lunedì 31 marzo 2014

La querelle fra Pietro Grasso e Matteo Renzi è già stata risolta duecentocinquant'anni fa. Riassumendo, Renzi auspica una riforma del Senato basata su quattro punti: il Senato non vota la fiducia; non vota le leggi di bilancio; non è eletto; non prevede indennità. Grasso, intervistato da Lucia Annunziata, risponde che quanto a sé è il primo rottamatore del Senato, per carità, che non è né un parruccone né un conservatore, ci mancherebbe, ma che nella sostanziale abolizione dell'organo di cui è presidente ravvisa "una diminuzione degli spazi di libertà e di democrazia".

Nel Settecento francese andava di moda il dibattito politico sui "corpi intermedi" (pouvoirs mitoyens), ossia gli organi che facevano da intercapedine fra il potere del sovrano e i sudditi. Il più ingombrante era il parlamento, che all'epoca era composto da nobili e amministrava il potere giudiziario; ce n'era uno per ogni città principale e ciascuno di essi aveva diritto di dispensare giustizia in modo diverso dall'altro. Uno dei massimi sostenitori teorici dell'importanza dei corpi intermedi per la salvaguardia del retto governo di una nazione era Montesquieu, storico erudito, attento studioso delle forme politiche, celeberrimo autore de Lo spirito delle leggi, barone e incidentalmente presidente del parlamento di Bordeaux. Voltaire commentò che se le leggi venissero emanate da un droghiere, sarebbe obbligatorio comprare la noce moscata.

venerdì 28 marzo 2014

Al termine della convulsa giornata di ieri ho raccolto alcune dichiarazioni incoraggianti di Barack Obama: "Sono rimasto molto colpito dall'energia e dalla visione di Matteo Renzi. L'ho trovato molto ringiovanito rispetto a quando mi chiamava urlando Mister Obbamaaa. Mi incuriosiscono molto le sue riforme, anche se non ho capito bene il lodo Batistuta, e secondo me ha fatto bene a cercare a tutti i costi l'accordo col capo delle opposizioni Henry Coletta. So che ha portato una ventata di novità nella politica italiana, dando più sprint alla comunicazione e tagliando apparato e burocrazia. Ammiro molto la sua capacità di twittare Arrivo, arrivo e di affacciarsi al balcone dicendo parole semplici: Buongiorno, buonasera, buon pranzo. Non capisco perché ogni tanto si vesta di bianco, presumo che sia un'usanza medievale degli antichi romani. Mi ha fatto visitare il Colosseo, che è più grande di uno stadio di baseball ma meno del nuovo stadio intitolato a Francesco Totti, eroe della prima guerra mondiale (1618-1872), e tutti gli altri monumenti più importanti della città: San Pietro, San Paolo, San Gennaro, San Remo, San Francisco, San Tropez, gli Uffizi, la Lanterna, la Mole, l'Arena di Verona, il Duomo di Milano e la Torre di Pisa. Ho molto apprezzato la sua scelta di far decorare i marciapiedi con buche e spazzatura: un sommesso ma azzeccato omaggio alle attrattive di New York. Gli ho fatto i complimenti per l'Oscar a La grande vita è una dolce bellezza, in cui recita benissimo: è un film meraviglioso, commovente, specie la parte in cui scopre che Delmore Barry è morto di cancro per esposizione all'agente arancio e allora urla: Adrianaaaaa. Insieme al regista Gabriele Tornatores mi ha mostrato l'albero dove crescono i fenicotteri. Poi mi ha fatto una grande sorpresa presentandomi gli idoli della mia infanzia: Dante, Petrarca, Boccaccio, Machiavelli, Leonardo in codice Da Vinci e  Lorenzo il Megafono. Siamo andati tutti insieme a mangiare da Masterchef. Io amo la cucina tipica italiana: l'amatriciana, il cacio e pepe, la coda alla vaccinara, i carciofi alla giudia, i saltimbocca, l'abbacchio e le galline perché so' senza spine,  la pajata, la patata, i tacos, la paella, gli escargot, i bratwurst-mit-krauten-und-erbeeren-und-patellen-und-arsellen-fischen-Zanzibar, il sushi e il Big Mac. Ho rassicurato tutti i romani: la Juventus quest'anno è fortissima e vincerà sicuramente il Superbowl. Mi ha fatto piacere anche incontrare il Papa, mi diverte molto il suo forte accento napoletano e il solito scherzo che mi fa ricordandomi di quand'era comunista".

