considerare che in genere il valore di una persona non si misura in pergamene e che non basta avere studiato tanto per diventare intelligenti. Esiste una faglia che si sta aprendo sempre più fra realtà e immaginazione: l'immaginazione allucinatoria collettiva pretende che bontà e sapienza coincidano, che per farsi passare per competenti basti aderire a battaglie sociali e che non si possa essere intellettuali credibili senza schierarsi con una maggioranza lagnosa che si comporta come se fosse una minoranza vessata mentre impone il suo pensiero univoco e bovino. Il popolo ha bisogno di superstizioni e lo scientismo dei diritti è l'oppio di ultima generazione. Te l'ha detto nessuno che sei atterrata proprio al momento giusto?

mercoledì 10 giugno 2015

Se seguite Masterchef, se avete letto Dire fare brasare, se ogni volta che potete dite "Vuoi che muoro?", se il nome Antonino Cannavacciuolo vi incute soggezione anziché ridarella, se invitate donne a cenare a casa vostra solo e soltanto per sfoggiare il decanter, se per fare i fighi usate lo scalogno, se avete organizzato Expo 2015, se leggendo "Nutriamo il pianeta" non vi viene subito in mente una nutria, se ritenete che ciò che distingue l'uomo dagli animali sia mangiare quando non si ha fame, se in libreria comprate solo ricettari, se pensate che Benedetta Parodi sia una scrittrice perché pubblica libri: sappiate che la prossima settimana esce questo volumetto con un'opera inedita che ho curato io per Il Melangolo. Buon appetito.



martedì 9 giugno 2015

Non fidatevi delle quarte di copertina; io non mi fido. Ad esempio dietro un'edizione tascabile Einaudi di Cormac McCarthy, Non è un paese per vecchi, leggo già sulla prima riga: "Nel Texas di oggi, lungo il confine con il Messico". Poi però a differenza di altri apro anche il libro e a un quinto del romanzo leggo che una moneta su cui è incisa la data 1958 "ha viaggiato ventidue anni prima di arrivare qui". Vaghi ricordi delle scuole elementari mi suggeriscono che cinquantotto più ventidue fa ottanta e ne deduco il 1980 non è oggi, altrimenti io sarei attaccato al biberon e non avrei mal di schiena cronico. Ma magari mi sbaglio. Continuo a leggere e a pagina 105 trovo un dialogo in cui uno chiede "Le dispiace se fumo?" e un altro risponde "Siamo ancora in America, credo"; io invece credo che non sia necessario essere stati in Texas, lungo il confine col Messico, per intuire che nel 1980 quella risposta significava sì mentre oggi significherebbe no, visto che in America a furia di campagne salutiste di Michelle Obama fra un po' sarà consentito fumare soltanto sottoterra o con la sigaretta spenta. Anche il dettaglio che il protagonista sia un reduce del Vietnam e abbia trentasei anni anziché novantadue mi fa propendere per un'ambientazione retrò. Da un'altra parte che non ripesco più viene detto a un personaggio che visto che è occidentale, bianco e maggiorenne è libero di fare ciò che vuole; sarà stato vero nel 1980 ma oggi se uno è occidentale, bianco e maggiorenne la lista di cose che non può né dire né fare né baciare è sterminata - restano a stento lettera e testamento, soprattutto testamento. Poi a un certo punto trovo una signora che non gradirebbe un repubblicano alla Casa Bianca (leggi Reagan) perché vuole che sua nipote sia libera di abortire e lo sceriffo le risponde: "Secondo me non si deve preoccupare della direzione in cui va il Paese. Anzi le dirò, non solo sua nipote sarà libera di abortire ma sarà libera anche di mandarla al Creatore". E mi sono detto: eccola qui, una frase che piove davvero dal Texas di oggi, lungo il confine col Messico.

lunedì 8 giugno 2015

Erano previste precipitazioni, ieri, per rinfrescare la domenica lombarda quindi siamo rimasti lì a guardare il cielo che poco educatamente ignorava i meteorologi e restava impassibile e torrido. Poi a sera, rassegnato, ho fatto quattro passi e all'improvviso dietro di me è apparsa una signorina mano a mano col fidanzato al quale stava dicendo nel tono più persuasivo di cui fosse capace: "Non vogliono le adozioni per le coppie gay ma tu ci hai mai pensato che alla fine i bambini gay nascono sempre da un uomo e una donna?". Ho scrutato nuovamente il cielo ma ancora niente precipitazioni, ancora nessuna pioggia di cavallette.

