domenica 30 novembre 2014

Exegi monumentum secondo Costanza Miriano, che è la più complimentosa e su twitter sponsorizza il mio pezzo sulla resa amara dei cattolici e sulla preparazione alla vita nei boschi, uscito venerdì sul Foglio, definendolo magnifico, magistrale, monumentale per amor di anafora consonantica. Qualcuno le risponde dicendo che manca l'apologia del Sillabo e di Torquemada, nonché accusando (non si capisce se lei o me) di avere per eroe Vladimir Putin, il cui nome evidentemente emerge da una lettura cabalistica della combinazione alfanumerica dell'articolo in quanto non viene mai tirato in ballo.

Poiché non è necessario andare d'accordo per leggere commenti sensati, Michela Murgia argomenta su facebook: Antò, come sempre contribuisci alla mia riflessione anche quando ne sei lontano anni luce, se non fosse che l'evocazione del "non praevalebunt" sottende l'inscalfibile presunzione che sulla barca di Pietro ci sia il TUO sentire, in splendida solitudine o in risicata compagnia. A volte penso che questa facilità ad ascrivere tra i marosi minacciosi chi la pensa altrimenti sia una voluta menomazione del ruolo evangelico di Cristo nell'ultimo giudizio: i capri dalle pecore e il loglio dal grano non spetta a noi separarli qui, pena notevoli sorprese. Lo stesso vale per il commento di uno studente di Oxford che non ritiene pericoloso sporgersi: Solidarietà. Il "pensiero unico" - nello specifico, il presentarsi come "buon senso" negando la dimensione ideologica, e come "in pericolo" nonostante stia stravincendo in tutto l'occidente - è insopportabile pure per me che in buona parte vi aderisco. Come "nemico" dev'essere sconfortante.

Sul sito Notizie Pro Vita (direttore Antonio Brandi) il mio pezzo viene riportato per intero ma con l'aggiunta di una postilla mutuata da Tolkien, secondo il quale è giusto combattere per il buono che c'è nel mondo: Ha ancora senso difendere la vita, la famiglia, la natura razionale dell’umanità? Antonio Gurrado è un collaboratore de Il Foglio che ha pubblicato recentemente sul suo blog una riflessione profonda e amara a proposito di coloro che sui temi etici (ancora) difendono i “valori non negoziabili” come tali. Ci sembra meritevole di considerazione anche da parte dei nostri lettori. Vorremmo solo provare a dargli una coloritura un po’ più ottimista. Se è vero e sottoscrivibile che c’è tutto il male che l’autore descrive, noi crediamo altresì, e ne siamo convinti, che “c’ è del buono in questo mondo”. C’è una maggioranza silenziosa che non si lascia traviare dalle idee che in senso lato vanno contro la natura, perché sono irragionevoli, e l’uomo è un soggetto razionale.

Fra i commenti giunti alle pagine virtuali del Foglio, qualcuno approva, qualcuno ribatte di non avere intenzione di arrendersi perché la vita è una lotta, qualcuno tira con grande pertinenza in ballo la sentinella in piedi travestita da nazista, qualcuno dice che costringere per legge a non peccare non è cristiano, qualcuno sostiene che anziché parlare di resa amara e whisky Ferrara dovrebbe parlare di Patrizia D'Addario, lasciando intendere che "Antonio Gurrado" sia lo pseudonimo del direttore, prospettiva lusinghiera ma temo discrepante alquanto dalla realtà dei fatti. Ieri sono inoltre state pubblicate due lettere sull'edizione cartacea mirabili per sintesi, e le riporto per intero. Mark Bosshard scrive: Sull’amara resa di Antonio Gurrado. La pura – e triste – verità. Aggiungo solo una cosa, ovviamente in peggio: questa cultura porta come sottoprodotto inevitabile una crescente invasività dello stato nella sfera privata (non foss’altro perché lo stato deve finanziare con le tasse la trasformazione in diritto di qualunque pretesa avanzata dalle varie minoranze). Dunque – per molti – la prospettiva è ben peggiore di quella che viene prefigurata nell’articolo: il “buen retiro” è consentito infatti solo ai conservatori che se lo possono premettere, mentre tutti gli altri dovranno sputare sangue per il resto della loro vita per finanziare le pretese insaziabili di un modello di società che detestano. Dunque, per i primi c’è solo il danno (morale), per i secondi anche la beffa (economica). Ilio De Santis, invece: Su Gurrado. Tutto limpido, giusto e sacrosanto. Ma osservare il mondo credendo di essere parte del “resto d’Israele” appare terribilmente snob.

