lunedì 31 gennaio 2011

Allora, ricapitoliamo. Nel 1992 si vota per le elezioni politiche. Si insedia un governo di vago stampo socialista, che per comodità chiameremo governo A e che viene sfiduciato un annetto dopo. Si insedia un governo tecnico, che per comodità chiameremo governo C e che disbriga gli affari correnti fino allo scioglimento delle camere. Nel 1994 si vota per le elezioni politiche anticipate. Si insedia il governo B, di centrodestra, che viene sfiduciato un annetto dopo. Si insedia un governo tecnico, il famoso governo D votato a maggioranza dalle opposizioni, che disbriga gli affari correnti fino allo scioglimento delle camere. Nel 1996 si vota per le elezioni politiche anticipate. Si insedia lo storico governo P, il primo – a suo dire – di centrosinistra; dopo essere sopravvissuto a una mezza sfiducia un annetto dopo, esso viene definitivamente sfiduciato un paio d’anni dopo. Si insedia il governo D’, che viene sfiduciato un annetto dopo e sostituito da un altro governo D’, con diversa maggioranza. Nel 2000 si vota per le elezioni regionali. La maggioranza che sostiene il governo D’ rimedia una scoppola epocale e il primo ministro, con la fermezza e la dignità che sempre l’hanno contraddistinto, rimette il proprio mandato nelle mani del capo dello Stato. Si insedia un nuovo governo di centrosinistra, che chiameremo governo A non solo per comodità ma perché il primo ministro era il medesimo del 1992; esso disbriga gli affari correnti fino allo scioglimento delle camere. Nel 2001 si vota per le elezioni politiche. Si insedia nuovamente un governo di centrodestra che, con estrema comodità, chiameremo nuovamente governo B e che, record dei record, viene sfiduciato quattro anni dopo. Si insedia allora un nuovo governo B, con lo stesso primo ministro e la stessa maggioranza, che disbriga gli affari correnti fino allo scioglimento delle camere. Nel 2006 si vota per le elezioni politiche, miracolosamente non anticipate per la seconda volta di fila. Si insedia nuovamente un governo di centrosinistra che, poiché la comodità si spreca, chiameremo nuovamente governo P. Esso viene sfiduciato un paio d’anni dopo, con annesso scioglimento delle camere. Nel 2008 si vota per le elezioni politiche, finalmente anticipate come nella miglior tradizione. Si insedia un nuovo governo di centrodestra, che dando la comodità per valore acquisito chiameremo governo B e che gode di una maggioranza parlamentare senza precedenti nella storia della repubblica. Un paio d’anni dopo, esso non viene sfiduciato per meri culo e provvidenza e gode di una solida maggioranza di 314 deputati su 629 (il presidente della camera, figura notoriamente imparziale, non vota per prassi) (ma un giorno potrebbe decidere di votare e sarebbero cazzi amari). Nel 2011 o forse nel 2012 si voterà per le elezioni politiche, ovviamente anticipate. Ora, a nessuno in questi vent’anni di variegate vicissitudini è venuto in mente che la costituzione ha smesso di essere inutile per diventare definitivamente dannosa?

venerdì 28 gennaio 2011

Colgo l’occasione per rimpiangere il tempo in cui al venerdì, su queste stesse pagine virtuali, curavo una rubrichetta di letterine letterarie, in cui rispondevo alle mail che via via mi venivano spedite dagli amici, dai lettori e una volta perfino dal Papa. Se l’avessi ancora, oggi potrei rispondere a un mio giovane informatore di Montebelluna che racconta di avere indugiato di fronte ai manichini di un negozio di intimo sexy prima di avere un sussulto notando come, di fianco alla vetrina, un settantenne indugiava con la medesima passione di fronte alle epigrafi, dialetto veneto per gli annunci mortuari affissi sui muri. La domanda è questa: quando arriva il giorno in cui si smette di guardare l’intimo per iniziare a controllare chi è morto? La risposta non la so ancora, per fortuna. Però mi sono ricordato che a Modena c’è un negozio di intimo sexy in Corso Canalchiaro, esattamente di fronte alle Edizioni Paoline; me lo ricordo perché le frequentavo spesso. Mi sono anche reso conto che a Oxford non ci sono né annunci mortuari né librerie sacre, ed ecco perché qui i negozi di intimo non m’interessano più di tanto.

