lunedì 28 febbraio 2011
venerdì 25 febbraio 2011
giovedì 24 febbraio 2011
mercoledì 23 febbraio 2011
martedì 22 febbraio 2011
lunedì 21 febbraio 2011
mercoledì 16 febbraio 2011
martedì 15 febbraio 2011
lunedì 14 febbraio 2011
venerdì 11 febbraio 2011
Beati voi che siete in Italia e che potete quindi prendere l’automobile, il treno, l’elicottero, lo yacht e precipitarvi al teatro Dal Verme di Milano, dove domani mattina (ore 10:30, ingresso libero) si terrà la manifestazione “In Mutande Ma Vivi” organizzata da Giuliano Ferrara non per difendere Berlusconi, che sa difendersi benissimo da solo, ma per contestare l’esistenza di una casta di catari, la legittimità di una minoranza etica che intenda dettare le proprie ragioni a una maggioranza che non si ritiene altrettanto migliore, la nascita di un’Italia in cui ogni magistrato possa sentirsi in diritto di rovistare nelle mutande altrui (e per esperienza diretta posso testimoniarvi che nelle mutande altrui si rinviene sempre qualcosa). Io sono in Inghilterra quindi non potrò essere presente, e mi piange il cuore. Pazienza, vorrà dire che continuerò la mia quotidiana e individuale manifestazione contro quest’isola puritana come certuni vorrebbero che l’Italia diventasse; contro questa nazione che s’è disfatta di un buon ministro come David Blunkett reo soltanto di avere un’amante più bella di quella che i suoi detrattori avrebbero mai potuto permettersi; contro questa città ricca di una classe intellettuale che cerca di ficcare Berlusconi in una delle due metà della lavagna protestante divisa in buoni o cattivi – quando invece Berlusconi è chiaramente, esteticamente, etimologicamente cattolico perché vuole tutto. Se avessi potuto andare al teatro Dal Verme e avere un minuto soltanto per parlare, avrei recitato tre versetti del Nuovo Testamento, libretto validissimo benché non scritto da Saviano. San Paolo ai Romani 14, 10: “Ma chi sei tu per giudicare tuo fratello? Tutti ci presenteremo davanti al tribunale di Dio”. Giovanni 8, 7: “Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra”. E, caso mai ci fossero ancora dubbi, Marco 10, 18: “Nessuno è buono, se non Dio solo”. Infine per soprammercato aggiungerei un glorioso stornello di Giuseppe Gioachino Belli: “Ffior de limone, / si Ccristo nun perdona a le puttane / er paradiso lo po’ dda’ a ppiggione”.
giovedì 10 febbraio 2011
Viva Aldo Busi! Invitato da Alba Parietti all’ultima sua trasmissione su La7 che non so manco come si chiami, apparendo quale ospite teoricamente ignoto di là da un separé probabilmente in acciaio inox, Busi s’è sentito accogliere dalla bella presentatrice (oh, a me piace ed è sempre piaciuta) con la battuta: “Ma mi avevano detto che era un uomo!”. Al che Busi ha perso le staffe e ne aveva ben donde, perché non si può introdurre con una presentazione del genere uno scrittore come Aldo Busi, l’autore di Seminario sulla gioventù e Vita standard di un venditore provvisorio di collant che restano due dei picchi più elevati raggiunti dalla narrativa italiana contemporanea abitualmente invece lamentosa e banale (recentemente ho letto La delfina bizantina e l’ho trovato meno convincente per quanto scritto benissimo). La prosa di Busi è oggettivamente irreprensibile e ciò va oltre il fatto che sia omosessuale o che mantenga residenza fiscale a Montichiari (BS) o che si piazzi in testa un cesto di frutta e canti “La notte è piccola per noi, troppo piccolina”. E per un minuto, vedendo Busi stesso accanirsi contro la Parietti dicendo che non si può accogliere così uno scrittore come Aldo Busi (egli ha la tendenza di parlare di sé in terza persona, come Giulio Cesare e Maradona), ho sperato di assistere alla repentina rivincita della complessità letteraria sulla banalità televisiva, che deve per forza masticare tutto in formule preconcette onde preservare il telespettatore dal contatto con la realtà oggettiva presentandogliela già digerita e innocua, nella