giovedì 27 marzo 2014

Io quand'ero piccolino avevo dunque questo giornalaio comunista - nel senso proprio di iscritto al partito indipendentemente dal nome che via via cambiava - il quale era così gentile da tenermi ore e ore in edicola a leggere quello che mi pareva, ragion per cui se ho sviluppato quello che eufemisticamente potrebbe essere definito un penchant per il giornalismo, e se di conseguenza anche in questo momento sono qui che scrivo, è colpa sua e sapete con chi prendervela. Fra i giornali che teneva in bell'evidenza e che io a maggior ragione leggevo spiccava Cuore, celeberrimo inserto satirico diretto da Michele Serra al quale l'Unità ha dedicato ieri buona parte del massiccio speciale sulla satira di sinistra. Ieri quindi, pur vivendo ormai in una città diversa dove non ho giornalai comunisti di fiducia, e pur essendo lo speciale esaurito in un batter d'occhio così da costringermi a una marcialonga per rinvenirlo alfine in un'edicola strategicamente piazzata all'incrocio fra tre strade deserte, mi sono sentito in dovere di comperare lo speciale e il quotidiano allegato, l'Unità. Se non che percorrendo l'interminabile strada del ritorno l'occhio mi è caduto sul prezzo dello speciale: "Allegato gratuito  - Da vendere esclusivamente in abbinamento al quotidiano l'Unità di mercoledì 26 marzo". Allora mi sono rallegrato per la scelta radicale di offrire giornali gratis al popolo e sono andato a controllare il prezzo dell'Unità, che quotidianamente è di 1, 30 euri. Miracolosamente, ieri ne costava 2; allora ho come intuito perché non hanno mai più fatto la rivoluzione proletaria.

mercoledì 26 marzo 2014

"Le ragazze", scrive Terry Southern in Candy (Elliot edizioni), "volevano soltanto essere desiderate avidamente e provocare una brama fisica così incontenibile che, nonostante ogni sforzo in senso opposto per raggiungere un vero rapporto spirituale, la loro bellezza si imponeva in modo così prepotente e indiscutibile da ridurre un essere complesso come il maschio a una semplice bestia da sfamare". Questa e altre considerazioni sull'etica contemporanea, oltre che sulle versioni porno di classici della letteratura e su una citazione quasi sbagliata, in edicola sul Foglio di oggi.

martedì 25 marzo 2014

La madre dei cretini è sempre incinta e non disdegna i parti gemellari. Da dieci giorni ho in mente una notiziola che ho letto e mi ha colpito per la concentrazione apicale di sragionamenti. Una senatrice ciociara del Pd ha chiesto di legalizzare la prostituzione e il suo parroco l'ha pubblicamente sconfessata durante un'omelia davanti agli augusti parenti della parlamentare. Il parroco ha perso un'occasione per tenere la bocca chiusa: anzitutto perché se non erro nel Vangelo c'è scritto che se uno commette una colpa, devi prima ammonirlo in privato, poi con due persone fidate e solo in terzo luogo in un'assemblea; poi perché anziché parlare con la senatrice ha rilasciato un'intervista a un giornale; quindi perché nell'intervista il prete cercava di camuffarsi da assessore dicendo che "quando lo Stato legalizza un crimine siamo di fronte alla sconfitta dello Stato"; infine perché il meglio è nemico del bene e quindi un buon cattolico dovrebbe preferire una prostituta sana e protetta a una indifesa e minacciata, in attesa di tempi migliori.

Spedito il parroco a rileggersi San Tommaso, passiamo alla senatrice. Anche lei ha perso un'ottima occasione di non farsi notare. Anzitutto rivendicando che nessuno aveva mai osato attaccarla dando un giudizio morale; perché, dovevano attaccarla dando un giudizio estetico? un giudizio agonistico? un giudizio sintetico a priori? Poi perché secondo lei il disegno di legge non serve a riaprire le case chiuse ma a sancire "l'autodeterminazione delle donne". Quindi perché ha dichiarato di averlo presentato perché si sentiva "in linea con la svolta di Papa Francesco", che tuttavia supponevo avesse altre priorità.

Non sarà proprio un gemello ma è almeno un lontano cugino l'estensore dell'articolo su Repubblica il quale, cercando per questa storia una prospettiva simpatica ma vibrante, sferzante ma ironica, erudita ma sagace e, soprattutto, originale ha aperto l'articolo scrivendo "Sembra di essere tornati ai tempi di Peppone e Don Camillo" e l'ha chiuso con "Il duello tra Don Camillo e Peppone riparte".

lunedì 24 marzo 2014

Non capisco niente di motociclismo - l'unico caso in cui la Moto Gp sia stata in grado di farmi sollevare un sopracciglio d'interesse è stato quando Max Biaggi tentò di centrare in pieno Valentino Rossi che impennava per festeggiare una vittoria - ma temo che, in caso contrario, comunque non sarei in grado di capire la scelta operata da SportWeek per presentare la stagione di corse iniziata ieri. Il settimanale della Gazzetta ha chiesto ai ventitré piloti di scattarsi un selfie che ha corredato di tre tweet di commento. Naturalmente i tweet erano fasulli, sia nel senso che sembravano scritti in prima persona dal pilota ma non lo erano affatto, sia nel senso che trattandosi di frasi pur inferiori ai fatali 140 caratteri ma pubblicate su un quotidiano anziché sull'apposito sito internet non erano, per definizione, dei tweet. Anche i selfie erano sospetti, nonostante che in un angolo di ciascuna fotografia arrivasse il braccio del pilota che teoricamente doveva star reggendo il telefonino; ma la luce e la posa sembravano denunciare quanto meno l'occhio di un professionista se non la sua mano. Paragonate uno di questi selfie a quello celeberrimo fatto davvero a capocchia da star alla rinfusa durante la notte degli Oscar e la differenza è cristallina.

