venerdì 31 dicembre 2010

Il quinto motivo, ma certo non ultimo in ordine per importanza e anzi preminente rispetto agli altri, per il quale ringrazio Iddio quest’anno è che ho iniziato il 2010 su due gambe e l’ho finito su altrettante. Detta così sembra una banalità ma in mezzo – o meglio all’inizio, esattamente il 6 gennaio, per punirmi del fatto che stessi andando in ufficio durante una festività religiosa che nel Regno Islamico di Gran Bretagna e Pakistan è ovviamente feriale – c’è stata la rottura della caviglia destra dovuta a un sasso sbalzato sul marciapiede accuratamente coperto di una trentina di centimetri di neve, roba da affondarci il polpaccio a ogni passo. In condizioni climatiche normali (tradotto: altrove) sarebbe stata una storta, mentre in condizioni climatiche estreme (tradotto: a Oxford) è stata una frattura; ma per fortuna una frattura semplice, interna, roba che si rimette a posto al prezzo di un gesso, due stampelle, quaranta giorni di pazienza, parecchia depressione e un po’ di fisioterapia. Per fortuna il giorno dopo la definitiva consegna dell’ultima stampella ero già in grado di andare in Texas, per fortuna in aereo e non a piedi. Ora, lo sketch più famoso della tv italiana non è mai stato andato in onda per preventiva censura, in quanto si riferiva al presidente Gronchi (o Einaudi) che, accompagnando De Gaulle (o Francisco Franco) in un palco alla Scala, fece per sedersi ma non trovò la sedia: dalla platea si vide Gronchi (o Einaudi) che misteriosamente spariva mentre De Gaulle (o Franco) lo seguiva con lo sguardo preoccupato, divertito, imbarazzato. Per la trasmissione Un due tre Tognazzi e Vianello avevano architettato quanto segue: Tognazzi (o Vianello) doveva tentare di sedersi e cadere sul pavimento e allora Vianello (o Tognazzi) di rimando doveva chiedergli: “Ma chi ti credi di essere?”; al che l’altro doveva replicare: “Tutti possono cadere”. Ecco, il grande insegnamento del 2010 spezzaossa è che indubbiamente tutti possono cadere ma altrettanto indubitabilmente non tutti riescono a rialzarsi, quindi accontentiamoci e speriamo in meglio.

giovedì 30 dicembre 2010

Il quarto motivo per cui ringrazio Iddio nonché il più significativo avvenimento del mio 2010 è stata la scoperta dell’Italia, impossibile a verificarsi se non fossi stato tutto l’anno all’estero e anzi correlativo oggettivo di questa fortuita circostanza. Senza vivere in Inghilterra non avrei apprezzato l’avventurosità intrinseca del pigliare un treno da solo e andare in un posto ignoto o meno. Sono riapparso come di consueto a Pavia e ho presentato conferenze a Modena (anzi a Sassuolo); ho attaccato bottone con le viaggiatrici sui treni, ho offerto aperitivi a colleghe rimaste entro i confini patri, ho fatto ingresso nelle librerie più diverse, ho provato quotidiana sorpresa nello scoprire che attorno a me la gente parlava una lingua che capivo anche senza dover mettermi ad ascoltare. Ho scoperto la Venaria Reale, dove ho bevuto barolo leggendo Tondelli su una delle tre piazzette che ne delimitano l’unica via significativa, e dove mi sono intrattenuto con il portinaio siculo di un albergo che non aveva internet nemmeno alla reception ma che si pasceva di corposi trattati di storia revisionistica. Sono tornato a Roma dopo anni (l’ultima volta ci ero passato solo mezza giornata), dove solevo trascorrere periodicamente una settimana e dove ho trovato tutto come l’avevo lasciato, me compreso. Ho addirittura sostato un paio d’ore a Falconara Marittima, avendovi un poco agevole cambio di treno, e poiché la stazione era troppo piccola per restarci come un baccalà sono andato a esplorare il paesello valigia e tutto, prendendo caffè e cornetto di fianco a un tale operato alle corde vocali che ciò nondimeno le sforzava per dichiarare che quando la Juventus era stata retrocessa in serie B lui non aveva né mangiato né dormito per un mese intero. Poi, occasionalmente, ogni tanto facevo un salto a Oxford.