giovedì 27 gennaio 2011

Pare che allunghi la vita, quindi penso di poterlo raccontare: stanotte ho sognato che Berlusconi moriva. Moriva male, peraltro: di notte da solo ad Arcore davanti alla tv, stando a quanto emergeva, dopo avere chiamato una rete di sinistra tentando invano di intervenire durante una trasmissione d’inchiesta a lui avversa. Io, pure nel sogno, ero in Inghilterra e apprendevo la notizia dal sito del Corriere, che si limitava a una gigantografia di un Berlusconi insolitamente mesto, con la mano posata sugli occhi, e i caratteri cubitali “È morto”. Allora mi precipitavo al mio college dove (solo nel sogno però) arrivava qualche giornale italiano ma potevo recuperare soltanto una copia de La Stampa, presumo scelta freudianamente non tanto a significare il quotidiano in sé ma la stampa in generale. Prima pagina: foto di Berlusconi quasi giovane che saluta i militanti durante la prima convention di Forza Italia e, in caratteri ancora più cubitali, “È morto Berlusconi”. Apro le pagine interne per scoprire ulteriori dettagli ma trovo soltanto una lista di interventi dei lettori, tutti anonimi, tutti esultanti, tutti velenosi e di pessimo gusto; in tutto il giornale non c’è altro e più leggo e più mi fanno schifo. Appena sveglio, da questo sogno di cui ricordo ogni dettaglio ho tratto tre conseguenze. La prima: che la scomparsa o dipartita o assenza di Berlusconi non renderebbe l’Italia migliore affatto, anzi. La seconda: che da Giulio Cesare in poi gli italiani sono buoni solo a fare gli eroi coi dittatori morti. La terza: che se e quando Berlusconi non sarà più Berlusconi, si scoprirà che non l’aveva mai votato nessuno.

mercoledì 26 gennaio 2011

Finalmente, finalmente una bella notizia. Ieri, stanco al termine della giornata lavorativa, apro il sito del Corriere e leggo: “Savio pubblicherà con Feltrinelli”. Per quanto non sia direttamente coinvolto, è per me una grande soddisfazione apprendere che la casa editrice del Giaguaro s’è alfine decisa a pubblicare Francesco Savio, classe 1974, autore di Mio padre era bellissimo per i tipi di Pequod Italic ed estensore della rubrica dei posticipi su Quasi Rete (ma mi dicono che anche l’estensore degli anticipi è bravino, per quanto più incostante). Mi sembra che, decidendo di pubblicare Savio, Feltrinelli faccia alfine giustizia nei confronti di un buon autore dalle ottime prospettive, il giovane Walden della leonessa d’Italia, che nei momenti migliori ricorda un Malaparte svagato e che per la stessa Feltrinelli – libreria prima e casa editrice poi – ha lavorato per anni. Evviva. Ed evviva anche per il Corriere, che smette alfine di prendere in considerazione solo gli scrittori che vanno in televisione, anzi più radicalmente smette di considerare scrittore solo chi va in televisione e, intuendo con fiuto giornalistico d’antan che dietro l’acquisizione dei diritti di Savio si cela in prospettiva un grosso affare per Feltrinelli (e nessuno faccia ironie sul grosso affare, che di questi tempi va di moda: mi riferisco a una proficua collaborazione quale fu quella fra il Giaguaro e Bianciardi, che portò come tutti sanno a un netto miglioramento della produzione feltrinellesca, alla pubblicazione sicura di tutta l’opera del Bianciardone, alla gloria – nevvero? – di uno splendido Meridiano Mondadori nonché a un fitto commercio di cappotti), ne dà notizia in pompa magna in largo anticipo sui futuri benefici. Non sto più nella pelle e contatto Savio per complimentarmi. Lui mi fa notare che sul sito del Corriere c’è scritto “Saviano”.