Molti, i più intelligenti, meriterebbero repliche e precisazioni ma uno che si arrende a fare, se poi deve anche rispondere?

venerdì 28 novembre 2014

Arrendiamoci, siamo circondati. Sul Foglio di oggi (sia in edicola sia sul sito) la mia risposta all'editoriale antiabortista di Giuliano Ferrara, in cui ammetto il fallimento di un'intera generazione di militanti cattolici e mi preparo alla vita nei boschi, un po' Walden un po' Drieu La Rochelle.


mercoledì 26 novembre 2014

Ho letto e riletto più volte l'editoriale di Giuliano Ferrara sul Foglio rosa di lunedì scorso, trovandolo amaro ben oltre l'intenzione di stigmatizzare il diritto ad abortire rivendicato in copertina da Internazionale, settimanale di gran tendenza aduso a darsi ragione da sé. L'aborto è solo l'aspetto più cruento di una posta in gioco più alta che coinvolge tutto quello che abbiamo – noi che in senso lato possiamo dichiararci militanti di una minoranza conservatrice – detto e fatto in questi ultimi dieci anni. Gli eventi ci hanno scalzato al punto che adesso il mantenimento di una posizione benché coerente non allineata al pensiero unico abortista, femminista, omosessualista, giustizialista, animalista, terzomondista, pacifista, accoglientista e sincretista ci interdice non solo il patentino di credibilità in un contesto intellettuale che ha smesso di ragionare da tempo perché troppo occupato ad autoalimentarsi creando sempre nuove mozioni d’impegno à la page alle quali tutti devono accostumarsi, foss’anche a costo di abdicare alla realtà dei fatti; ma ci pregiudica altresì il normale espletamento delle funzioni sociali, umane. Oramai sostenere idee minoritarie benché assennate implica quest’alternativa: o venire presi per provocatori prima e scemi poi, se non istigatori al crimine, dagli abituali consessi all’interno dei quali si vede progressivamente svanire la concreta speranza di essere ascoltati e compresi, se non amati; oppure rinchiuderci in club diametralmente opposti e stagni, e da cattolico italiano so bene quanto i cattolici italiani riescano a essere noiosi e ottusi e ripetitivi oltre che codini quando non ipocriti e tiepidi.

Ho vissuto anni in Inghilterra vedendo erodere ogni settimana un po’ della libertà di dire ciò che si pensa, di puntare il dito contro il re nudo, di non negare l’evidenza più lampante. Per timore di offendere qualsiasi tipo di minoranza gli inglesi hanno sortito l’effetto di creare una nuova minoranza ammutolita e perseguitata, composta da tutti coloro i quali non fanno parte di nessuna di queste minoranze intersecate e sovrapposte che si sono trasformate in vacche sacre e scodinzolano dispoticamente. Sono tornato a vivere in Italia e qui assisto all’identica differita, patrocinata da lenzuolate stucchevoli e dementi campagne di hashtag, giornate contro e giornate a favore di incommensurabili cazzate, acquiescenza all’idea che se un uomo uccide una donna compie un atto diverso e più grave rispetto alla donna che uccida un uomo; all’idea che si sia all’improvviso maturato il diritto di sposarsi a piacimento e di ottenere tutto ciò che si desidera; che abbia ragione una Boldrini per la quale le donne sono talmente uguali all’uomo da essergli superiori e non un Erdogan per il quale è sconsigliabile mettere nelle mani di una donna la stessa zappa dell’uomo e imporle di zappare egualitaristicamente; che la nostra civiltà e l’altrui sono consimili e interscambiabili, con le decapitazioni quale pittoresco incidente di percorso; che gli invasori siano migranti e quindi una risorsa, come lo furono i barbari per rinnovare l’Impero Romano; che un figlio sia un fastidio sulla strada della luminosa carriera della madre e della sua libertà di spendere denaro per fini più nobili; che Dio non esista perché non tutto va per il verso che vorremmo; che la fede sia una prospettiva privata, un occhiale colorato per vedere il mondo rosé; e infinite altre scempiaggini che si tengono l’un l’altra per mano come le fisarmoniche di giornali ritagliati a forma di omino, e che chissà quante altre se ne porteranno appresso in anni futuri e prossimi che non sono sicuro di voler vedere.