mercoledì 29 dicembre 2010

Il terzo motivo per cui ringrazio Iddio è che nel 2010 ho finalmente potuto ricordarmi di sapere l’italiano, cosa sulla quale iniziavo a nutrire dei dubbi dopo mesi e mesi di lavoro per commentare in inglese testi di letteratura francese. A maggio e a novembre ho tenuto, rispettivamente alla Venaria Reale e a Pavia, una conferenza e tre seminari sull’argomento che abitualmente costituisce il mio lavoro a Oxford, e che di solito viene trattato con fatica immane a causa del passaggio da una lingua all’altra anche perché, guardiamoci in faccia, se pure è dubbio che io abbia qualche talento con la lingua patria ciò nondimeno posso assicurarvi che il medesimo concetto da me espresso in inglese, che magari conosco anche benone, o in francese, lingua nella quale i miei sforzi si fanno più creativi, finisce inevitabilmente per avere un quarto o un quinto della potenza retorica che riuscirei a infilarci in italiano, perdendo sull’istante persuasività e fors’anche senso. Quando invece ho avuto modo di esprimere gli stessi concetti sullo stesso argomento di fronte a una platea di professori italiani come alla Venaria o a una classe di studenti italiani come a Pavia, è emerso che una minima potenza retorica la conservo ancora, che pertanto non parlo sempre costantemente al muro e che la permanenza a Oxford è stata molto utile nel consentirmi di saccheggiare il settore di italianistica della Taylor Institution, biblioteca di lingue e letterature straniere, così da avere ogni sera degli interlocutori all’altezza.

martedì 28 dicembre 2010

Secondo motivo per ringraziare Iddio quest’anno è il Texas, che indubbiamente stava lì da tempo ma che non avevo visitato prima del 2010. A dire il vero non avevo nessuna intenzione di andare negli Stati Uniti in vita mia ma, essendoci stato spinto in circostanze di lavoro, sono stato contento di poter iniziare da lì e non, ad esempio, da New York che è una città di interruttori scassati e luci che non si spengono mai. Il Texas, invece, è terra di bistecche, bikini e biblioteche. Ho passato qualche giorno a documentarmi nell’Harry Ransom Center, una silenziosa e funzionale sala di lettura che possiede centinaia di edizioni settecentesche di Voltaire, nonché vari altri tesori dell’umanità quali i fogli di lavoro di David Foster Wallace, la solita Bibbia di Gutenberg e le ben più rare lettere autografe di Jane Fonda. Quando finivo andavo a mangiare da Applebee (se riuscivo ad attraversare la strada, poiché in Texas i pedoni non sono previsti) dove per dieci dollari mi davano una fetta di carne nella quale avrei agevolmente potuto avvolgermi, oltre a anelli di cipolle fritte, patatine e infiniti altri cibi che fanno malissimo ma comunque preparano ad affrontare serenamente l’idea che prima o poi moriremo tutti, perfino i vegetariani. Poi faceva caldo: essendo marzo ero partito dall’Inghilterra con la giacca a vento col bordo di pelliccia, invece ad Austin c’erano passanti in shorts e signorine in due pezzi che ballavano l’hula-hoop sul marciapiede. Mi aspettavo di trovare un popolo trovo, pronto a fucilarti al primo starnuto, e invece ho trovato gente serena, sorridente, che quando incontra il tuo sguardo sorride e se ti vede passare da solo ti saluta per prima anche se non ti conosce. Sarà, credo, uno degli effetti collaterali della pena di morte, che suggerisce l’idea che non valga la pena di fare i nervosi. Di domenica mattina, insieme a infinite famigliole dei dintorni, ho visitato il palazzo del parlamento, che è stato costruito avantieri (seconda metà del XIX secolo) ma che custodiscono come una reliquia. Al centro del palazzo, sul pavimento, campeggia la stella solitaria che è il simbolo dello Stato; tutt’attorno, per tre o quattro piani, sono collocati i ritratti dei governatori in senso cronologico inverso a quello al quale si sono succeduti. Così una domenica mattina, nel luogo e nel punto in cui meno me lo sarei aspettato, mi sono trovato davanti un ritratto a olio di George W. Bush e ho scoperto di non essere più solo nel mio apprezzamento.