Due conseguenze. La prima è che non so quanto convenga a un mezzo di comunicazione di mimetizzarsi su un mezzo di comunicazione diverso. Perché un giornale dovrebbe vendere più copie pubblicando selfie e tweet come se fosse un sito anziché della carta? Se vado in edicola a comprare un giornale, ci vado perché voglio della carta; se volessi selfie e tweet starei già comodo su internet senza dover uscire di casa. Poniamo che vada di moda la cucina thailandese, che piace a molti ma ad alcuni no: se io fossi il proprietario di una trattoria pugliese, mi converrebbe sostituire alle orecchiette le porcherie che mangiano i thailandesi e che non so nemmeno come si chiamano? Se lo facessi, prenderei comunque gli scarti degli appassionati di cucina esotica che continuerebbero ad andare a mangiare nei ristoranti thailandesi originali. Se invece non lo facessi, raccoglierei attorno a me una minoranza solida, per quanto progressivamente accerchiata, di orecchiettomani fidelizzati.

La seconda conseguenza è che l'editoria italiana crede al potere magico delle parole. Non solo è convinta che basti trasformare un libro in ebook per avere più lettori quando invece, se uno non legge su carta, non leggerà nemmeno senza carta; è anche convinta che le immagini possano essere interessanti solo se sono dei selfie. Non degli autoscatti; dei selfie. Lo so che è uguale, ma è diverso. Ieri Repubblica ha stabilito un nuovo record pubblicando l'immagine di un signore che si è messo completamente nudo in una sala degli Uffizi e spacciandola per selfie nonostante che il soggetto fosse ritratto di profilo e da una distanza di almeno dieci metri. Si vede che, se all'uomo nudo degli Uffizi fosse stata scattata una fotografia, non sarebbe stata sufficiente a diventare una notizia.

venerdì 21 marzo 2014

Oggi purtroppo è la giornata europea o forse mondiale della poesia quindi il cortile principale dell'Università di Pavia  è invaso da individui che non solo leggono sussiegosamente le loro poesie preferite, quando non direttamente scritte da loro perché se ogni poeta è un uomo allora ogni uomo è un poeta, ma lo fanno scientemente di fronte a torme di bambini costretti ad ascoltarli e in alcuni casi estremi addirittura conciati come uomini sandwich, coi corpicini rinchiusi fra poesie scritte su cartelloni attaccati con metri di nastro adesivo attorno alle spalle. Ebbene, meno male che non mi hanno fermato per chiedermi di intrattenermi con loro e recitare la mia poesia preferita perché, preso il microfono, avrei con ogni probabilità iniziato a declamare quella di Philip Larkin (1922-1985) che mi piace molto per il modo in cui esprime scabra rassegnazione fra parentesi e che fa

Sexual intercourse began
in nineteen sixty-three
(which was rather late for me)
between the end of the Chatterley's ban
and the Beatles' first LP,

eccetera ecceetera; se non che sarebbe stato disdicevole che di fronte a dei bambini io recitassi una poesia in inglese, lingua che non tutti loro sono in grado di comprendere (gli adulti, invece...). Ciò purtroppo escludeva anche altre prestigiose possibilità, che gli attuali professori delle medie superiori non avrebbero esitato a definire "importanti", come l'arcade veneziano Giorgio Baffo (1694-1768) ove questi ad esempio racconta che

Gi era un dì in una calle ceh pissava
e s'un balcon ghe giera un muso belo;
vedeva ch'ella fiso me guardava
e mi senz'altro mòstreghe l'oselo,

eccetera eccetera; oppure il più comprensibile e altrettanto italiano, ma ahilui di eloquio non abbastanza piano, Giuseppe Gioachino Belli. Peccato perché di fronte a un pubblico di infanti Belli sarebbe risultato ben più educativo in quanto intuì e risolse la questione delle pari opportunità e delle quote rosa ben prima di Laura Boldrini, scrivendo in un sonetto che