martedì 25 gennaio 2011

Il fascino di Oxford sta nell’impatto duro, nei primi giorni, quando arrivi e non conosci nessuno né riesci ad abituarti al sole che tramonta a orari sbalestrati o agli spifferi uraganeschi o al sapore diverso del cibo che sembra inseguirti di strada in strada. L’inizio è talmente spiacevole – fanno fede tutti gli immigrati accademici che me l’hanno confermato – da renderti necessaria la ricerca di momentanee ma decisive consolazioni. Possono essere gli inserti patinati dei quotidiani del fine settimana, il telefonino di ultima generazione non ancora sbarcato in Italia, i vestiti a costo più contenuto, i dolci al burro, la birra, le biondine scosciate e ubriache del sabato sera, il mastodontico settore di italianistica della biblioteca della facoltà di lingue e letterature straniere, etc.: per brevità, le identificheremo tutte con i biscotti al triplo cioccolato nel chiosco di Ben al mercato coperto. Con l’animo completamente squacquerato dai primi giorni a Oxford, ti accorgi da solo o ti viene detto che i biscotti al triplo cioccolato di Ben sono estasianti, ne assaggi uno e convieni che è vero. Da allora, ogni volta che Oxford colpirà basso e ti sentirai male per i più diversi motivi, andrai da Ben, prenderai un biscotto al triplo cioccolato e passerà tutto. In quel momento smetterai di essere un abitante di Oxford e diventerai un suo cliente, asservendoti al sistema di dipendenze che Oxford ti offre come rimedio alla propria stessa esistenza. Alla lunga, scambierai le momentanee consolazioni con l’unica possibile felicità e dopo uno o due anni di coda davanti al chioschetto di Ben, assuefatto al contrasto rispetto ai primi terrificanti giorni successivi al tuo trasferimento, ti renderai improvvisamente conto che i suoi biscotti al triplo cioccolato non li puoi trovare altrove, allora sceglierai di restare a Oxford tutta la vita, passando in cavalleria le cause che richiedono necessaria la consolazione, ingrassando.

lunedì 24 gennaio 2011

Oxford è invasa dai rinoceronti: può capitare di star seduti al piano nobile del caffè e vederne uno o due che salgono le scale e ordinano un cappuccino, oppure di incrociare l’occasionale rinoceronte da passeggio attraversare Cornmarket street di gran fretta per andare a ricaricare il cellulare, o anche di trovarsene uno dietro mentre si fa la fila settimanale col cestello blu al supermercato. Rinoceronti a coppie, zampa nella zampa, sono seduti in vetrina ai ristoranti italiani, francesi, tailandesi; rinoceronti a branchi sostano attorno alla guida che racconta la storia del tal college dov’è stato girato Harry Potter e si ammassano tutti nello stesso punto per trovare la miglior prospettiva donde fotografare la Bodleian Library. Rinoceronti su rinoceronti sfilano davanti ai miei occhi e io n’esco turbato, facendo il conto di quanti bipedi (sempre meno) mi capiti di incontrare sulla mia strada. Talvolta può bastare che io stia prendendo una birra con dei colleghi, magari italiani: basta che uno di loro arguisca che Oxford non è poi così male, che ha i suoi vantaggi e comodità, che magari ci si potrebbe anche restare più a lungo del previsto. Ed ecco che – loro non se ne accorgono – gli occhi si spostano ai lati del volto, al posto del naso spunta un grande corno, la pinta di birra si trova stretta da uno zampone a tronco di cono. Continuano a illustrarmi le loro ragioni ma io sento soltanto bramiti.