lunedì 27 dicembre 2010

Poiché dite se no che mi lamento solamente, passo questi ultimi giorni a elencare le cose positive per cui varrà la pena di ricordare il 2010. Anzitutto ringrazio Iddio per Alitalia. È stato il primo anno che ho trascorso interamente all’estero, da gennaio a dicembre, e vi pare cosa da niente un aereo che periodicamente vi piglia, si mette a correre a trecento all’ora, vi solleva dalle incombenze inglesi e vi porta a casa in giornata? Oltre a vantare le hostess più meravigliose della faccia della terra, Alitalia ha mostrato notevole carattere nella gestione della chiusura di Heathrow per neve ancora pochi giorni fa. Mentre la British Airways aveva sospeso i propri voli prima ancora che cadesse il primo fiocco, il mio aereo per Linate si spingeva disinvoltamente verso la pista con dieci centimetri di bianco al suolo, nonostante che l’aeroporto stesse per essere chiuso. Mentre l’aeroporto si adeguava alla chiusura implicitamente decisa dall’ammutinamento della compagnia di bandiera, il comandante del mio volo Alitalia restava barricato nell’aereo con i bagagli di tutti i passeggeri per impedire fisicamente che il volo venisse cancellato. Quando tutti i voli sono stati inevitabilmente cancellati, mentre la British Airways ha messo su un disco con una musichetta soporifera che è andata avanti per giorni allo scopo di far addormentare i clienti e impedirne le riprenotazioni, gli operatori Alitalia rispondevano dopo due minuti, cercavano di addolcire il dispiacere per le vacanze rovinate e si profondevano in scuse manco se la neve l’avessero inventata loro. A volo cancellato, il 18 dicembre, ho assistito all’aggressione di una hostess di terra dell’Alitalia da parte di due anglofoni furiosi, che prima l’hanno accusata di essere responsabile per il presunto comportamento scorretto di una fantomatica collega che non era mai stata lì, poi hanno iniziato a urlarle in faccia di essere maleducata, infine hanno iniziato a strattonarla per ricordarle la carta dei diritti del passeggero. Adesso io sono arrivato in Italia, benché con qualche giorno di ritardo, e di loro non ho più notizia ma spero che abbiano riprenotato il volo con le British Airways, così imparano.

mercoledì 22 dicembre 2010

Gli studenti che con la consueta lucidità hanno inchiodato Ignazio La Russa alle proprie responsabilità riguardo alla riforma universitaria, responsabilità innegabili trattandosi del ministro della difesa, e che per spiegarsi in maniera più eloquente hanno scaricato una caterva di letame davanti alla sua villa di Catania, ma hanno sbagliato casa come l’arcangelo Gabriele (e il cherubino che crea l’atmosfera) di Troisi Arena e Decaro, mi hanno ricordato un aneddoto risalente a una decina di anni fa, quand’ero del 33% più giovane di adesso. Voi sapete che a Pavia c’è un solo Collegio, no? Allora, all’alba del web 2.0 gli studenti di detto Collegio avevano magnanimamente deciso di accorrere in aiuto degli allievi di un noto seminario locale, l’allegro convitto borromeo, fabbricando per loro il sito www.borromeo.it, comprensivo di tutte le informazioni più utili, ivi inclusi i temi per l’ammissione al convitto negli anni precedenti (fra i quali “La mutina: una consonante piena di insidie”). Gli allievi dell’allegro convitto, per un imprevisto malinteso, non avevano gradito il favore offerto dagli alunni di detto Collegio (i quali nel frattempo avevano non solo fatto stampare migliaia di locandine, affisse in tutta Pavia, con l’indirizzo del nuovo sito, ma anche delle magliette con la scritta “una figura di merda è per sempre”) e avevano reagito scaricando, con mossa in netto anticipo sui tempi, una caterva di letame sulle scalinate di detto Collegio. Interrogato dalla stampa locale riguardo al gesto degli allegri convittori borromaici, il Rettore del Collegio aveva commentato parafrasando d’Annunzio: “Io sono quel che ho donato”; frase che oggi torna prepotentemente d’attualità.