venerdì 5 giugno 2015

Presto, istituite il Premio Nobel per la filosofia e correte a conferirlo a Michela Marzano per l'intervento pubblicato stamattina su Repubblica riguardo alla presunta questione della guarigione degli omosessuali. L'obiettivo dell'onorevole filosofa è che si giunga a rispettare "ognuno di noi per quello che è" senza imporre un "dover essere": l'orientamento sessuale, scrive, è un "modo di essere" che in quanto tale "non si sceglie e non si cambia". Ciò che siamo, argomenta, non deve farci sentire colpevoli. Abbiamo il diritto di essere accettati per ciò che siamo e così come siamo.

Quest'articolo breve ma intenso è destinato a mutare repentinamente le sorti della filosofia poiché, dando il giusto risalto a ciò che si è, omette di prendere in considerazione l'annosa questione di ciò che si fa, questione che tanto tormento ha dato a filosofi antiquati e meno brillanti. Secoli, millenni di dibattito sul criterio per considerare univocamente buona o malvagia un'azione sono terminati col punto fermo che il quotidiano romano ha posto stamane una volta per tutte. L'omonimo dialogo di Platone, che per ben dieci libri si arrovella intorno alla domanda "Che cos'è la giustizia?", se venisse scritto domani sarebbe brevissimo: basterebbe dire che la giustizia è essere giusti, e che se uno è giusto non importa quello che fa perché qualsiasi cosa faccia essa è la giustizia perché essere giusti è un modo di essere. Meno male che Heidegger è morto, altrimenti chi glielo dice che stamattina è stato giubilato il Sollen, ovvero il dover essere? Visto che non solo non si può cambiare ma nemmeno si può scegliere, spiace dire che da oggi tutti quelli che si occupano di filosofia morale e di etica dovranno trovarsi un altro mestiere perché alla fine tutti i nostri atti sono necessitati, quindi è inutile stare a questionarli più di quanto non sia utile mettersi a discutere sull'ordine dei numeri. Il fatto che la Marzano insegni proprio filosofia morale all'Université Paris Descartes potrebbe porre qualche problema, agilmente superabile però con l'argomentazione che lei non è professoressa di filosofia morale perché compie l'atto di insegnare filosofia morale, bensì insegna filosofia morale perché è professoressa di filosofia morale: il suo è un modo di essere che non può cambiare né scegliere.

L'etica parmenidea della Marzano - provo a formulare la sua ricetta: solo ciò che si è è, ciò che non si è non è - impone anche di rimettere mano al codice penale. Infatti è tempo di una riforma per cui i cittadini smettano di venire giudicati in base al vetusto criterio di ciò che hanno fatto ma vengano giudicati esclusivamente in base a ciò che sono. Sarà semplicissimo, tanto più che in parlamento la filosofa appartiene alla commissione giustizia. Sei un ladro, un assassino, un truffatore? In galera, anche se non hai mai compiuto un furto né un omicidio né un raggiro: il fatto che tu ti sforzi di non compiere questi atti disdicevoli non toglie che tu sia ciò che sei, e che il tuo modo di essere non possa essere né scelto né cambiato. Quest'accorgimento tutelerebbe a maggior ragione le persone oneste: l'onestà infatti è un modo di essere che non si sceglie né si cambia quindi, se sei una persona onesta, non importa che tu abbia ucciso tuo padre, abbia giaciuto col suo cadavere e te lo sia mangiato, il tutto in un'auto in divieto di sosta: il solo fatto che tu sia una persona onesta è sufficiente a renderti innocente perché non vai giudicato per quello che fai ma solo accettato per quello che sei.

Ingenuamente, fino a ieri sera, credevo che i rapporti sessuali fossero azioni e non modi di essere, e che io scegliessi liberamente di andare a letto con una persona o con l'altra. Stamattina ho capito invece che ci vado solamente perché sono così, e che non posso farci niente: le signorine lusingate dalle attenzioni che concedo loro a discapito delle rivali dovrebbero abbassare la cresta perché frequentarle è un modo di essere che non consente scelta. Anche il mio atteggiamento più che generoso nel lasciare che ciascuno vada allegramente a letto con chi gli pare (conosco addirittura pervertiti che lo fanno con donne laureate) in realtà è viziato alla base del ragionamento: infatti nessuno è libero di andare a letto con chi gli pare poiché tutti sono necessitati all'agire nel modo in cui agiscono per via di come sono e non c'è verso di fare diversamente ma si è come pietre che cadono dal cielo e non possono tornare su. La mia idea che tutti noi siamo composti di bene e male e portati a compiere atti buoni e atti malvagi senza che essi ci determinino per il futuro, perché nessun uomo è buono o malvagio per sempre ma anzi il buono ondeggia sempre sul precipizio del male e il malvagio può sempre redimersi compiendo una buona azione da lasciare a bocca aperta, è evidentemente erronea, razzista, omofoba e femminicida.