venerdì 21 gennaio 2011

Facciamo come la tv, che ha successo solo e soltanto perché parla continuamente di sé stessa; parliamo autoreferenzialmente di questo blog così che brilli della propria stessa luce riflessa. Allora, ieri mattina sveglia alle sei. Doccia, barba e colazione. Alle sette meno venti mi metto a scrivere. Aggiorno questo benedetto blog. Poi scrivo un articolo per un giornale. Poi aggiorno Quasi Rete con pezzi altrui. Poi, sempre per Quasi Rete, scrivo un pezzo mio. Dopo di che, quando le tenebre si diradano, vado in ufficio e alle nove e un minuto sono sulla mia scrivania. Compongo una dietro l’altra note a pie’ di pagina a un’opera di Voltaire: scrivo sulle differenze fra culto di Omar e culto di Alì, sull’evenienza che il Deuteronomio sia stato originariamente inciso su dei lastroni di pietra, sul divieto di leggere l’inizio della Genesi prima dei venticinque anni, sul tempo necessario a fondere un vitello d’oro; cito il Dictionaire historique et critique di Pierre Bayle e il Commentaire littéral sur tous les livres de l’Ancien et du Nouveau Testament di Augustin Calmet. Vado a prendere un panino e lo mangio leggendo il Guardian alla ricerca di spunti per futuri articoli su questa discutibile isoletta. Torno alla mia scrivania e ricomincio con le note a pie’ di pagina: scrivo sulle difformità fra le genealogie di Gesù date da Matteo e Luca, su Giulio III che nomina cardinale il suo porta-scimmia diciottenne, sui gesuiti Nicolas Trigault e Joachim Bouvet che andarono a tentare di evangelizzare la Cina e sulla tendenza di Malebranche a esagerare un po’ tutto; cito le Antiquitates Judaicae di Giuseppe Flavio e The Devine Legation of Moses Demonstrated di William Warburton. A lavoro completato, conto stremato le note notando che sono 103. Dopo di che, quando le tenebre sono già abbondantemente calate, torno a casa e alle sei e un quarto sto rimettendo in ordine la stanza. Mi resta ancora da iniziare a leggere La pelle di Curzio Malaparte e da trovare il tempo, oltre che per la cena, per Milan-Bari, che non so nemmeno come sia finita visto che non sono nemmeno libero di guardare Rai3 se non da internet e a un certo punto la connessione è saltata in maniera irrimediabile, facendomi almeno provvidenzialmente andare a letto con Malaparte fino alle undici e mezza, quando le palpebre non restavano su nemmeno infilandoci degli stecchini. In tutto ciò mi è stato detto che non rispondo mai ai commenti dei lettori di questo blog. Non riferisco la mia controrisposta.

giovedì 20 gennaio 2011

Un altro scrittore mi chiede lumi su quali italiani dovrebbe leggere, visto che di rado ne trova che lo entusiasmino. Ma come, ribatto io, e Alfredo Panzini? e Dino Buzzati? e Stefano D’Arrigo? Questo tanto per dire i primi tre nomi che mi vengono in mente, senz’alcuna pretesa di completezza né di gerarchia, ma prima che possa continuare con nomi più solidi (Carlo Dossi, Baldassar Castiglione, il noto Alessandro Manzoni) lui mi interrompe e dice: no, io parlo di autori del 2011, 2010 al massimo. Io mi accorgo allora di non leggere quasi più vivi, leggo quasi soltanto italiani morti, anche se questo mese ho letto Il fasciocomunista di Antonio Pennacchi e m’è piaciuto abbastanza, anche se devo riconoscere che Michele Mari è uno dei migliori autori dai quali poter prendere esempio quanto a qualità della prosa. Altolà, mi stoppa lo scrittore, specificando che Mari e Pennacchi sono entrambi un po’ stagionati mentre lui è un giovane scrittore e come tale gli piacerebbe stare al passo col meglio dei suoi coetanei. Così mi rendo conto di quale sia la strategia che sta rovinando la letteratura italiana contemporanea: se uno tenta di stare al passo coi coetanei, al massimo può aspirare a diventare un loro epigono che pubblica le stesse cose con due o tre anni di ritardo; bisogna invece tentare di stare al passo coi classici per essere un precursore dei futuri.