martedì 21 dicembre 2010

Dunque, sabato mattina mi sono alzato alle 4, ho preso il taxi (cinque sterline), mi son fatto portare alla stazione delle corriere, ho preso l’autobus per Heathrow (venticinque sterline), sono arrivato in aeroporto, ho fatto il check in, sono salito sull’aereo, ha iniziato a nevicare, siamo entrati in pista, hanno chiuso l’aeroporto due minuti prima che partissimo. Allora ci hanno riportati in aeroporto,ho mangiato qualcosa (cinque sterline), poi dopo varie peripezie hanno cancellato il volo e ci hanno restituito i bagagli. Allora con un colpo di genio ho preso il treno suburbano per Londra, stazione di Paddington (ventuno sterline), sono riuscito a trascinarmi fino a un albergo cinese lì vicino, ho pagato una notte (quarantacinque sterline), ho mangiato qualcosa (sedici sterline), ho controllato da un internet point la situazione degli aeroporti (una sterlina) e sono andato a dormire. Il giorno dopo sono andato in stazione, ho scoperto che non c’erano treni per Heathrow a causa di un incidente, ho scoperto che non c’erano treni per Oxford a causa della neve, allora ho anzitutto fatto colazione (tre sterline), sono tornato in albergo, ho ripreso la valigia, mi sono trascinato sulla neve fino a Marble Arch e ho fortunosamente preso uno dei pochi pullman funzionanti per tornare a Oxford (sedici sterline). Poi ho aspettato un oretta per prendere un taxi (cinque sterline) che mi ha portato non a casa, per impraticabilità di strada, ma nella via più vicina possibile. Ho mollato la valigia e sono andato subito, prima che calasse il buio e si gelasse la neve e chiudessero i negozi, a fare la spesa per una settimana (trentasette sterline), per ripararmi da ogni evenienza. Poi ho prenotato un altro volo per dopo Natale, quando riprenderò un taxi (altre cinque sterline), mi farò portare alla stazione delle corriere, prenderò l’autobus per Heathrow (ventisei sterline perché, che ci crediate o no, nel frattempo il prezzo è aumentato), arriverò in aeroporto e spero di non essere costretto a prendere di nuovo il treno per Paddington (altre ventuno sterline?) né l’autobus per Oxford (altre sedici sterline?). Cinque più venticinque più cinque più ventuno più quarantacinque più sedici più uno più tre più sedici più cinque più trentasette più cinque più ventisei più ventuno più sedici fa duecentoquarantasei sterline, o forse duecentotrentasei, o forse duecentoquarantanove. Il prossimo che mi dice che lavorando in Inghilterra si guadagna bene lo prendo a ceffoni.

lunedì 20 dicembre 2010

Ecologici amministratori del comune di Oxford, chiuso in casa con un notevole accumulo di neve davanti alla porta, sotto la finestra (abito al piano terra), nel parchetto della mia piazzetta e lungo tutta la strada che porta al centro città, ho tempo e agio sufficienti a domandarmi se siate dei coglioni o dei ladri. Immaginando una vostra scarsa dimestichezza con l’Italiano, strettamente correlata alla vostra scarsa dimestichezza con qualsiasi cosa, vi spiego il significato dei due termini. I coglioni sono quelli che non sanno trovare una soluzione pur avendo gli strumenti per farlo. Ad esempio: nella mia piazzetta ci sono più di trenta di appartamenti, ciascuno di tre camere, per un ammontare complessivo di cento persone. Considerato che io, che sono uno di loro, vi pago centosessanta sterline al mese di tassa comunale, avreste potuto utilizzare questa somma, moltiplicata di appartamento in appartamento, non dico per mandare degli spalatori (operazione dalla quale forse vi trattenete per timore di incidere sul surriscaldamento globale) ma per convertirla in monetine da un penny utilizzando le quali lastricare agevolmente tutta la strada innevata che va da qui al centro città. Nella migliore delle ipotesi, vi siete dimenticati di farlo mentre io al primo di ogni mese non dimentico mai di mandarvi la rata di centosessanta sterline. I ladri invece sono quelli che prendono soldi senza dare nulla in cambio.

