(Gurrado per
Ore Piccole)
Costano quindici centesimi l’uno, tanto per dire, i messaggini che di giorno in giorno inviate a signorine che non vi rispondono, o che se vi rispondono sarebbe meglio se non vi rispondessero, o che peggio ancora mandate alla signorina sbagliata, causando sconquassi che non si possono riparare nemmeno con centocinquanta euro (con quindicimila, forse sì). Costa altrettanto, quindici centesimi esatti esatti, ciascuno dei 10 Racconti per voi (così recita la copertina, arricchita da una terracotta di Marco Cornini) riuniti in occasione del ferragosto sull’ultimo numero de
Il Domenicale da Davide Brullo e Beatrice Buscaroli.
In totale, dunque, un euro e cinquanta. Tutto questo diffondermi sul vile denaro perché mi sembra particolarmente rimarcabile (brutto e inutile francesismo, questo) che sia possibile acquistare tanta qualità in un sol colpo a poco prezzo; e quindi non parlo di soldi per fare l’ennesima figura da uomo gretto e reazionario, ma tutt’al più per evitarvi la fatica di spedire messaggini fatui a signorine inutili: sono umanitario, io. Il valore aggiunto del numero del Domenicale uscito sabato scorso è costituito, di là dai rintocchi di ammirazione che inevitabilmente causano i nomi dei dieci autori (ci sono Bowles, Döblin, Dossi, Faulkner, Quiroga, etc.), dall’evenienza che si tratti in ogni caso di testi difficilmente reperibili, circostanziati storicamente da un breve profilo dell’autore e iconograficamente da opere varie di artisti postmoderni.
Horacio Quiroga (1878-1937), ad esempio, è uno dei più editorialmente fortunati. Il suo “Mio figlio caccia nella giungla” è stato riproposto l’ultima volta dagli Editori Riuniti nell’antologia Anaconda; questa storia di un padre visionario e di un figlio troppo coraggioso fa venir voglia di andare a cercare altri racconti di quest’autore dalla prosa limpida e dall’aggettivazione scarna, ma il catalogo dei libri in commercio mi informa che l’ultima ristampa di Anaconda risale a dieci anni fa e che forse – forse – è meglio andare a cercarlo da qualche remainder. Insomma, la bancarella.
La sorte di Jean Richepin (1849-1926) è decisamente peggiore. Smodatamente elogiato dai suoi colleghi del tempo (Rimbaud, Verlaine…), venne al contempo oscurato dalla loro stella, quasi inevitabilmente. La breve biografia che accompagna “La tragicomica fine di Guignard” informa che Richepin fu scaricatore di porto e accademico di Francia; così come la distrazione di un incisore muta l’iscrizione sulla lapide di Guignard e di conseguenza il giudizio sulla sua intera vita, una progressiva dimenticanza postuma contrappesa il favore dei contemporanei con la completa sparizione di Richepin dagli orizzonti editoriali nostrani. L’ultima traduzione italiana delle Morti Bizzarre risale al 1989, sempre per gli Editori Riuniti, ed è beatamente fuori commercio.
Carlo Dossi (1849-1910), per fortuna, vive ancora degli studi filologici di Dante Isella e di qualche pagina sui manuali dei licei, benché inadeguata alla grandezza della sua prosa. Se la (bellissima) edizione Adelphi del volumetto Amori ha compiuto ormai trent’anni, il classico “Ho amato la regina di cuori” può tuttavia venire trovato nelle edizioni collettive del 1995 (ancora Adelphi) e del 2004 (Utet); per non parlare delle numerose altre opere che ancora si possono trovare correntemente sugli scaffali, nonostante gli ardimentosi tentativi di librai e bibliotecari per celarle allo sguardo dei clienti. Pur in tanta ridente fortuna editoriale, la paginetta del Domenicale dedicata al racconto di Dossi serve a non farlo rinchiudere nella soffitta dei fenomeni bizzarri ma a lasciarsi trascinare dalle sue sorprendenti immagini e dagli accenti scanditi (“E allora pigliài l’abitùdine di mèttermi…”), a innamorarsi con lui della donna di cuori e della Madonna e di un quadro negletto. Nonché a rendersi conto di quanto meglio scriverebbero i nuovi autori italiani, se prima lo leggessero.
Anche Paul Bowles (1910-1999), purtroppo, lo conoscono tutti. È l’autore del romanzo da cui Bernardo Bertolucci ha ricavato Il tè nel deserto, e fin troppo celebre sotto questo aspetto. Come capita non di rado agli autori diventati famosi per il cinema, la troppa gloria di una sola opera sommerge tutte le altre, così che – nel caso specifico – passi sotto silenzio una perla grezza come “La disfida dei quattro teologi”, disputa islamica fra un francescano, tre rabbini e forse il diavolo (anche se non si capisce bene da che parte stia). La raccolta che lo contiene, Punti nel tempo, è relativamente recente (Anabasi, 1994) ma è immancabilmente fuori commercio; se riuscite a dissotterrarla da qualche parte farete un doppio affare, anche perché il traduttore è un maestro: Massimo Bocchiola.