Scusate. Sconto in questo la mia scarsa formazione cristiana che non può eguagliare quella della Marzano. Dalle colonne di Repubblica o dagli scranni della Camera o dalla cattedra parigina la filosofa si fa esegeta della parola di Dio e domanda: "Ma chi lo chiude il proprio cuore a Gesù? Chi non fa altro che prendere atto di ciò che è oppure chi decide che deve cambiare, che ci si deve sforzare, che basta un piccolo sacrificio e poi tutto torna a posto?". Lei propende per la seconda ipotesi; io se non erro da qualche parte del Vangelo ho letto "Sforzatevi sempre di entrare dalla porta stretta, perché molti, vi dico, cercheranno di entrarvi ma non ci riusciranno", però magari era un errore di stampa e comunque per il Nobel per la teologia c'è tempo.

giovedì 4 giugno 2015

Prima ho letto Stronzology di Amleto De Silva, fratello del più celebre Diego, e ho pensato che l'editore LiberAria forse avrebbe fatto meglio a mandarlo in libreria col titolo Contro gli psicologi., meno colorito ma più efficace. Subito dopo ho letto il Repertorio dei matti della città di Milano che Paolo Nori ha curato per Marcos y Marcos con l'idea di seguitare l'antico progetto di Roberto Alajmo e produrre (vasto programma) un catalogo nazionale dei matti divisi per città. Infine ho letto i dati Eurostat secondo i quali gli italiani sono infelici della propria vita e dei rapporti umani che intrattengono e ho capito che i dati statistici dicevano la stessa cosa dei due libri: non è vero che siamo proprio infelici, crediamo solo di essere matti perché stiamo diventando tutti stronzi. Colpa degli psicologi, appunto. Ne è venuto fuori un articolo per il sito del Foglio.

mercoledì 3 giugno 2015

In linea di massima, alla Fifa meglio Optì Pobà di Alì Babà. Come nomi plausibili per la successione a Blatter, qualora Platini dovesse declinare l'invito come probabilmente farà, circolano robe tipo Ali bin Hussein o Al-Fahad Al-Sabah. Ora, Blatter faceva parte di quella schiatta di burocrati rimestatori di lungo corso cui appartiene anche il presidente della Figc Tavecchio, che alla sua prima uscita pubblica su vasta scala aveva scandalizzato i benpensanti dicendo che gli acquisti esteri delle squadre di Serie A avrebbero dovuto avere un curriculum certificato e non essere degli Optì Pobà che l'anno prima mangiavano banane e l'anno dopo servono magari a creare plusvalenze opache del tutto aliene all'oggettivo valore calcistico; si era espresso in modo pittoresco e faticoso, in linea coi propri limiti, ma sui contenuti aveva ragione. Provinciale ma efficace. I due musulmani che invece vengono proposti per il ruolo di presidenti della Fifa hanno modi suadenti e globalizzati, non dicono mai una parola fuori posto, però sono del tutto estranei alla tradizione cristiana del calcio: sport che fu inventato a Cambridge a metà Ottocento e quindi va ascritto alla tradizione vittoriana (cioè anglicana) dell'istruzione tanto intellettuale quanto fisica che era stata istituita in Gran Bretagna da Thomas Arnold, alunno del Corpus Christi (Oxford) e sostenitore dell'ala moderatamente riformista della Chiesa d'Inghilterra nota come Broad Church. Non sto a dire quanto Hussein e Al-Sabah sarebbero estranei, se non ostili, all'andazzo cattolicheggiante delle sorti del calcio di cui ho già parlato più che abbondantemente altrove; mi limito a citare qualche precedente di impegno islamico nel settore. Mi limito agli omonimi. Uday Hussein, figlio del più celebre Saddam, da presidente della federcalcio irachena si distinse per imporre torture ai calciatori della nazionale; lo sceicco Fahad Al-Ahmad Al-Sabah durante i Mondiali dell'82 in Spagna scese letteralmente in campo drappeggiandosi nel proprio lenzuolo apposta per parlare con l'arbitro e fargli annullare un goal della Francia contro il Kuwait. Il goal era regolare. Il goal venne annullato. Quanto a tempi più moderni, avrete notato che i ricconi musulmani che investono fior di quattrini nelle squadre di calcio o non riescono a farle vincere (Al-Khelaifi col Paris Saint-Germain) o snaturano le società trasformandole in multinazionali senz'anima (Mansour col Manchester City) o mollano tutto all'improvviso causando più guai di quanti ne avessero trovati all'inizio (Al-Thani col Malaga). Avrete visto anche che fine ha fatto il Milan da quando è sponsorizzato dalla compagnia aerea dell'emirato di Dubai. Avrete magari saputo che in cambio di petroldollari il Real Madrid ha levato la croce che campeggiava in cima al proprio stemma. I musulmani nel calcio portano solo guai, fidatevi, quindi pensiamoci due o trecento volte prima di consegnare la Fifa nelle loro mani supponendo che non rimpiangeremo le gaffe sui mangiabanane o sulle quattro lesbiche che giocano a calcio femminile.