venerdì 17 dicembre 2010

L’altra notte ho sognato una vacca o meglio, per fugare ogni dubbio di zozzeria, ho sognato una mucca, pezzata, ruminante, scornuta. Ero in mezzo a un prato deserto con libri, quaderni di appunti, fogli stampati e uno dei miei portatili (presumo alimentato a batteria) quando d’un tratto sento un tremolio del suolo, come di terremoto, e quando è troppo tardi per raccogliere tutto mi rendo conto che sta sopraggiungendo a grandi balzi appunto la mucca, che mi punta direttamente e solo per una mia repentina mossa alla torero-torero-olè riesco a scansarla facendomi oltrepassare e mandandola al contempo dal lato opposto a quello del mucchio di lavoro che mi ero portato appresso, come fece Pelè col pallone di fronte a Ladislao Mazurkiewicz in Brasile-Uruguay di Mexico ’70. Però la mucca si ferma, si volta, mi fronteggia. Resto immobile di fronte a lei guardando ora il suo muso, che si direbbe pacifico e in netto contrasto con la furia e con lo scempio che ha deciso di fare di me, ora tutta l’opera del mio ingegno rimasta indifesa al centro del prato, più vicino a lei che a me. La mucca sta per caricare. Se non mi muovo mi prende in pieno; se mi muovo c’è il rischio che travolga il mio lavoro; mi sveglio sudatissimo. Tutto qui. Ah, e nello stemma comunale di Oxford campeggia un bovino.

giovedì 16 dicembre 2010

Paolo Guzzanti plausibilmente non avrà avuto né tempo né modo di notare che oggi, in un mio articolo di satira su Tempi, lo dileggio con ironia magari poco riuscita riguardo alla contraddizione fra il suo Mignottocrazia e la sua appartenenza al Partito Liberale, ricordando che all'epoca lo stesso Cavour non risparmiò sull'utilizzo del fascino femminile a scopi politici. Ovviamente mentre il giornale andava in stampa, e tanto meno mentre scrivevo l'articolo, non potevo immaginare che Guzzanti avrebbe intanto deciso di lasciare il PLI, di cui era unico deputato, a seguito dei dissapori con la segreteria nazionale: cosa della quale peraltro mi spiaccio, poiché il PLI è un partito glorioso, che non voterò mai per ragioni ideologiche ma nel quale vedrei un prezioso alleato di governo come è stato ai tempi della DC, se non fosse che meriterebbe di essere più esteso e meglio organizzato di come sia adesso; e poiché inoltre Guzzanti ne sarebbe stato un adeguato esponente qualora quest'ingrandimento e questa riorganizzazione fossero davvero stati posti in atto. Detto questo, pur non condividendo l'idea e i toni di Mignottocrazia, vorrei avanzare in difesa di Guzzanti (qualora ce ne fosse bisogno) due considerazioni sulla sua scelta di votare la sfiducia a Berlusconi e in particolare sulle reazioni belluine che ha scatenato. La prima è che se ci si proclama di destra bisogna tenere sempre presente la situazione individuale, ossia nel caso specifico di Guzzanti la nota querelle berlusconiana coi figli meravigliosi che ha (ho avuto modo di incontrare Sabina a Modena, mettendola in contatto con Zygmunt Bauman durante un FestivalFilosofia di un paio d'anni fa, e m'è parsa un'ottima persona), che andrebbe considerata con meno superficialità e molto più rispetto, non dimenticando che a ogni dito di onorevole che prema un pulsante è attaccato un uomo e un padre di famiglia. La seconda, intuitivo corollario, è che a vomitare improperi su un parlamentare mentre va a votare - per quanto in senso contrario all'auspicato - si fa una figura da governo Prodi.