Al centro, sul paginone che dà lustro a qualsiasi rivista (pensate alle signorine immortali nel bel mezzo di Playboy) c’è non solo, languidamente sdraiata, una donna nuda (appunto) di terracotta, ma il racconto più lungo (e quindi più articolato, e impegnativo, e prestigioso) di tutta la raccolta: “Settembre arido” di William Faulkner (1897-1962). Su una trama magra – una zitella viene violentata; un nero viene incolpato; un barbiere tenta di difenderlo – la capacità affabulatoria di Faulkner ricama un ripido madrigale dal quale il lettore ricava, come da tutti i suoi scritti, la sensazione di trovarsi di fronte a qualcosa di molto più grande del contenuto stesso del racconto, come se da quel minuscolo, e in fin dei conti insignificante, pertugio, Faulkner volesse mostragli un panorama onnicomprensivo dell’animo umano. Ma questo lo sa chiunque abbia letto una qualsiasi delle opere più diffuse di Faulkner: anche perché, se questo chiunque volesse cercare questo racconto nelle Otto storie della contea di Yoknapatawpha (Garzanti, 1993), dovrebbe affidarsi ancora una volta ai rigattieri. Oppure cercarlo nei Meridiani, sempre ammesso che lo trovi (il titolo Opere scelte non promette bene, sinceramente).
Per quel che riguarda Runoshue Akutagawa (1892-1927), invece, non c’è speranza alcuna. Rashomon e altri racconti, tradotto nel 1988 dalla Tea, è manco a dirlo fuori commercio; il catalogo inoltre informa che la smilza edizione dei Racconti fantastici (Marsilio, 1995) è – testualmente – di difficile reperibilità. Tradotto, significa che “Il rapporto di Rosai Ogata” scelto dal Domenicale per la sua antologia resterà (nelle mie letture e nelle vostre) molto verosimilmente senza compagnia; ed è un peccato, per la leggera e al contempo quasi corrucciata ironia con la quale rovescia le convinzioni d’Occidente, riducendo il Cristianesimo a eresia che va estirpata, e i miracoli a testimonianze diaboliche.
Alan Wolfe, Barry Wolfe, ovviamente il grande e candido Tom Wolfe, Michael M. Wolfe, Donald H. Wolfe… per avere notizia di Thomas (non Tom) Wolfe (1900-1938) sul catalogo dei libri in commercio bisogna risalire fino all’edizione 1997 (Fazi) di Storia di un romanzo. Poi Stephen L. Wolfe, John H. Wolfe, Gene Wolfe, Charles Wolfe… per avere notizia di Dalla morte al mattino (SE, 1988), la raccolta che comprende l’antologizzato “Impressioni sul circo, all’alba”, bisogna affidarsi presumibilmente a una seduta spiritica.
Così come pare sparito dalla circolazione Nicola Lisi, di cui vengono proposte tre storielle di monaci, tentazioni, meli indemoniati e farfalle provocanti; che (sonerà banale ma è così) come le ciliegie fanno venir voglia di leggerne ancora e ancora, rinchiudersi in cento altri conventi ed essere testimoni di altri mille combattimenti spiccioli fra l’ingenuo bene dei fraticelli e il male multiforme negli infiniti e microscopici sotterfugi del diavolo. Fra i quali sotterfugi si può annoverare, senz’ombra di dubbio, la disastrata bibliografia dei libri di Lisi in commercio: due titoli appena, uno del 1993 e uno del 2002, per i tipi di case editrici particolarmente diafane, così che i redattori del Domenicale hanno dovuto ripescarne i tre racconti dall’opera omnia edita da Vallecchi nel 1976. Fortuna che s’è tentato di fronteggiare con un saggio su Lisi che l’editrice San Paolo ha risuscitato nel 2004, ma si trova nella disgraziata e paradossale posizione di essere un invito alla lettura di un autore che non si può leggere; urge rimediare (eventualmente, ad esempio, rassegnandosi a pubblicare meno libri di Luciana Littizzetto, contro la quale non provo alcun astio ma che ora come ora ha in commercio sette titoli, un po’ troppi per non vederci l’orma dello zoccolo diabolico).
E poi ancora dicono che i cinesi stanno invadendo il mercato italiano. Lu Xun (1881-1936) sarà pure – spiega la nota biografica – il padre della letteratura cinese moderna ma i racconti che il Domenicale ha tratto da Erbe Selvatiche (Scheiwiller, 1994) sono spariti nel nulla. Niente altre metafore fulminee, dunque, niente più anime che vogliono divorziare dai corpi d’ordinanza, niente più fidanzate isteriche che mettono inspiegabilmente il muso al proprio amato dopo averne ricevuto in dono un candito appiccicoso, un gufo impagliato, un serpente velenoso e una confezione d’aspirine.
Ultimo arriva Alfred Döblin (1878-1957). Conclude l’antologia con lo struggente “La ballerina dal corpo di pezza”, cronaca solfeggiata di una malattia che è al contempo guerra continua con la fisicità stessa che ognuno di noi si porta appresso. Chiusura in grande stile, indubbiamente, come in grande stile è stata condotta tutta la raccolta; e poiché aveva ragione Quello, beati gli ultimi, ecco che Döblin può vantare un’edizione 2004 de L’assassinio di un ranuncolo e altri racconti: il merito è dell’editore Passigli, gli siano rese grazie.
Roba che non si trova facilmente, dunque; e se una fidanzata più capricciosa di quella di Lu Xun vi costringesse a mettere insieme tutto il florilegio di volumi che abbiamo citato, correreste il rischio di spendere assai in antiquariato, o più verosimilmente di tornare con le mani mezze vuote. Per questo vi conviene precipitarvi in edicola, evitando di lasciarvi prima travolgere da tutto il caravanserraglio di riti ferragostani: la coda in autostrada, la ginnastica sul bagnasciuga, il concorso di Miss Bikini e soprattutto la decina di messaggini che l’ozio fa partire verso le destinazioni più tragicamente indifferenti. Risparmiateli e accaparratevi una copia del Domenicale, prima che i dieci racconti tornino a essere una rarità: dal 24 agosto il numero che li riunisce non sarà più in edicola.