Er cazzo se po' dì rradica, uscello
ciscio, nerbo, tortore, pennarolo,
pezzo de carne, manico, scetrolo,
asperge, cucuzzola e stennarello,

eccetera eccetera; e in un altro sonetto che invece

Chi vvò cchiede la monna a Caterina
pe ffasse intenne da la ggente dotta,
je toccherebbe a ddì vvurva, vaccina,
e ddà ggiù co la cunna e cco la potta,

eccetera eccetera; peccato dunque che ai bambini lombardi venga precluso il confronto con culture diverse da quella in cui vengono educati, preferendosi rimbambirli a furia di Rabindranath Tagore (1861-1941) o di Wiszlawa Szymborska (1923-2012) se non addirittura di Mahmud Darwish (1941-). Già che erano a Pavia, sarebbe forse stato allora il caso di confrontarsi con tradizioni locali quali la tragedia goliardica in versi Ifigonia in Culide, il cui coro si dice fosse stato scritto addirittura da Gabriele d'Annunzio (1863-1938) in persona, come si potrebbe effettivamente evincere dal ritmo impeccabile di

Siamo le vergini dai candidi manti
siam rotte di dietro ma sane davanti
i nostri ditini son tutti escoriati
a furia di cazzi che abbiamo menati,

eccetera eccetera; per quanto sia comprensibile che a dei bambini non venga sottoposto un testo del genere, sia per via delle inquietanti connessioni politiche di d'Annunzio, sia perché la metrica si rifà a uno stucchevole neoparnassianesimo, sia perché soprattutto l'edizione più diffusa della tragedia riporta il grave refuso "tuffi escoriati" in luogo di "tutti escoriati". Meglio allora concentrare i loro piccoli cervelli su autori più affidabili stilisticamente e politicamente come potrebbe essere un Samuel Beckett (1906-1989), il quale non solo fu ottimo poeta di per sé (la sua prima raccolta Whoroscope può essere resa in italiano col titolo Troioscopo) ma volle anche spingersi fino a integrare la poesia alle altre arti, facendo in modo di includere all'interno degli sferzanti dialoghi dei suoi drammi anche bei versi quali il sottovalutato sirventese che recita (traduco)

Vago augellin, vola da lei
nasconditi fra i tuoi seni;
dille che l'amo più degli occhi miei
e che ne ho i coglioni pieni,

eccetera eccetera; per quanto possa magari essere deleterio in effetti sottoporre degli innocenti a una presa di posizione così netta in materia di gender, con un poeta che senza vergogna dichiara non solo che lui dispone degli organi che lo rendono maschio ma perfino che il destinatario dei versi dispone di organi che lo rendono una femmina, senza che a nessuno di loro sia consentito scegliere fra le 51 (cinquantuno) diverse identità sessuali sulle quale può sbizzarrirsi chi volesse iscriversi a facebook. Antichità che possono agevolmente essere superate affidandosi ai versi di un autore impossibile a sospettarsi di preferenze discriminatorie quale Marcel Proust (1871-1922) il quale, pur prediligendo con ogni evidenza la compagnia dei ragazzi, pure volle dedicare buona parte della sua produzione alle ragazze: non ultimi i versi di un poemetto d'occasione molto apprezzato nei salotti parigini la cui traduzione potrebbe suonare

Ma preferite i colori evocati
dalla medusa con riflessi ambrati
unico nettare che per voi scorra
fanciulle in fiore assetate di,

eccetera eccetera.

giovedì 20 marzo 2014

La vita è fatta di priorità che variano in base a chi siamo e cosa vogliamo, e possiamo viceversa capire chi siamo e cosa vogliamo in base a esse. Vale per gli individui come anche per i quotidiani. Ad esempio il Corriere della Sera, che è il giornale istituzionale par excellence, aduso a setacciare il flusso degli eventi e a piombare i più importanti per trasformarli in avvenimenti storici, ieri titolava: "Putin si annette la Crimea". Impeccabile. La Stampa, che è secondo un antiquato adagio il giornale dei padroni, mostrava un netto interesse economico: "Tagli, si arriva a 5 miliardi"; l'Unità, che è invece il giornale dei lavoratori e quindi è giustamente tarato sui loro interessi, titolava più criticamente: "Pensioni e statali, pericolo tagli". Il Messaggero, che mica per niente è di Roma, inaugurava il titolone con una parola magica: "Statali, mobilità e stop ai premi". La Gazzetta dello Sport, occupandosi di sport, puntava il mirino sulla "Caccia a Galliani". Ecco, tutto questo per dire che con quest'ampia scelta la Repubblica di ieri titolava: "Berlusconi, vietata la candidatura".

mercoledì 19 marzo 2014

Voi non ci crederete ma c'è un sottile filo complottista che lega Bettino Craxi al cardinal Ruini, Raf a Ruby Rubacuori, il cardinal Bagnasco a Guerre Stellari, per poi culminare nell'identificazione mistica fra Silvio Berlusconi e Joseph Ratzinger, non a caso entrambi cattolici. Voi ci crederete ancora meno ma a salvarci da questo marasma è stato chiamato Roberto Baggio. Voi escluderete a priori di crederci ma tutto ciò è stato scritto in un autorevole saggio Einaudi, Creduli e credenti di Marco Ventura. Se proprio non riuscite a crederci, comprate il Foglio di oggi e spiego tutto lì.