fattispecie negando che Busi sia uno scrittore da capogiro (almeno il primo Busi, io vado in ordine cronologico e per ora sono arrivato al suo terzo romanzo) e non un finocchio da operetta. La speranza però è durata un solo minuto, il tempo esatto in cui Busi paonazzo dall’ira ha strillato che lo scrittore Aldo Busi merita tutt’altro trattamento perché (parafraso, lui è stato più raffinato) è uno scrittore coi controcazzi e coi controcanguri. Dopo di che, forse anzi sicuramente infettato dall’occhio vigile e muto della telecamera, ha abbandonato la porta stretta e s’è lanciato nel pigro mainstream della lamentela omosessualista, asserendo che l’omosessualità è civiltà (perché? se io, a contrariis, vado a letto con una donna compio forse un atto incivile?) e che lui ha lottato per l’omosessualità da quando aveva tre anni e ora ne ha sessantatre (e se non avesse lottato, non meriterebbe comunque rispetto un autore sessantatreenne?), eccetera. Tuttta roba per la quale abbandonava l’orgoglio ferito e veritiero del singolo scrittore di genio che si sente ridotto a macchietta e si caricava sulle spalle la macchietta stessa di rappresentante dell’omosessualità nel piccolo schermo, ragion per cui – ma solo eccezionalmente in questa circostanza – abbasso Aldo Busi.
mercoledì 9 febbraio 2011
Io quando sento quelli che mi dicono: “Che figura ci fa fare Berlusconi, chissà come ci giudicheranno all’estero”, rispondo sempre che all’estero di Berlusconi in realtà se ne fregano, o meglio sospendono ogni capacità di giudizio razionale e lo criticano per sentito dire, basta leggere gli articoli in questione e notare che sono la traduzione di un collage di pezzi della stampa progressista che poi a sua volta ritraduce il tutto in Italiano a riprova del grande sdegno suscitato da Berlusconi in ogni angolo del globo. Rispondo anche che chi lo critica d’abitudine, come fa la stampa inglese, lo critica basandosi su un cliché anti-italiano che si ripercuote ben oltre Berlusconi e affonda le proprie radici ben prima di lui. Ma d’altronde cosa posso saperne dell’estero io che vivo in Inghilterra e non godo della prospettiva privilegiata che hanno loro dall’Italia?
martedì 8 febbraio 2011
Allora, questa Nicole Minetti: riesce a fare girare la testa anche a chi non la sopporta. [Di qui in poi ciò che scrivo è fasullo] Ho notato che il progressista medio, quando vuole muovere una critica a questo reo secolo, porta avanti sempre due esempi in parallelo. Uno è Nicole Minetti. L’altro è la legge elettorale, che senza preferenze non consente di eleggere i propri rappresentanti in parlamento ma li fa nominare con oscuri magheggi da un’oligarchia composta in buona sostanza da tre persone che iniziano con la B. E l’esempio classico a questo punto, caschi il mondo, è proprio Nicole Minetti: che solo per essere stata l’igienista dentale (non già mentale) di Berlusconi, per non dir peggio, ha ottenuto un seggio pronto alla regione Lombardia; non fa una grinza. Qui casca l’asino, cioè il progressista: perché la regione Lombardia, così come ogni regione d’Italia, elegge i propri rappresentanti esprimendo regolare preferenza. Quindi Nicole Minetti è stata votata dagli elettori che hanno scritto il suo nome sulla scheda e non dagli oscuri magheggi di chi s’è limitata a candidarla. Se gli elettori non avessero messo la croce sul simbolo e non avessero scritto “Minetti” a caratteri stampatelli, non ci sarebbe nessuna Nicole Minetti al parlamentino longobardo. All’inverso, se per assurdo una trota venisse candidata al consiglio regionale della Lombardia e i lombardi si precipitassero in massa a votare per essa, la trota avrebbe pieno diritto di sedere nel consiglio regionale della Lombardia. [Di qui in poi ciò che scrivo è veritiero] Nulla da eccepire se non, dal mio punto di vista, questo: va bene la mamma inglese, va bene che erano gli anni ’80, ma esistono davvero preti che accettano di battezzare una bambina Nicole?