mercoledì 19 gennaio 2011

Una nota scrittrice si rallegra con me perché ho dichiarato privatamente e pubblicamente il mio amore per Giuseppe Berto, rispondendomi che molti giovani scrittori non hanno questa mia stessa passione in comune e forse non lo conoscono nemmeno. Di là dal dettaglio che non sono più giovane e non sono ancora scrittore, penso di poter allargare il discorso: i (si fa per dire) giovani scrittori italiani, sul serio e non per modo di dire, che ho interrogato al riguardo mi hanno assicurato con un certo orgoglio di tendere a rifarsi a modelli stranieri e per lo più d’oltreoceano tralasciando quasi del tutto la narrativa italiana del XX secolo, e figuriamoci del XIX, della quale dovrebbero invece essere i continuatori in questo secolo così così nel quale siamo capitati. Io forse mi sto montando la testa perché da quando sono a Oxford, favorito dall’ottima biblioteca del dipartimento di italianistica, sto leggendo pressoché solo autori italiani classici o semi-classici e così mi convinco o m’illudo che la mia prosa ne stia uscendo migliorata; però a essere sincero non credo che sia un grande affare proporsi sul mercato editoriale come epigono di un traduttore.

martedì 18 gennaio 2011

Sinistra italiana, indove sei finita? Un tempo c’erano Giuseppe Mazzini, Giuseppe Garibaldi, Agostino Depretis, Filippo Turati, Claudio Treves, Leonida Bissolati, Gaetano Bresci, Antonio Gramsci, Amadeo Bordiga, Giuseppe Di Vittorio, Enrico Berlinguer, Sandro Pertini, Nanni Balestrini, Toni Negri, Oreste Scalzone, Renato Curcio, Mara Cagol, Francesco Guccini, Cuore, le salamelle della festa dell’Unità, Massimo D’Alema… Oggi sei divisa fra chi ritiene che Berlusconi è troppo vecchio e quindi dovrebbe vergognarsi di avere una fidanzata e chi ritiene che Berlusconi si sia inventato questa fidanzata di sana pianta e quindi dovrebbe vergognarsi di non averla.

lunedì 17 gennaio 2011

Ma il proposito più neo-Risorgimentale di tutti m’era venuto in mente prima che l’anno nuovo iniziasse, mentre con un gruppetto di emigrati di concetto aspettavo per ore notizie sulla cancellazione del volo per Milano aggirandomi per l’aeroporto di Heathrow sommerso dalle neve. Qualcuno ha suggerito: è in momenti come questi che non bisogna chiedersi cosa siamo venuti a fare in Inghilterra, altrimenti l’unica risposta ragionevole sarebbe pigliare cappello e non tornare mai più. Al che abbiamo fatto due conti. Eravamo accademici, designer, bancari, architetti, giuristi, cuochi e addirittura un organizzatore di Olimpiadi, tutti attorno allo stesso tavolo e tutti con la fregola di scappare prima di Natale. Per un attimo, credo, abbiamo pensato di farlo davvero: andarcene senza curarci del biglietto di ritorno e lasciare che quest’isola affondasse. Poi ci sarebbe stato da conquistare l’Italia mettendola in mano agli accademici, designer, bancari, architetti, giuristi, cuochi e organizzatori di Olimpiadi già costretti a espatriare per i motivi più diversi, ma è un altro discorso.