martedì 18 marzo 2014

Cose che accadono sui campi di calcio e più precisamente ieri sera, nell'inconsueto posticipo del lunedì fra Roma e Udinese. Antonio Di Natale, che inizia ad avere una certa età e a non segnare più come una volta, tira in porta a colpo quasi sicuro ma Morgan De Sanctis salva la porta della Roma con una parata sensazionale. Mentre la palla rotola via Di Natale si avvicina a De Sanctis che esulta, si complimenta e gli concede un mezzo abbraccio, come se giocassero nella stessa squadra. Più tardi Di Natale tira di nuovo in porta a colpo quasi sicuro e di nuovo De Sanctis si produce in una parata spettacolare. Di Natale, non avendo letto Marx secondo il quale la storia è tragedia quando accade ma farsa quando si ripete, dà una spinta a De Sanctis suggerendogli di andare a fare in culo. Verso la fine della partita Di Natale ci prova ancora e ancora De Sanctis para con agilità estrema. Di Natale si gira, allarga le braccia e se ne va ridendo - ma è riso isterico, esasperato.

Cose che invece accadono attorno ai campi di calcio. Domenica mattina la Gazzetta dello Sport titolava una pagina interna dando una sorprendente notizia sull'allenatore serbo della Sampdoria, Sinisa Mihajlovic, che fino a pochi giorni fa non era noto per le raffinate letture. "Mihajlovic", scriveva la rosea, "ora cita Dante" - e la citazione dantesca era, stando al titolo, "Samp, ti porto in Paradiso". (Fra parentesi, per stomaci forti, ricopio l'esegesi: "So che Dante quando scriveva la Divina Commedia si riferiva ad altro, ma vorrei applicarla al calcio, spronare questi ragazzi ad andare oltre, ad essere ambiziosi, a non accontentarsi di un obiettivo quasi raggiunto". Cesare Segre non ha retto). Risultato, poche ore dopo la Sampdoria perde 0-3 con l'Atalanta e il giorno dopo Mihajlovic cita un passo meno noto di Dante, ove il Poeta scriveva: "Siamo una squadra senza palle". Non specifica se si tratti del Fiore o del Detto d'amore.

lunedì 17 marzo 2014

La madre dei cretini è sempre incinta e ultimamente capita spesso che sia italiana. Esempio precipuo ne è la stessa giornata di oggi, 17 marzo. Qualcuno ricorderà che nel 2011 era stata istituita un'ulteriore festa nazionale - poiché non ne avevamo a sufficienza - per celebrare nella data odierna l'unificazione dell'Italia. Il governo nella fattispecie non s'era nemmeno peritato di specificare ufficialmente il motivo esatto per cui fosse stato scelto proprio il 17 marzo, limitandosi a diramare la sempre benaccetta notizia che "scuole e uffici resteranno chiusi".

(Nello stesso comunicato veniva reso noto che era stato deciso l'inserimento nel calendario delle celebrazioni ufficiali del 150° "delle tre più popolari manifestazioni del nostro paese": il Giro d'Italia, il Festival di Sanremo e, ehm, la Coppa Italia).

Dopo di che qualcuno aveva fatto notare che in Italia abbiamo più feste civili di quante feste religiose avessero nella cattolicissima Spagna di metà Seicento: e il 17 marzo, e il 25 aprile, e l'1 maggio, e il 2 giugno... Si vede che siamo patriottici però è meglio non esagerare. Allora si era deciso genialmente che il 17 marzo sarebbe stato festa nazionale solo nel 2011 ma, a partire dal 2012, sarebbe tornato a essere giorno feriale come fino al 2010.

Risultato primo: ne consegue logicamente che l'unificazione dell'Italia vada festeggiata solo a cifre tonde. Risultato secondo: dovendo scegliere di sacrificare una festa fra la liberazione, i lavoratori, la repubblica e l'Italia, l'Italia ha scelto di sacrificare l'Italia. Risultato terzo: oggi tutti noi lavoriamo ma abbiamo in mente un rovello che ci porta a controllare l'agendina dicendo fra noi e noi, come altrettanti picchiatelli: "17 marzo, 17 marzo, eppure mi ricordavo che c'era ben qualcosa il 17 marzo". Risultato quarto: essendo stato proibito dal governo di celebrare l'unificazione che lo stesso governo aveva imposto di celebrare, una buona parte degli italiani - fanno fede i manifesti delle discoteche affissi nelle varie città - oggi va a ubriacarsi per festeggiare San Patrizio, patrono d'Irlanda. Il cerchio si chiude: propongo pertanto che il 17 marzo diventi festa dell'identità nazionale italiana, che si vergogna di celebrare sé stessa ma è sempre felice di scodinzolare agli stranieri.