Non certo da militante. Per dieci anni abbiamo suonato il flauto per persone che non hanno ballato, abbiamo cantato un lamento per persone che non hanno pianto e che adesso si sono accodate alla dittatura del pensiero unico costituendo una massa critica di maggioranza bovina e insormontabile, almeno per le nostre forze residue. Nel Vangelo c’è scritto chiaro e tondo che non praevalebunt e quindi possiamo nutrire la ragionevole certezza che i secoli spazzeranno via queste cianfrusaglie con la stessa vigoria riservata a tutte le ideologie che le hanno precedute; ma è piuttosto evidente che non saremo noi. Coltiveremo il nostro giardino, anzi, vivremo asserragliati la vita nei boschi, ognuno per conto proprio aspettando che la peste si propaghi fino alla nostra soglia, cercando di mangiare bene, leggere qualche classico, oziare col caffè compulsivo e l’occasionale sigaretta. In camera ho un whisky canadese che scende con facilità insidiosa; arrendiamoci, sarà un successo.

domenica 23 novembre 2014

A Pavia, pensate, la domenica è talmente lunga che ho preparato un prontuario di reperti derbistici in attesa del Milan-Inter di stasera. Lo trovate su Quasi Rete, blog letterario della Gazzetta dello Sport, con almeno una cosa che non vi aspettate.

sabato 22 novembre 2014

Oggi non è il compleanno di Voltaire ma nemmeno ieri, probabilmente, a voler essere pignoli e a non voler correre dietro a tutte le rubrichette di curiosità amene che i quotidiani utilizzano come riempitivo virtuale. Il dato certo è che Voltaire è stato battezzato il 22 novembre 1694, quando era prassi che gli infanti venissero presentati in chiesa a un giorno di età (stenterete a crederlo, ma c'è stato un periodo in cui l'Europa era cattolica). Solo prassi però: non per questo si può essere sicuri che Voltaire fosse nato il 21 novembre, visto che in talune circostanze e con una certa insistenza lo negava e asseriva di essere nato il 20 febbraio 1694, salvo talaltra volta negare anche questo e con una certa insistenza asserire di essere nato il 21 novembre 1694. Solo una cosa Voltaire cattolico - che studiò dai gesuiti e corrispose con Papi e cardinali e visse in terre protestanti senza mai convertirsi al protestantesimo e fece edificare una chiesa in casa sua e vi prese pubblicamente la comunione e fu nominato terziario francescano e fece brigare i parenti per garantirsi un funerale religioso il più possibile solenne - non negò mai né asserì altrimenti: di essere stato battezzato il 22 novembre 1694. Quindi smettiamola di festeggiare i compleanni come se fossimo rimasti bambini e iniziamo a festeggiare gli anniversari battesimali, è più sicuro.