venerdì 14 gennaio 2011

Cortegianeide, parte quarta. Baldassar Castiglione, hai sentito (no che non hai sentito, polvere eri e polvere sei tornato da secoli, beato te che ti sei tolto il pensiero) – dicevo, hai sentito che il Papa andrà ad Assisi a sgozzare galline di fronte alle statue di Buddha? Il tutto per pregare insieme ai mussulmani per la protezione della minoranza cristiana perseguitata chissà da chi. Ora io lo so che non sei un santo, tutt’altro, ma ti chiederei da qui a ottobre di trovare cinque minuti per apparirgli e recitargli il seguente passo della tua opera: “Qual più nobile e gloriosa impresa e più giovevole potrebbe essere, che se i Cristiani voltasser le forze loro a subiugare gl’infideli? Non vi parrebbe che questa guerra, succedendo prosperamente ed essendo causa di ridurre dalla falsa setta di Maumet al lume della verità cristiana tante migliaia di omini, fosse per giovare così ai vinti come ai vincitori?”. Ecco, apparigli prima di Assisi e spingilo a essere sinceramente generoso con chi non è Cristiano.

giovedì 13 gennaio 2011

Cortegianeide, parte terza. Baldassar Castiglione, tu non ci crederai (anche perché per fortuna sei morto) ma da quando mi sono trasferito a Oxford ho scoperto di essere circondato da un cospicuo numero di persone esperte, benché vivano in Italia, di come si viva in Inghilterra. Io invece non sono esperto affatto e pur essendo qui da quasi due anni non mi sono ancora ambientato né presumo di ambientarmi più, ormai, cosa che peraltro non mi spiace moltissimo se poi considero le facce di quelli che ci si sono ambientati. Invece dall’Italia altro non mi arriva che “ma fai questo”, “ma fai quell’altro”, “beato te”, “potessi esserci io”, “tu sbagli a fare così”, “ma perché non ti ci ambienti?”, “devi assolutamente vedere la tal cosa”, “se io fossi lì andrei sempre allo stadio”, “se io fossi lì mi ubriacherei tutte le sere”, “se io fossi lì mi farei tutte le inglesi” e altri preziosi consigli che essi stessi rimpiangono di non poter mettere in pratica in quanto forzatamente bloccati entro i confini patri. Tu sei stato in Inghilterra e mi piace associare l’idea con la storiella che menzioni fugacemente a metà del tuo librone, ossia di quando “stando a questi dì un dottor de’ nostri a vedere uno che per giustizia era frustato intorno alla piazza, ed avendone compassione, perché il meschino, benché le spalle fieramente gli sanguinassero, andava così lentamente come se avesse passeggiato a piacere per passar tempo, gli disse: ‘Camina, poveretto, ed esci presto di questo affanno’. Allora il bon omo rivolto, guardandolo quasi con maraviglia, stette un poco senza parlare, poi disse: ‘Quando sarai frustato tu, anderai a modo tuo; ch’io adesso voglio andar al mio’.”

mercoledì 12 gennaio 2011

Cortegianeide, parte seconda. Baldassar Castiglione, già da ragazzino non sopportavo le amichette che andavano a farsi violentare la lingua dai corsi di dizione sforzandosi di imparare una lingua artificiale che non aveva mai parlato nessuno e perdendo inoltre ogni residua credibilità (prova tu a entrare in un bar di Bari, chiedi “cappuccino e cornetto per favore” con tutte le vocali a posto, e vedi come ti rispondono). Poi quest’istintiva avversione si è trasformata in oggettiva e ragionata repulsione nei confronti degli scrittori che si sforzano di scrivere tutti uguale, limando ogni provincialismo e personalismo in favore di una lingua piatta e altrettanto immaginaria quale è l’Italiano neostandard (quello delle fiction televisive, nel caso ti sia mai capitato di seguirne una), la quale pretende inoltre che tutti gli autori maschi scrivano frasi brevi e concitate mentre tutte le autrici femmine scrivano frasi non solo brevi e concitate ma soprattutto enigmatiche e un po’ zozze (prova tu a entrare in una libreria di Milano, apri a caso il libro di un esordiente, e vedi se non risponde a questi requisiti di base). Che sollievo leggere la tua fierezza di gran mantovano, esposta cinquecento anni fa ma non ancora metabolizzata dai tuoi colleghi via via succedutisi, per “aver eletto di farmi più tosto conoscere per lombardo parlando lombardo, che per non toscano parlando troppo toscano”.