venerdì 14 marzo 2014

Nel marzo 1926 Gabriele d'Annunzio mangia un uovo sodo: da lì parto per spiegare il senso della nuova biografia del Vate scritta dalla storica inglese Lucy Hughes-Hallett e pubblicata in Italia da Rizzoli. Dettaglio non trascurabile: questo saggio dannunziano lo scorso anno ha vinto il Samuel Johnson Prize, ossia il cospicuo riconoscimento per il miglior saggio dell'anno in Inghilterra, mentre in Italia, dove le cose vanno diversamente, la biografia dannunziana alla quale la Hughes-Hallett si è evidentemente ispirata è sparita dagli scaffali per mezzo secolo - adesso però mi fermo perché altrimenti scrivo tutto qui e non comprate più il Foglio in edicola oggi, dove trovate il resto.

giovedì 13 marzo 2014

Papa Francesco compie un anno di pontificato e io non ho voglia né tempo di scrivere cose nuove al riguardo, sia perché sono sopraffatto dalla fresca lettura di Questo Papa piace troppo di Giuliano Ferrara, Gnocchi & Palmaro (Piemme), sia perché pare che tutte le cose brillanti da dire nella circostanza le abbia esaurite Massimo Gramellini ieri su La Stampa, e chi sono io per imitarlo?

Mi limito dunque a rimestare nel torbido consigliando la rilettura del lungo articolo su Tempi in cui spiegavo perché il Papa ha scritto a Eugenio Scalfari e non, poniamo caso, a Tempi; dell'esortazione a salvare il Papa da Roberto Saviano, da Gianluigi Nuzzi, da Laura Boldrini e pure da Jorge Mario Bergoglio; dell'approfondita intervista a Giovanni Filoramo che sul Foglio faceva capire che differenza passa fra il Papa e San Francesco; infine della recensione al numero dell'Osservatore Romano uscito un anno fa, proprio la sera dell'elezione di Papa Francesco.

Siccome ho già visto che in giro c'è qualcuno che approfitta della ricorrenza per lasciarsi andare a rimpianti ingiustificati, ricopio per intero quello che dopo la visita di Bergoglio a Ratzinger mi era venuto spontaneo scrivere per tranquillizzarmi:

Due Papi, dunque, per noi non sono niente di traumatico. Così, mentre pondero sull’evenienza di promuovere mia madre a mamma emerita e prendermene una più giovane e vicina ai bisogni della gente, lei stessa mi fa notare che nessuno dei logorroici vaticanisti a sproposito ha tenuto presente che ciò che dicono e scrivono è direttamente fruibile da Ratzinger, e che questi sperticati elogi (sovente aprioristici) nei confronti del nuovo che avanza potrebbero ferirlo, suonando come altrettanti sospiri di sollievo per essersi disfatti di un Papa che non sapeva bene come si baciassero i bambini. La solitudine di Ratzinger a Castel Gandolfo è stata alleviata dalla visita di Papa Francesco, e sarò ingenuo ma credo che soprattutto a questo fossero volti il pranzo e la preghiera di ieri, più che al passaggio segreto di buste esplosive. Mentre osanniamo le novità, indubbiamente benvenute in Vaticano, ricordiamoci che a Castello c’è quest’uomo di ottantasei anni che un po’ passeggia col bastone e il piumino trapuntato, un po’ suona il pianoforte, un po’ accarezza i gatti, un po’ legge e scrive; e che sempre si ricorda delle parole dal Vangelo di Giovanni che nel 2005 vennero pronunziate alla sua Messa di incoronazione. Dice Gesù risorto a Pietro: “Quando eri più giovane ti cingevi la veste da solo e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti cingerà la veste e ti porterà dove tu non vuoi”. Otto anni dopo Ratzinger sa che anche per lui che è stato Papa, quando il passo gli si farà incerto e la vista verrà meno, ci sarà sempre un Papa che lo prenderà per mano. 

mercoledì 12 marzo 2014

Una volta passi, due no. La stagione di prosa del teatro Fraschini prevede ogni anno un turno infrasettimanale che, nel caso del mio abbonamento, cade sempre di martedì. Lo scorso anno era coinciso con una partita del Milan, e che partita: la trasferta a Barcellona del 12 marzo 2013 per gli ottavi di Champions League, dopo che l'andata era finita 2-0 per noi. Io sono una persona civile e a teatro non porto mai il telefonino onde non correre il rischio di disturbare. Mi ero quindi messo l'animo in pace riguardo al risultato, che avrei appreso solo rincasando a spettacolo finito. Il sipario si alza sempre alle 21 quindi d'abitudine mi muovo da casa un quarto d'ora prima, proprio al momento del calcio d'inizio. L'anno scorso, nemmeno il tempo di arrivare all'angolo dell'isolato del teatro e il maxischermo di un locale guardato furtivamente attraverso la vetrina mi aveva informato che Messi aveva già segnato e che il Barcellona (che mi fa schifo) stava già vincendo 1-0. La partita era virtualmente finita prima ancora che lo spettacolo fosse iniziato e, rientrato a casa, avevo appreso che il Milan ne aveva presi quattro. Anche ieri il sipario si alzava alle 21, anche ieri mi sono mosso di casa al calcio d'inizio, e nemmeno il tempo di uscire dall'antistante piazza con ampio parcheggio che l'urlo di un guidatore munito di autoradio mi ha informato che Diego Costa aveva già segnato e che l'Atlético Madrid stava già vincendo 1-0. La partita è virtualmente finita prima ancora che lo spettacolo iniziasse e, rientrato a casa, ho appreso che il Milan ne aveva presi quattro. L'anno prossimo mi conviene rinnovare l'abbonamento alla stagione di prosa o anziché andare a teatro resto a casa a guardare la partita? Alla fine l'occhio non vede ma il cuore duole lo stesso.