venerdì 21 novembre 2014

Qualsiasi cosa abbiate fatto, oggi dovevate invece prendervi un giorno di ferie e leggervi Repubblica con calma, da cima a fondo. Vi faccio io un bigino. Avreste appreso che i metodi di Viktor Orban, il quale lascia che in Ungheria vengano impunemente strappati e bruciati i vessilli dell'Unione Europea, sono paragonabili (a pagina 18) a quelli dei nazisti in quanto costoro strappavano i libri e li bruciavano. Sfugge all'estensore dell'articolo che obiettivo specifico dei nazisti era limitare la crescita delle idee impedendo la libera circolazione delle parole, per quanto ragionevoli; e che sullo stesso quotidiano (a pagina 25) si trova un articolo contro un'assurda legge per la quale un vino prodotto in una regione non può risultare da etichetta prodotto nella regione in cui viene prodotto a meno che non coincida col vino denominato come la regione in cui questo singolo vino viene prodotto insieme ad altri denominati diversamente. Indovinate chi ha escogitato questa normativa? L'Unione Europea, esatto, che dunque pratica lo stesso hobby di impedire la libera circolazione delle parole, anche le più ragionevoli - quali ad esempio far applicare la dicitura "prodotto in Piemonte" a un vino prodotto in Piemonte. Lieve discrepanza fra un articolo e l'altro, al confronto della quale l'intervista (a pagina 35) a Laura Boldrini su lavoro femminile e violenza sulle donne è un capolavoro di arguzia, di logica, e di lucidità.

mercoledì 19 novembre 2014

Vito Mancuso oggi commenta su Repubblica le dichiarazioni teologiche di Umberto Veronesi (sintetizzando, Veronesi non crede in Dio perché non lo ritiene alla sua altezza) in cui il luminare scopriva l'esistenza del male nel mondo e ne deduceva l'assenza di Dio. A quest'originale argomentazione, destinata a far tremare le fondamenta di due millenni di civiltà occidentale superstiziosa e vana, Mancuso aggiunge una postilla che riporto: "Si tratta di un'esperienza peculiare del mondo occidentale formato dal cristianesimo, perché nei termini raccontati da Veronesi essa non potrebbe avvenire né nell'Islam, né nell'hinduismo e in nessun'altra tradizione religiosa. Per negare Dio tale ateismo si nutre dell'argomento del bene [eccetera eccetera]. Se Dio è del tutto buono e ci ama, e se è al contempo onnipotente, il male nel mondo non dovrebbe esistere; ma visto che il male esiste, a non esistere è il Dio buono e onnipotente di cui parla il Cristianesimo". Tutto giusto salvo il dettaglio che in un volume che gode di diffusione clandestina in alcuni settori del Cristianesimo occidentale, la Bibbia, e più precisamente in un testo che è accettato come canonico tanto dagli ebrei* quanto dai cristiani, si trova la domanda: "Se da Dio accettiamo il bene, perché non dovremmo accettare il male?" (Giobbe 2, 10). Che tutti gli studi di Mancuso e tutta la scienza di Veronesi pesino meno di un versetto di Giobbe è per qualche strana ragione, non facilmente spiegabile, rassicurante se non consolante.


*Quelli che non sono ancora stati uccisi per il solo fatto di essere tali.

lunedì 17 novembre 2014

La paginetta che ho scritto su fiaccole e forconi ha causato qualche perplessità nei pavesi (meno di quante ne avrebbe causate, che so, a Matera) fra cui spicca quella dell'ottimo Gino Cervi, amico fraterno che da anni gestisce Quasi Rete oltre a fare tante altre cose belle e interessanti davvero, non per farci complimenti a vicenda. Cervi mi ha scritto, su facebook che ogni tanto serve a qualcosa oltre che a guardare le foto di - vabbe', lasciamo perdere:

caro antonio, evito preamboli del tipo "sai quanto, prima di tutto, ti voglio bene, e in secondo grado abbia stima del tuo smerigliante logos". vengo quindi al sodo. ho letto l'ultimo post sul tuo candido e sono rimasto raggelato. l'altra sera mi sono imbattuto assai casualmente sulla notizia dell'incidente di elena madama, data quasi in diretta nella rete (sito della provincia pavese, rilanciato da qualcuno su fb). il fatto spaventoso di per sé è stato amplificato in me nel suo orrore dallo scatenarsi della turba dei commenti come pietre il giorno di santo stefano protomartire. questo a caldo. a freddo invece leggo il tuo esercizio di agudeza e mi viene, oltre che gelo, non so se più rabbia o tristezza. ti chiedi dell'utilità delle fiaccole senza i forconi. credimi, antonio, non c'è bisogno di mettere la tua intelligenza al servizio della torma latrante di chi chiede pronta e sommaria vendetta. e non c'è neppure bisogno di chiedersi l'utilità del ritrovarsi insieme di fronte, o a cercare di far fronte, al probabilmente inesplicabile senso del male e delle sue universali manifestazioni. meglio farlo insieme, te lo assicuro. e non per una visione tolstojana dell'anima mundi, ma perché insieme, con un rosario o con una fiaccola in mano a tentare di rischiarare le tenebre, si è più forti di qualsiasi siepe agitata di forconi. capisco che da qualche tempo a questa parte forse il tuo cesaropapismo è messo a dura prova dal fatale declino del "papi" e dai dribbling del tifoso del san lorenzo de almagro, e ti mancano i riferimenti: ma cercarli nella più cupa vandea dei forconi mi pare davvero un insulto al tuo essere antoniogurrado. ciau

Io ho risposto, e qui trascrivo per conoscenza:

Gino, hai ragione, ultimamente mi faccio prendere dalla cattiveria a mente fredda (ma non è colpa del Papa, ci mancherebbe) anche se in questo caso il punto era un altro, ma non mi sono spiegato: capisco il senso di un rosario, cioè un evento verticale per chiedere qualcosa di trascendente in un momento di difficoltà; capisco meno il senso di una fiaccolata, cioè un evento civile la cui principale caratteristica era di non essere rivolta verso l'alto ma solo in orizzontale, e quindi prigioniera dell'immanente, che è appunto il luogo dove male e abisso sono inevitabili. In questo senso le fiaccole avrebbero avuto senso solo accompagnate dai forconi, perché l'unica cosa ragionevole che si può fare senza Dio è la vendetta. Nel Vangelo è scritto che durante il monologo dell'Ultima Cena Gesù dice agli apostoli con la consueta brutalità: "Senza di me non potete fare nulla" (Giovanni 15, 5); per quel poco che conosco la logica un po' fuzzy dei Vangeli questa frase significa anche il suo contrario, che magari un logico formale non approverebbe: "Con me potete fare tutto". Io figurati, da cattolico (cioè da essere umano) sono convinto che per questo si debbano perdonare tutti quelli che si pentono, anche quando ci fa schifo. Un abbraccio

sabato 15 novembre 2014

Urge sempre più una campagna per il ripristino della realtà. Prendete Roma. Lì il sindaco viene contestato dalla folla e sconfessato dal partito non perché ha arbitrariamente e unilateralmente deciso di celebrare de facto il matrimonio fra due uomini, due donne o due cocomeri, anzi due uom*, due donn* o due cocomer*, bensì perché suole parcheggiare la Panda in divieto di sosta. (Fra parentesi, indipendentemente dal genere dei contraenti ci sarebbero molte cose da ridire sui matrimoni in municipio, un po' come sui battesimi in tabaccheria). Prendete anche Pavia. Una povera ragazza viene travolta da due su un'auto rubata che la trascinano lungo tutta la strada principale della città e due sere dopo i concittadini si riversano nella medesima strada per l'immancabile fiaccolata mentre lei giace immota in un letto d'ospedale. Mi dicono che altre persone in un altro momento hanno anche organizzato un rosario per pregare per lei. Tutti speriamo che sopravviva e tutti siamo dispiaciuti però, mentre anche chi non crede vede l'utilità del rosario (chiedere a Dio che preservi una vita) anche se poi può soggettivamente questionare sulla sua efficacia, io sono qui che mi domando, di là dall'indubbia bontà d'impeto dei dimostranti: a cosa servono in questo caso le fiaccole senza forconi?