[Anche su Quasi Rete]

martedì 2 giugno 2015

Canta Napoli, Napoli metaforica! Sul Foglio in edicola oggi mi accorgo che anche nel giorno in cui Gonzalo Higuain sbaglia il rigore che manderebbe la città in Champions mentre Vincenzo De Luca vince le elezioni che per buona creanza il suo partito avrebbe voluto fargli perdere, ciò che accade a Napoli non è mai fine a sé stesso ma significa sempre qualcos'altro. Mi aiutano in questa scoperta due libri, pure belli, che guardano Napoli da due prospettive opposte: dall'alto e panoramicamente Non scendete a Napoli di Antonio Pascale (Rizzoli), da sotto e nei dettagli Bestiario napoletano di Antonella Cilento (Laterza). Che sono anche due fra i migliori scrittori che abbiamo in Italia, quindi vale la pena leggerli anche se non si è del tutto d'accordo.

lunedì 1 giugno 2015

Ecco cosa si evince dai risultati delle elezioni regionali. In Liguria ci sono ottomila patrioti convinti di gemere tuttora sotto il giogo dei Savoia poiché hanno votato Liguria Libera, altrettanti annoiati che hanno scelto Liguria Cambia senza per questo spingersi all'eccesso dei quattromila temerari che hanno prediletto Progetto Altra Liguria, col rischio di trovarsi a vivere in una regione uguale identica ricostruita però altrove, magari in clima meno favorevole. A essi si aggiungono diciassettemila aristotelici, strenui sostenitori del principio di identità e di non contraddizione, che messi con le spalle al muro hanno optato per la lista Liguri; così come duemilacinquecento umbri, tutti freschi di lettura del Contratto sociale di Rousseau, come un sol uomo hanno votato Sovranità. Prudenza nel resto d'Umbria, dove milletrecento persone votano Forza Nuova, milleseicento il Partito Comunista dei Lavoratori Casa Rossa e diecimila, desiderose di trasformazioni ma refrattarie ai trasferimenti, Cambiare in Umbria. Confusione invece a Nord-Est, dove cinquantamila persone votano Indipendenza Noi Veneto (per Zaia), altrettante Indipendenza Veneta (per Morosin) e seimila Progetto Veneto Autonomo (per la Moretti), mentre tremilacinquecento moderati, volendo sostenere Tosi, accordano la propria preferenza a Veneto Stato Razza Piave. La mia regione resta tuttavia il più ribollente laboratorio politico d'Italia. Fa infatti notizia che in Puglia ci siano quarantamila leghisti ma dovrebbe fare ancor più notizia la scoperta che un pugliese su mille voti il Partito Liberale Italiano e uno su duecento il Partito Comunista; non sono pervenuti i dati riguardanti Psdi, Psiup e Lista Giolitti. Novemila persone si sono riconosciute in Puglia Nazionale, movimento plausibilmente nato dall'onda delle proteste per la mancata convocazione di Cassano, mentre seimilaseicentosessantasette pugliesi hanno apposto la fatal crocetta sullo stemma che recava la dicitura Pensionati Invalidi Giovani Insieme. Alcuni di loro sono tutte e tre le cose.