martedì 11 marzo 2014

Se andate sul sito di Tempi trovate scritto:

Sulle sempre emozionanti pagine di Repubblica, oggi l'esimia giurista Lorenza Carlassare dichiara che se anche fossero passati i fallimentari emendamenti pro-quote rosa si sarebbe comunque trattato di una soluzione di compromesso nonché anticostituzionale. Che si trattasse di alternanza in lista o di divisione percentuale dei posti fra uomini e donne, sostiene infatti la Carlassare, comunque la nuova legge elettorale non avrebbe rispettato il principio di pari chance di venire eletti. Per ottenere la completa parità bisognerebbe invece, sostiene l'esimia giurista, pensare al doppio capolista e alla doppia preferenza.

Mi sembra che le sue parole indichino la strada giusta per porre fine all'otto marzo più lungo della storia. L'elettore deve avere a disposizione un doppio voto da assegnare a un doppio candidato, maschio e femmina, incluso nella lista guidata da due capilista, maschio e femmina. Gli eletti devono poi sedere in un doppio parlamento, uno maschile e uno femminile, ciascuno dei quali eleggerà rispettivamente un doppio presidente, uno maschio e una femmina. Si realizzerà così il quadricameralismo perfetto. Il presidente della repubblica dividerà il Quirinale con la presidentessa della repubblica. Ciascuno di loro nominerà due presidenti del consiglio, maschio e femmina, che a loro volta nomineranno ministri non secondo l'erroneo e superficiale criterio seguito da Matteo Renzi - l'Interno a un maschio, gli Esteri a una femmina e così via - bensì secondo il retto criterio costituzionale indicato dalla Carlassare: il presidente del consiglio maschio nominato dal presidente della repubblica maschio sceglierà un ministro maschio e un ministro femmina per ogni dicastero; il presidente del consiglio femmina nominato dal presidente della repubblica maschio sceglierà un ministro femmina e un ministro maschio per ogni dicastero; altrettanto faranno il presidente del consiglio maschio e il presidente del consiglio femmina nominati dalla presidentessa della repubblica. Avremo così due presidenti della repubblica, quattro presidenti del consiglio e otto ministri per ogni dicastero, rispettando così appieno la parità di genere.

Fin qui l'autorevole parere di Lorenza Carlassare. Per ottenere pari chance di essere ascoltati aspettiamo tuttavia anche il doppio parere dell'esimio giurista Lorenzo Carlassare, che purtroppo a quanto pare non esiste. Ce ne faremo una ragione.

lunedì 10 marzo 2014

Ci sono cose che si capiscono e cose che si capiscono meno. Ad esempio non si capisce perché debba essere considerata discriminatoria e sessista l'imitazione di una donna, Maria Elena Boschi, a opera di un'altra donna, Virginia Raffaele. Né si capisce, a leggere i giornali, perché se io uccidessi la mia fidanzata compirei un reato più grave della mia fidanzata, qualora costei decidesse di uccidere me*; si capisce ancora meno perché un reato commesso l'8 marzo debba essere più grave di uno commesso il 7 o il 9. Non si capisce se l'8 marzo abbia poi festeggiato anche Massimo Di Cataldo la richiesta di archiviazione per percosse alla sua donna, che i più certosini di voi avranno notato in formato francobollo dopo che la stampa aveva dedicato lenzuolate alle foto di lei tumefatta. Non si capisce l'esatto senso di dichiarazioni affrettate secondo le quali "i parlamentari devono essere per metà donne": significa che sotto giacca e cravatta devono indossare la gonna o bastano rossetto e fard? Non è chiaro se la libertà della donna rivendicata a gran voce da una dozzina di manifestanti demodé si estenda fino a sgozzare i propri figli o se il caso della signora di Lecco non si configuri piuttosto come eccesso di zelo. Personalmente non capisco nemmeno il motivo per cui (mi assicurano fonti autorevoli) in una determinata parrocchia un determinato parroco abbia fatto distribuire mimose alle fedeli accompagnandole con un biglietto retorico sulla bellezza della donna; nello specifico tuttavia quest'ultimo episodio mi fa capire perché qualche giorno fa ho visto frotte di bambini mangiare beatamente un gelato col beneplacito dei genitori nonostante che fosse venerdì di quaresima.