martedì 11 novembre 2014

Non a torto ieri mia madre mi ha contattato chiedendomi informazioni sul tipo di bara che desidero, non perché la mia salute stia peggiorando (non sensibilmente almeno, per quanto dopo i trenta sia tutta una china discendente e dopo i quaranta restino solo tasse e malattie) ma perché l'altro giorno avevo dichiarato tutto contento su facebook: "Adesso che Ho visto Maradona è stato recensito sul Guerin Sportivo posso anche morire contento". Che mia madre non abbia un profilo facebook e che dunque si sia con ogni evidenza appoggiata ai servizi segreti della Germania dell'Est è un altro discorso; sorvoliamo. Mi preme piuttosto domandarmi se si possa provare affetto nei confronti di un giornale e maturare un legame duraturo negli anni con un oggetto che, per quanto pieno di parole, è senza dubbio un oggetto e peggio ancora, a differenza di un libro, muta di volta in volta formato e contenuto e autori. Sono sicuro che se si fosse trattato di un sito, di qualcosa di non tangibile, il legame non si sarebbe creato: perché la maniera migliore per dimostrare il mio affetto nei confronti del Guerino consiste nel conservarne le copie che ho comprato dal 1988 (in altri tempi presagivo che me le sarei portate anche nell'oltretomba, dico anche questo a beneficio di mia madre) e quindi nel sottrarre spazio concreto ad altre cose e, in casi estremi, ad altre persone.

Il primo numero del Guerino che possiedo ha ventisette anni ed è lacero, senza più copertina, con figurine (figurine!) attaccate su pagine a caso per quanto provenienti da una stagione calcistica diversa e posteriore; il Guerino in sé è più vecchio, essendo stato fondato nel 1912 ed essendo come tale il più antico settimanale sportivo d'Europa e credo il più antico periodico ancora attivo in Italia. Quando ho scritto con Francesco Savio un libro di metafisica pallonara che si chiamava Anticipi, posticipi avevamo notato che la pubblicazione sarebbe caduta in concomitanza col centenario e avevamo deciso di unirci ai festeggiamenti. Così scrivevamo in una nota al testo:

Quando ci siamo affacciati per la prima volta al calcio la pay-tv era ancora di là da venire e gli unici anticipi e posticipi che potevamo permetterci erano psicologici: il posticipo dell'attesa di poter vedere stampate le foto a colori della settimana calcistica e l'anticipo della trepidazione del momento in cui l'edicolante avrebbe annunciato che dentro il pacco degli arrivi c'era finalmente il Guerin Sportivo. Il nostro immaginario calcistico, così come lo raccontiamo in questo libretto, è nato grazie a questo. Nell'anno in cui celebra il proprio centenario, riteniamo quindi doveroso dedicare Anticipi, posticipi alla gloria del Guerino.

Poi ci siamo evoluti e io mi sono messo a scrivere - su ordinazione di un editore che deve ancora mandarmi quanto meno le cinque copie che mi spettano da contratto - un romanzetto a tema su calcio, Mondiali, Napoli e comunismo. L'ho chiamato Ho visto Maradona e l'ho usato per raccontare il dramma dell'unico adolescente milanista e comunista in una città profondamente e istintivamente maradoniana e democristiana, mettendolo di fronte al duplice sconforto dello scudetto al Napoli e della caduta del Muro di Berlino (il Muro di Berlino, qualcuno l'avrà notato in questi giorni, è caduto venticinque anni fa; e qualcun altro avrà anche notato, dando un'occhiata agli sviluppi dalla Germania, che forse era il caso di tenerlo su). Per riempire le pagine ho dovuto studiare. Così scrivo nella nota a quest'altro testo (annoto un sacco, io):

Questo, volendo, è un romanzo storico; di sicuro ha delle fonti. Eccetera eccetera i servizi firmati della "Domenica Sportiva" andati in onda su Rai Uno fra il 1987 e il 1990 bla bla bla le registrazioni di "Tutto il calcio minuto per minuto" eccetera eccetera. Gli eventi sportivi dell'epoca e più in generale la temperie che li contornava sono stati ricostruiti dai numeri del Guerin Sportivo, allora diretto da Marino Bartoletti.

