giovedì 30 aprile 2015

Ricco scemo (4)

Scrivo queste righe il 30 aprile e voi direte: che ce ne frega? Avrete anche voi il calendario, magari di Frate Indovino. Guardatelo allora e noterete che il santo di oggi è San Pio V, il papa fondatore che si chiamava Antonio Michele Ghislieri. (Sì, Antonio come me, Michele come Briganti, Ghislieri come la squadra di calcio). Per la Chiesa Cattolica è memoria facoltativa. Per noi anche, visto che in Collegio san Pio viene tradizionalmente festeggiato non nel giorno del martirologio ma durante una domenica di maggio con un pranzo fra alunni ed ex alunni di età anche veneranda nel nostro quadriportico cinquecentesco, roba che Casa Milan in via Aldo Rossi se la sogna. Proprio l’altra sera, a cena con l’ex alunno di un altro collegio pavese di cui no quiero acordarme, meditavamo su come ancora mezzo millennio dopo il carattere dei collegiali sia modellato su quello dei rispettivi fondatori: i nostri rivali sono quindi dei [CENSURA], noi invece, avendo preso dal Papa fondatore che i monumenti eternano come turcorum victor e haereticorum oppugnator, siamo iperattivi, estremizzanti e costantemente un po’ incazzati (come il personaggio dell’automobilista di Gioele Dix).

Ma oggi 30 aprile, giorno dell’ultima e decisiva partita del girone eliminatorio, oltre alla mano del Pio credo ce ne darà una colui che, se fossi costretto a scegliere, nominerei seduta stante protettore del Ghislieri Fooball Club. Lo scorso 25 aprile Sergio Mattarella ha concesso un’intervista a Repubblica in cui citava a modello il servo di Dio Teresio Olivelli, resistente e naturalmente ghisleriano. Le testimonianze della sua vita in collegio raccontano la sua passione in un modo che apparirà vivido anche a chi non ha sott’occhio i luoghi della sua vita quotidiana. Passava buona parte della mattinata in sala caffè da gran lettore dei quotidiani; diviso fra interessi contrastanti, aveva bisogno che l’allora Rettore lo incitasse a canalizzare le sue energie magmatiche verso obiettivi concreti nello studio della giurisprudenza; fascista convintissimo negli anni dell’università, pugnace dissertatore in lunghe notti in camera di studenti che la pensavano diversamente; sempre tanto cattolico, in modo divorante; e, naturalmente, grande animatore delle sfide calcistiche ad altri collegi, in particolare uno che proprio non mi viene in mente. Finito il tempo del collegio Olivelli divenne ufficiale degli alpini, combatté in prima linea e divenne antifascista nello stesso modo sincero e intenso in cui era stato l’esatto contrario. A guerra in corso, ventottenne, venne chiamato a fare da Rettore lui stesso per sopperire all’emergenza e accettò di corsa per amore di Collegio; durò pochissimo poiché venne presto internato nel lager di Hersbruck e lì morì, pestato dai nazisti, nel tentativo di difendere i compagni di prigionia dai carcerieri. In Collegio c’è un quadro che lo raffigura in camiciona a righe – diritto e con un fiero guardo di sfida verso la cornice sinistra - mentre gli si aggrappano addosso deportati che cascano uno a uno. Lo spirito del Ghislieri è così.

[Il resto della rubrica su cosa si prova a essere presidente di una squadra di calcio universitaria si trova, col contributo del mister Michele Briganti, come sempre su Quasi Rete.]

mercoledì 29 aprile 2015

L'abolizione del matrimonio e l'amore alla boia di un giuda. Donne rovinate dalla laurea e battesimi in tabaccheria. Come il 1974 ha trasformato la camera matrimoniale in corridoio e come il divorzio breve ci renderà tutti un po' più scemi istituendo la carriera sentimentale. Sul Foglio in edicola oggi, dialogo fra trentenni bellissimi - Simonetta Sciandivasci e io - su perché non ci siamo sposati.

Per ignavi e tirchi, questa diatriba un po' millennial e un po' controriformista si trova anche online.

martedì 21 aprile 2015

Giù la maschera, Oxford! Sul Foglio in edicola oggi, inchiesta letteraria su lavoro, potere, soldi, sesso e morte nella più antica università inglese; collegi veri e collegi immaginari, town & gown, il marchio registrato e i venticinque colori che si abbinano all'Oxford blue. Un paginone con dentro Martin Amis, Javier Marias, Naomi Alderman, Ian McEwan, Evelyn Waugh, Thomas Hardy e purtroppo anche Harry Potter.





domenica 19 aprile 2015

Ricco scemo (3)