mercoledì 15 dicembre 2010

Bisogna dare atto a Gianfranco Fini che tutto gli stava andando per il meglio. Il ruolo di alto profilo istituzionale. La progressiva smarcatura dal governo. La presa di distanza dal premier. L’incontrollata ira di Berlusconi. Il ditino puntato dalla platea. Briguglio, Bocchino, Granata. I probiviri. La ridicola espulsione dal Pdl. La campagna stampa orchestrata dai giornali di famiglia. Mirabello. I video su youtube. I fan su facebook. La creazione di un nuovo partito. Il nome affascinante. Il logo multicolore. Bastia Umbria. Una marea di sostenitori entusiasti. Luca Barbareschi. Il manifesto per l’Italia. Berlusconi travolto dagli scandali. Ruby Rubacuori. Il bunga bunga. Wikileaks. Putin e Gheddafi. Il terzo polo. Il calo di consensi del premier. La mozione di sfiducia dell’Udc. Bisogna dare atto a Gianfranco Fini che gli sarebbe bastato muovere un dito, una falange, per poter disfarsi di Berlusconi. Poi il PD ha indetto una grande mobilitazione di piazza.

martedì 14 dicembre 2010

Si è già scritto di tutto, non è ancora successo niente e la notte non mi ha portato consiglio. Non ho capito perché Berlusconi non si sia dimesso, non ieri sera ma un paio di mesi fa, quando si è iniziato a sentire puzza di bruciato tutt’attorno. Secondo me confonde la costituzione materiale (ciò che lui preferisce definire il mandato popolare dei cittadini che hanno votato un simbolo con il suo nome dentro) con le sue speranze di riforma, e si comporta come se fossero già attive. Magari oggi prende la fiducia, ma ciò non toglie che abbia fatto due errori. Uno politico, cacciando Fini e creandosi da solo un rivale che poteva tenere a bada dandogli il contentino di una corrente di mattoidi interna al proprio partito. Uno istituzionale, dimenticando che non sono cambiate né la costituzione, purtroppo, né tampoco i regolamenti parlamentari, e che quindi ad agitare troppo il mandato popolare si rischia di fare la figura dell’ultimo giapponese, combattendo da solo in un sistema politico che è bene o male rimasto uguale a trenta o cinquant’anni fa. Io non so se Berlusconi sia moderato; certamente è stato per quindici anni l’unica speranza per far governare i moderati in Italia, ma se fosse stato democristiano si sarebbe dimesso dopo avere ottenuto la fiducia a fine settembre, come la buonanima di Giovanni Goria “per dare vita a un governo più forte”. A quel punto avrebbe dovuto comunicare a Napolitano l’avvenuta scissione fra appoggio all’azione di un governo di centrodestra (certificato dall’ampia fiducia) e sostegno della sua persona (venuto chiaramente meno a seguito dell’ottovolante di Fini); e avrebbe dovuto lasciare il Quirinale indicando un nome di un esponente moderato del proprio partito da insediare a Palazzo Chigi, riservando per sé il ruolo di ministro pesante (agli Esteri, per esempio, che gli sono sempre piaciuti tanto). Con una mossa del genere avrebbe messo Fini di fronte alla propria responsabilità politica, scompaginato l’opposizione, plausibilmente aperto all’Udc; di più, avrebbe avuto l’agio di tramare nell’ombra, fare la figura dell’animale ferito ma restare nondimeno al governo, lasciare il cerino in mano al compagno di partito: il quale, se si fosse bruciato, avrebbe dovuto portare il Paese a elezioni anticipate per colpa sua; se se la fosse invece cavata, avrebbe finito la legislatura e preparato la via del 2013 a un Berlusconi carico di potere e scevro di particolari responsabilità. Che si voti domani o fra due anni e mezzo, sarà sempre il prossimo parlamento a eleggere il nuovo presidente della repubblica. Come quando pretendeva che il Milan di Capello vincesse campionati e coppe vincendo tutte le partite (o almeno non perdendone nessuna), Berlusconi sta commettendo l’errore di credere che in Italia si possa conservare il potere solo esercitandolo continuativamente. La storia gli insegna che non è così, e che nessuno è entrato al Quirinale da presidente del consiglio uscente (da presidente della camera invece sì, ci sarebbe da preoccuparsi).