Quest'annosa pila di giornali inutili e ingombranti, che mia madre ciclicamente voleva farmi gettare via perché non servivano a niente, mi ha per lo meno consentito di mettere su due libri di calcio che magari hanno fatto passare mezz'ora di tempo a tre persone; che poi in senso più lato i due libri non siano comunque serviti a niente è un altro discorso, come gli oscuri legami fra mia madre e la DDR. Muoia pure oggi (io), almeno potrò portarmi in tasca la recensione di Christian Giordano, che è bella e d'impatto perché apre la doppia pagina del Guerino dedicata ogni mese ai libri, e che riproduco qui sotto per consolarmi da solo, ma in bassa definizione per non esagerare.




(Ho anche fatto un Voltaire cattolico sul quale l'influsso del Guerino è stato più contenuto.)

lunedì 3 novembre 2014

Materani, ancora uno sforzo! Ho apprezzato il vostro tentativo di leggermi collettivamente ma avrei preferito che mi leggeste tutto, o anche solo un po’ oltre la rubrichetta settimanale di satira su Tempi che si è imbattuta nella nomina della vostra città a futura capitale europea della cultura e che adesso, contenti voi, è chiusa. Prima di accusarmi unilateralmente di ingiustificato odio e preciso accanimento nei confronti della vostra città, avreste potuto spingervi a scoprire che nello stesso identico giorno in cui questa mia mano scriveva (su un quaderno a quadretti, con brutta grafia) la satira sulla futura capitale europea della cultura, nello stesso identico giorno, dicevo, la mia mano scriveva anche uno sperticato elogio del romanzo di una vostra concittadina, contro la quale avrei dovuto invece scagliarmi col sangue agli occhi se fossi sottostato alla vostra teoria che mi vuole pregiudiziale nemico di tutto ciò che è Matera, viene da Matera o sembra anche solo lontanamente Matera.

Avreste potuto, prima di commentare in tromba il mio sommesso articolo sul sito di Tempi e sui social network più coloriti, esplorare gli archivi e scoprire un pezzo antiquato (dell’estate scorsa, ohibò) in cui prendevo le difese di Charlie Brooker, opinionista e umorista britannico sul quale grava l’indubbia colpa di non essere di Matera ma che ha detto cose molto scaltre sull'aver più volte richiesto al quotidiano per cui scrive, il Guardian, di impedire i commenti sotto i suoi articoli con la precipua motivazione che lui scrive per essere letto, non per far scrivere i lettori. Avreste potuto, se non siete versati con l’inglese, cercare il mio nome e scovare questo mio blog discontinuo, capriccioso, mercuriale, in cui ho disattivato da mo la possibilità di lasciare commenti perché sono favorevole alla separazione delle carriere: chi scrive scrive e chi legge legge. Leggere cosa scrive un lettore mi interessa tanto quanto scoprire come rammenda le suole il mio pizzaiolo. Se volete essere letti, fate fatica come l’ho fatta io in anni di letture prolungate e tentativi di scrittura e rifiuti editoriali e riletture per lisciare gli avverbi e miopia crescente e crampi alle mani e lenta lentissima erosione di un mondo culturale a tratti impenetrabile onde poter riuscire a pubblicare qualche articolo sui giornali nonché a farmi assegnare una rubrichetta settimanale di satira, che adesso è svanita nel nulla.

Materani, siete ancora lì? Probabilmente no, in quanto dalla lettura forzosa dei vostri commenti ho dedotto una dissuetudine a finire gli articoli: altrimenti avreste incocciato l’ultimo capoverso della mia rubrichetta settimanale di satira (che adesso non c’è più) in cui con una finta lettera di Mel Gibson già parodiavo alcune delle proteste non propriamente imprevedibili che sarebbero emerse nei successivi commenti in difesa della vostra città e delle sue bellezze e perfino della sua stazione ferroviaria. Se aveste letto tutto, magari, vi sareste ricreduti trattenendovi dallo scrivere considerazioni che erano già state derise nell’articolo che vi stavate accingendo a commentare. Alla peggio avreste potuto fare come il gentiluomo che ha commentato il mio articolo tre volte: la prima per dire che non meritava neanche di essere letto e che infatti lui non l’aveva letto; la seconda per notificare che si era sforzato di arrivare fino a metà ma l’aveva trovato eccessivamente greve e rancoroso per riuscire a spingersi oltre; e la terza per concludere: “L’ho letto tutto, in effetti è divertente”. Chi mi ha puntato contro l’indice accusatore strillando che l’autrice del mio articolo aveva il dovere di rispondere, non si sa cosa non si sa a chi, avrebbe potuto pazientare e attendere un mio outing in cui rivelassi al mondo che sono maschio.