Il Collegio Ghislieri di Pavia è un’istituzione patrocinata da una novità della storia politica d’Italia – il presidente della Repubblica – ma che affonda le radici in un’antichità ben più vasta e prestigiosa, essendo stato fondato nel 1567 da Pio V, pontefice che quattro anni dopo organizzò la lega che sbaragliò la flotta turca a Lepanto e fu canonizzato nel 1712. Nella sua plurisecolare esistenza il Collegio ha visto transitare in visita capi di Stato e di governo, Einaudi come Mussolini come Napoleone; e fra gli alunni non si contano i nomi celebri tanto per il vasto pubblico, quale ad esempio un Carlo Goldoni, o uno Zanardelli, quanto per palati più fini e specialistici, e che non mancano scorrendo elenchi di ministri o accademici o professionisti vivi e morti di notare di fronte a questo o quel notabile: “Ah, è ghisleriano”. Gode il Collegio non solo delle fondamentali infrastrutture volte a garantire agli alunni in corso una vita più che comoda per quanto non molle, in cambio di un elevato rendimento negli esami universitari, ma anche di incentivi all’eccellenza accademica a cominciare da un frequente e costruttivo scambio con l’estero: le prime borse per l’America furono istituite negli anni ’30 (avete letto bene; intorno all’anno X dell’era fascista) e gli scambi con Cambridge, Oxford, la Normale di Parigi, il Maximilianeum di Monaco e altri atenei sparsi per il mondo sono seguiti a ruota. Inoltre gli alunni per tradizione beneficiano di un’indefessa attività culturale – convegni, conferenze, presentazioni – che non solo si espande su tutto lo scibile ma viene sovente lasciata alla libera organizzazione degli studenti stessi, ai quali viene messo a disposizione tutto ciò di cui possono avere bisogno perché ne facciano libero uso. Potrei continuare fino alla fine dello spazio disponibile su internet ma per modestia mi fermo non prima di avere, premesso questo, specificato due cose rivolgendomi ai miei giocatori: che dalla prossima partita mi inchiavardo alla panchina e muoio della stessa morte vostra, senza impegni pregressi che tengano; che tutte le volte che vi capita una sconfitta pensate sempre che perdiamo per manifesta superiorità.

Il resto della rubrica, "Luci al Mascherpa" di Michele Briganti, è come sempre su Quasi Rete della Gazzetta dello Sport, con un interessante inserto cinematografico.

sabato 18 aprile 2015

Macbeth che porta sfiga, Amleto che tiene un teschio in mano, Shakespeare che non cancellò mai una riga (e forse non esisteva). Sul Foglio in edicola oggi parlo di un libro di due studiose di Oxford - Laurie Maguire ed Emma Smith - su trenta modi in cui Shakespeare può influire sulla vostra psiche. Ospiti d'onore, Peter O'Toole, Ben Jonson, Marcel  Proust e i Simpson.

Anche online, a pagamento.

mercoledì 8 aprile 2015

Ricco scemo (2)

Dice: la squadra perde, sei il presidente, caccia l’allenatore. Fra i motivi per cui non esonero Briganti nonostante la sconfitta contro il Valla (o era il Volta? tutto si perde nell’indistinto, in un misto fatale di snobismo e alzheimer) metto al primo posto l’evenienza che dei personaggi dei Peanuts quello che meno sopporto è proprio la saputissima Lucy. Costei è convinta che la colpa delle sconfitte sia dell’allenatore e non, poniamo, del fatto che nella sua squadra di baseball giochi un celebre bracchetto e in quella di football americano tale Woodstock, il quale trattandosi di un canarino si trova in gravi difficoltà ogniqualvolta ci sia da calciare una palla ovale grande ventisei volte lui. Abitualmente la colpisce con una pedata tremenda ed essa resta ferma, imperturbabile. Fra le colpe di Lucy non va sottovalutata quella di incitare Charlie Brown al calcio piazzato, quando non tocca a Woodstock, sempre poi sottraendogli proditoriamente la palla ovale onde causarne il liscio e il volo con atterraggio di schiena sulla torba e danni al midollo spinale che solo un Fabio Caressa sarebbe in grado di diagnosticare a occhio, in diretta. In secondo luogo Briganti allena gratis: quindi perché esonerarlo? Senza contare che pur demansionato continuerebbe comunque a venire a vedere le prossime partite occupando nondimeno un posto in automobile; senza contare che a partita in corso mi manda gli aggiornamenti sul punteggio stante i miei pressanti impegni che quest’anno ancora non mi hanno consentito di presenziare se non in spirito e stante la mia incapacità di scaricare la app Live Intercollegiale fatt’apposta per il torneo in questione; e che a partita finita si scrive pure da solo il pezzo di commento, sicuramente memore delle gesta di quel Vittorio Pozzo che allenò l’Italia dal 1929 al 1948 vincendo due Mondiali, un’Olimpiade e due Coppe Internazionali, e nel frattempo fu corrispondente calcistico e autorevole commentatore tecnico per La Stampa. La società ha fiducia nella sua capacità di prendere esempio anche quanto a successi sportivi. Infine esonerare Briganti significherebbe dover dirottare uno qualsiasi dei calciatori a dare istruzioni in panchina aggravando la grave penuria di risorse umane dalla quale siamo afflitti, tanto che l’altra volta abbiamo ottemperato al tradizionale non scritto di fornire un guardalinee alla terna mettendo la bandierina in mano a una ragazza e dandole per unica istruzione: “La bandierina è gialla e rossa come noi, quindi sventolala per fare il tifo”.

Estratto dalla seconda puntata della rubrica "Luci al Mascherpa" con cui Michele Briganti aggiorna sul torneo intercollegiale di calcio dell'Università di Pavia i lettori di Quasi Rete / Em Bycicleta, blog letterario della Gazzetta dello Sport.