martedì 11 gennaio 2011

Cortegianeide, parte prima. Baldassar Castiglione, non puoi immaginare che sollievo mi hai offerto facendomi scoprire, tramite una tua schematica biografia, che sei andato in Inghilterra esattamente alla stessa età in cui ci sono andato io. Poi, decenni dopo, quando moristi a Toledo Carlo V dichiarò: “Yo vos digo que es muerto uno de los mejores caballeros del mundo”. Le due cose sono correlate? Non si sa, magari no, anche se di sicuro se fossi rimasto vita natural durante in Inghilterra nessuno sarebbe stato in grado di farti un bel complimento del genere in spagnolo. Sono passati cinquecento anni e l’Inghilterra c’è ancora ma non ci sono più sovrani come Carlo V; soprattutto, anche se ce ne fossero, gli scrittori di oggi non baderebbero a entrare nelle loro grazie sentendosi già per definizione todos caballeros.

mercoledì 5 gennaio 2011

Ulteriore conclusione che dovremmo trarre da questo centocinquantesimo anniversario è che il Risorgimento ha funzionato (quasi) a meraviglia finché non s’è fatta l’Italia e non s’è riunito il primo parlamento a Torino, quando – com’è possibile leggere nel resoconto della storica seduta – immediatamente dagli scranni della sinistra Garibaldi in poncho iniziò a dare addosso al Cavour il quale gli rispose dal seggio del governo sacramentando fra sé e sé in francese dialettizzato. La maledizione dell’Italia risiede dunque nel parlamento e noi, non contenti di averlo, l’abbiamo raddoppiato in due camere uguali in tutto se non per novero e per età. I parlamentari sono seicentotrenta alla camera e trecentoquindici (più sei senatori a vita, a quanto pare immortali) al senato; in totale novecentocinquantuno, che sforano il migliaio quando vi si aggregano i rappresentanti degli enti locali per eleggere in seduta congiunta il presidente della repubblica, il quale ha la bella prerogativa di poter parlare a vanvera senza che nessuna azione consegua a qualsivoglia idea esprima. La diatriba ignobile fra Garibaldi e il Cavour s’è così parcellizzata in migliaia di infinitesimi, e onde evitarne la dannosa rifrazione sulla vita nazionale sarebbe il caso di ridurre drasticamente il quantitativo di rappresentanti del popolo: facciamo duecento alla camera (due per provincia, pure troppi) e cinquanta al senato (possibilmente questi ultimi di nomina regia per preclara virtù, ma mi rendo conto di pretendere troppo per una patria ormai così mal combinata). Se i rappresentanti del popolo su scala nazionale si riducono da mille a ducentocinquanta, ci saranno settecentocinquanta attuali parlamentari a spasso i quali potranno riciclarsi quali ottimi sindaci, governatori e consiglieri di regione, presidenti e consiglieri di provincia, scalzando a loro volta i non di raro mediocri rappresentanti locali del popolo stesso, che per sovrarappresentazione finisce per venire schiacciato e soffocato in quella che dovrebbe essere la sua più alta aspirazione, ossia poter far bene il suo mestiere poiché i suoi rappresentanti fanno bene il loro.