Avreste potuto, materani, prima di accusarmi di essere al soldo di qualche altra candidata futura capitale europea della cultura, e anche prima di accusarmi di essere un cieco sostenitore del Nord a discapito del Sud, cercare su questo mio blog le parole “capitale europea della cultura” e scoprire che mesi e mesi fa avevo già dileggiato la candidatura di tutte le reginette sparse sul suolo patrio a questo titolo frivolo e che avevo contestualmente candidato Pavia al titolo indiscusso di capitale europea della tristezza. Avreste potuto, prima di commentare l’ultima involontaria puntata della mia rubrichetta settimanale di satira, prendere la rincorsa e scoprire che il mio primo primissimo articolo pubblicato su Tempi risale a boh, sei anni fa credo, che compariva entro un ciclo sulle piazze d’Italia, che era dedicato a Pavia e che infatti esordiva con un bel “Pavia non esiste” – nelle pagine successive spiegavo perché.

Prima di trarre conseguenze sul mio essere longobardo e di conseguenza leghista antimaterano, avreste potuto documentarvi e scoprire che vengo da Gravina, a venti chilometri da Matera nientemeno. Prima di argomentare che ho attaccato Matera perché come chiunque vive a Gravina la odio e la detesto, avreste potuto informarvi e scoprire che ho abbandonato i vostri paraggi quindici anni fa, verso città italiane ed estere che non sono mai state capitali europee della cultura, e che oramai considero le vostre rivalità con distacco siderale. Avreste anche potuto trarre giovamento e forse ilarità da una serie di frasette leggere che avevo scritto in agosto, una al dì, per prendere in giro Gravina visto che mi trovavo costretto a trascorrerci l’estate – rendendo così, me ne accorgo solo ora, un grande servigio alla vostra futura capitale europea della cultura perché, se tanto mi dà tanto, per corrispondenza biunivoca voi materani dovete odiare e detestare Gravina e forse chissà, la vostra reazione al mio articolo era specularmente causata da quest’intrinseco campanilismo, altroché.

Avreste potuto, ma senza esagerare, prestare attenzione al caso che si trattasse di una rubrichetta settimanale di satira (non ricordo se ho già detto che ormai è chiusa) e forse anche leggere a ritroso le sette puntate precedenti rendendovi conto che lo stesso trattamento riservato a Matera – che voi avete trovato volgare e razzista – lo avevo riservato a categorie difformi quali i giornalisti, i calciatori, i politici, i poeti, i filosofi dell’ottocento e gli orsi. Credete forse che siano tutti materani? C’è magari qualcuno di voi che ha preso sul serio la vecchia puntata in cui dichiaravo incidentalmente che l’estensore della rubrichetta (chiusa, sparita, kaputt) mangiava i bambini ed è quindi corso a mettere i figli in salvo?

Materani, mi sono stancato e chiudo qui l’intemerata. Mi dovete delle scuse ma sono buono e vi perdono. Per la prossima volta, vi consiglio di leggere prima di scrivere, e vi ricordo che quando diffuse la falsa notizia di essere lui il capo delle Brigate Rosse, Ugo Tognazzi rilasciò poi un’unica dichiarazione alle folle indignate per l’eccesso di umorismo: “Rivendico il diritto alla cazzata”.


[Noterella: Francesi, ancora uno sforzo fu un pamphlet composto nel 1795 dal marchese de Sade.]