lunedì 13 dicembre 2010

Il primo ministro, aperte virgolette, “si conosce, e conosce la gente che lo circonda: la stima poco, forse punto, ed ha il torto di darlo a vedere. Non tollera eguali, non essendo abituato a incontrarne molti. Chiunque pratica con lui, deve sottostargli, e rassegnarsi a vedersi rimestato, impastato dalla potente sua mano. Si comporta nella Camera assolutamente come se la sinistra non esistesse, come se egli fosse nel suo salotto, e in casa sua, tra’ suoi familiari, specialmente se è annoiato. Egli parla, ride, volta indifferentemente le spalle ai colleghi, si accoccola, sbadiglia, tormenta col tagliacarte il velluto della tavola… se fosse in America, appoggerebbe i piedi sul banco! Egli non vede là se non la Maggioranza, la sua Maggioranza, che è quanto dire gli amici a tutta prova, i seguaci, i confidenti… Il diplomatico è gigante; l’amministratore mediocre; l’uomo un’antitesi. Con lui non si resta mai in una posizione equivoca: o ubbidire o rivoltarsi”. Chiuse virgolette. Abbiamo trasmesso un passo scritto da Ferdinando Petruccelli della Gattina (I moribondi del palazzo Carignano, 1862) dedicato alla figura di Camillo Benso conte di Arcore.

venerdì 10 dicembre 2010

Moralisti dal ditino perpetuamente puntato verso l’uccello di Berlusconi (o di Fini, o di Marrazzo, o di Sircana, o di Mele: fa lo stesso e non m’interessa), time out! Fermatevi un attimo, rinfoderate l’indice e chiedetevi se preferite vivere in Italia o in Inghilterra. In Italia ci sono le Noemi, le Ruby, il bunga bunga, i trans in casa, i trans per strada, i party con la cocaina, De Michelis, Pomicino, tutto quello che volete. In Inghilterra non c’è niente di tutto questo: com’è noto, i politici britannici non ce l’hanno e, se poco poco si scopre che uno ha una storia con la segretaria o una giornalista (vedi l’ottimo ex ministro David Blunkett), non resta al suo posto per un istante di più. Per evitare di vedere l’ovvio in Inghilterra si applica una sorta di rimozione di massa, venuta prepotentemente a galla lo scorso 6 dicembre. Di primissima mattina il conduttore dell’approfondimento politico su una radio della BBC ha dichiarato che era un onore avere ospite il ministro della cultura Jeremy Hunt; solo che è inciampato su una consonante e l’ha chiamato Jeremy Cunt, traducibile in Geremia Fica. Imbarazzo. Poche ore dopo l’anchorman televisivo Andrew Marr, peculiare incrocio fra Bruno Vespa e Max von Sydow, ha riferito l’incidente occorso al suo collega ma, vuoi o non vuoi, nel tentativo di trovare una perifrasi per evitare l’impronunciabile è finito per inciampare sulla stessa consonante e ha fatto riferimento al ministro nuovamente come Jeremy Cunt. Ulteriore imbarazzo. Nel pomeriggio, alla Camera dei comuni, una parlamentare laburista ha rimproverato i tagli a un esponente conservatore, contestandogli una lista dettagliata di provvedimenti governativi. Ora, “tagli” in inglese si dice “cuts”. Giuraddio, il suo interlocutore le ha risposto irritatissimo: “Non accetto che questi siano dei tagli”, solo che anche lui è inciampato su un’altra consonante e ha dichiarato stentoreo: “I don’t accept that those are cunts”, “non accetto l’idea che si tratti di fiche”. Poi per fortuna la giornata è volta al termine e, più che archiviata, è stata censurata. Io ho l’impressione che in Italia ci si diverta di più e che nessuno rischi un lapsus.