martedì 4 gennaio 2011

Il secondo proposito neo-Risorgimentale per il 2011 sta nel voler finalmente riempire il vuoto bianco che s’è creato al centro del vessillo nazionale dopo il referendum del 1946. Prima avevamo lo stemma sabaudo; poi, fatta la gran riforma repubblicana, non è rimasto più niente. (Viene a mente la vignetta di Guareschi intitolata alla ricostruzione, in cui si mostrava nella prima parte un palazzo diroccato con la scritta “Regie poste e telegrafi”, nella seconda un gran lavorio d’impalcature, e nella terza lo stesso palazzo con la scritta “poste e telegrafi”). La bandiera dei tre colori sarà sempre stata la più bella, e noi volevamo sempre quella per goder la libertà, però a parer mio troppa libertà stona e dopo avere agitato per cinquantacinque anni un tricolore senza niente in mezzo si finisce per avere la stessa impressione di quei sogni in cui ci si accorge all’improvviso di star passeggiando in mutande per Via del Corso. Da cinquantacinque anni siamo il paese che trasforma in tradizione istituzionale il compromesso con la mediocrità: esempio preclaro è stato quando, pur di non fare una legge che andasse in un senso o nell’altro, pur di impedire al governo di varare una legge senza prima farla discutere da due camere e farla controfirmare dall’inquilino del Quirinale, s’è lasciata morire Eluana Englaro. Ora che riceviamo la notizia degli attacchi ai cristiani d’Egitto, a furia di cavilli e di distinguo e di politically correct stiamo riuscendo a trasformare il giusto moto d’indignazione e di schifo contro una responsabilità oggettiva in un vago desiderio di generica protezione delle minoranze, ohibò, musulmane. Come s’era risvegliato in me un piccolo moto di speranza quando Berlusconi aveva tentato di sorpassare camere e Quirinale ritenendo che la vita di un individuo valesse più della polvere istituzionale, se n’è risvegliato un altro ieri quando ha messo da parte la reticenza per la quale tutte le vacche devono essere bigie e ha detto che bisogna garantire la libertà religiosa di tutte le minoranze, scandendo “soprattutto quelle cristiane”. Ricordiamoci di essere cristiani, ricordiamoci di essere l’Italia, tappiamo con la croce il buco nel tricolore.

lunedì 3 gennaio 2011

Il primo proposito neo-Risorgimentale per il 2011 è stato già rispettato in anticipo da Napolitano, il quale all’ultima sera dell’anno scorso ha tenuto – forse per giustificarsi del lento tramonto al quale la sua carica è costretta dalle progressive conquiste della costituzione materiale – non solo il discorso augurale più lungo dal suo insediamento ma soprattutto e incontrovertibilmente un discorso di sinistra. Non mi riferisco ai contenuti, che visto il ruolo decorativo della presidenza della repubblica devono essere forzatamente svuotati, ma alla forma che batteva con insistenza su parole chiave del lessico della sinistra italiana. Si può essere d’accordo o meno ma è un segno indubbiamente positivo, trattandosi del discorso di un uomo di sinistra. Dal 1993 al 2010 la politica italiana s’è andata via via liberando dall’ideologia, come se fosse un retaggio scomodo di cui disfarsi grazie a tangentopoli, eliminando ogni progressiva distinzione fra sinistra, destra e centro come dimostrato da due tendenze: una radicata, ovvero l’identificazione della destra nel supporto a Berlusconi, nonostante la presenza di forti venature socialiste nel suo governo, e della sinistra nell’avversione a Berlusconi, nonostante la presenza di ideali tradizionalmente destrorsi in personaggi quali Di Pietro; e una recente, ossia la fusione sotto un ipotetico terzismo degli eredi della più gloriosa tradizione forlaniana (Casini) con i contrapposti altari che nel 1993 si erano lanciati a disputarsi il vuoto di potere lasciato dalla sparizione dei partiti tradizionali (Fini e Rutelli, rivali per la poltrona di sindaco di Roma). A sorpresa, facendo un discorso di sinistra da uomo di sinistra, Napolitano ha mostrato la via da seguire per interrompere la degenerazione della politica italiana. Smettiamola col luogo comune confusionario del “niente ideologie, qualche ideale, molte idee”. Senza ideologie, gli ideali sono fatui e le idee sono sbagliate; e se si vuol fare politica senza bandiere si finisce a farla con le aste.