giovedì 9 dicembre 2010

Non voglio compiere trent’anni, anzitutto perché gli italiani che compiono trent’anni diventano improvvisamente giovani: se si sposano sono dei giovani mariti, se fanno un figlio sono dei giovani padri, se scrivono un libro sono dei giovani autori e se muoiono erano giovani, che peccato. Cos’ho imparato dalla mia vita? Che sono nato in un posto dove oggi ci sono venti gradi e trent’anni dopo mi ritrovo in un posto dove per non restare congelato in mezzo alla strada devo indossare la calzamaglia come se ne avessi ottanta: che bel guadagno. D’altronde mi è stato detto di non preoccuparmi perché dimostravo trent’anni già da tempo; sarà stato perché nei due decenni scorsi, mentre i coetanei si divertivano, io mi esercitavo a diventare il più grande autore della mia generazione e oggi non posso permettermi un piano b in quanto, se pure rinunciassi all’inverosimile intento, ormai non potrei più divertirmi per raggiunti limiti strutturali (artrosi). L’anno scorso ho festeggiato da solo a San Pietroburgo, due anni fa ero andato apposta a Modena in giornata, vivendo più a portata di mano. Gli ebrei usano dire: “L’anno prossimo a Gerusalemme” e ognuno ha la Gerusalemme sua, chissà mai se ci arriverò; diciamo che sto facendo il giro largo. Non voglio compiere trent’anni ma d’altronde l’unica alternativa percorribile non sembra allettante.

mercoledì 8 dicembre 2010

Critici letterari convinti che non serva leggere un libro per recensirlo, devo sconfessarvi a malincuore: in realtà per recensire un libro non serve nemmeno saper leggere. L’altro giorno, alla Nuova Libreria il Delfino di Pavia, la figlia del libraio (quattordici mesi d’età) dopo essere stata estratta dal passeggino ha camminato sicura verso una pila di libri, ha accarezzato il faccione di Tony Blair sulla copertina della sua autobiografia, quindi improvvisamente s’è scurita in volto, ha iniziato a strillare e afferrato un altro libro lo ha scagliato a terra come il più incazzato dei Mosè con le tavole della legge di fronte al vitello d’oro. Giusto per curiosità, siamo andati a controllare di cosa si trattasse. Era per caso l’Alfabeto pirandelliano di Sciascia? Era mica la trilogia di Zuckerman di Philip Roth? Era l’ultimo libro del Papa? Macché: era L’Italia de noantri: come siamo diventati tutti meridionali, di Aldo Cazzullo.

martedì 7 dicembre 2010

Analisti politici che non vi capacitate delle percentuali della Lega su scala nazionale, eccovi un’esercitazione pratica in tre mosse per capire perché l’Italia diventerà leghista prima ancora che vi risvegliate dai vostri sondaggi. Prima mossa: andate all’estero per qualche mese, foss’anche nell’Inghilterra ormai interamente ostaggio degli immigrati. Seconda mossa: quando vi siete abituati a stare fuori dai confini patri, prendete un aereo per Linate e di lì la navetta per Pavia. Terza mossa: di fronte alla stazione di Pavia aspettate l’autobus per il centro. Noterete un rumeno e un marocchino che litigano, in italiano relativamente forbito. Il marocchino rimprovererà al rumeno i suoi scarsi successi col gentil sesso rifacendosi alla tradizionale dotazione corporale maghrebina. Il rumeno risponderà: “Guarda che io chiamo i carabinieri e ti uccido di botte davanti a loro, tanto danno ragione a me perché io sono cittadino europeo e tu sei meno di zero”. Il tutto senza bisogno di tredicenni ammazzate né di ciclisti investiti.

lunedì 6 dicembre 2010

Progressisti adepti di Saviano, forse addirittura più savianisti dell'originale, mi siete venuti in mente durante i lunghissimi controlli di sicurezza all'aeroporto di Heathrow: e metti l'orologio nel borsello, e sfilati il borsello, e levati le scarpe, e togliti non solo il giubbotto ma anche la giacca e la sciarpa, e non passare attraverso il metal detector se hai dimenticato addosso la cinghia, e ripassa attraverso il metal detector in un senso e nell'altro, e spalanca le braccia per farti perquisire, e scansa gli sguardi ostili nel minuto di tempo che hai per rimontarti da capo facendo attenzione a non mettere il borsello al posto delle scarpe e la cinghia al posto della sciarpa... Mi siete venuti in mente quando mi sono chiesto come mai una buona percentuale degli addetti ai controlli antiterrorismo fosse composta da mussulmani. Insomma, vorrei sapere come reagireste voi se attorno all'Italia venisse finalmente elevata una cortina anticamorra e chiunque cercasse di oltrepassarla venisse sottoposto a rigorosi controlli di sicurezza effettuati da personale in buona parte proveniente da Casal di Principe.