*Mamma, non allarmarti, è un'ipotesi.

venerdì 7 marzo 2014

Non voglio essere governato dalle donne. Prima era un’intuizione sotterranea che io stesso disattendevo occasionalmente votando per questa o quella ritenendola meritevole della mia preferenza. D’altra parte, mi dicevo, cosa cambia se il politico è maschio o femmina? Ora non capiterà più, e lo dico con cognizione di causa. Carta canta. Sul Guardian ho trovato un prontuario di dieci consigli per le ragazze, solo e soltanto ragazze, che vogliono entrare in politica oggi per cambiare il mondo domani. Riassumo le istanze del quotidiano inglese a beneficio delle lettrici italiane.

Anzitutto non vogliate imitare Margaret Thatcher ma Stella Creasy, in modo tale da “non dover più sopprimere la vostra personalità né compromettere i vostri valori”, come a quanto pare faceva la Thatcher, ma da “mischiare compassione, famiglia, accudimento e cura con aspirazione, successo e leadership”. Se leggendo vi siete chieste “Stella chi?”, sappiate che la Creasy è una giovane parlamentare laburista il cui maggior merito è stato di rispondere per le rime agli insulti maschilisti che riceve via twitter. Non pensiate che sedere in parlamento sia l’unica forma di rappresentanza politica: partecipate invece alle campagne globali di Occupy o di Lose the Lad’s Mags, un’associazione il cui unico scopo è far sparire dalle edicole i giornali con le donne nude.

Concentratevi su un aspetto per volta, come Caroline Criado-Perez, la femminista il cui maggior merito è stato di patrocinare l’inserimento di Jane Austen al posto di Darwin sulle banconote da 10 sterline, di ricevere per questo degli insulti maschilisti su twitter e poi di aspettare che Stella Creasy rispondesse per le rime. Oppure fate come Jack Monroe, che ha aperto un blog su come cucinare con pochi soldi (ma non su come dev’essere dura la vita per una donna che si chiama Jack), oppure come Shelby Knox, che ha passato l’adolescenza a far aggiornare i programmi di educazione sessuale nelle scuole del Texas. Non siate timide quando si parla di parlare in pubblico, anche se ciò non significa che dovete presentarvi in topless come le Femen; tutt’al più, scrive il Guardian, “usate camicie scure, che camuffano le macchie di sudore da stress”. Considerate però che “non dovete nemmeno uscire di casa”, perché basta caricare la foto giusta su facebook o azzeccare l’hashtag per suonare il piffero della rivoluzione, e che “non siete mai troppo giovani” per iniziare a fare politica attiva. In questo l’Italia è all’avanguardia, anche se il tredicenne che pronunciava pubbliche contumelie contro Berlusconi al Palasharp era irrimediabilmente maschio.

Agite in gruppo, sia perché “qualsiasi donna che parli esplicitamente rischia una marea di minacce di stupro e di morte, o la pubblica derisione”, sia perché ciò “vi metterà in contatto con persone vivaci e idealistiche che vogliono cambiare il mondo”. Infine, visto che la politica è “dominata dai maschi”, sappiate che “tu puoi cambiare i termini del dibattito per sempre”. L’ultima parola è, manco a dirlo, un hashtag: #jobstillnotdone, che tradurrei con #cèancoradellavorodafare. Se questi sono i principii delle donne che entreranno in politica per cambiare il mondo, meglio tenerci gli uomini, meglio tenerci il mondo com’è.

[Disponibile anche sul sito di Tempi.]

giovedì 6 marzo 2014

Nella lista Tsipras non ci sarebbe stato posto per Lucio Mastronardi, cinquant'anni fa. Ho riletto Il maestro di Vigevano e ho notato il dettaglio che il protagonista al juke box sceglie Vecchio frac, canzone su uno che si butta nel fiume esattamente come avrebbe fatto Mastronardi, nel 1979, al Ticino. Ho riletto Il meridionale di Vigevano e ho notato il dettaglio dell'ostessa che parla ai clienti "con rancore", sentimento tipico assoluto dei commercianti pavesi - non tutti, per fortuna, ma ci ho messo qualche anno a individuare quelli giusti. Ho riletto Il calzolaio di Vigevano e ho scoperto che era dei tre il romanzo preferito da Italo Calvino, nome che sarebbe stato perfetto per la lista Tsipras se solo non fosse morto. Calvino spiegava che la tenuta del Calzolaio dipendeva dalla logica del "dané fanno dané", una logica universale che a suo dire serviva a sceverare la Vigevano reale dalla Vigevano romanzesca rendendo quest'ultima non più singola città concreta della provincia lombarda ma "immagine dell'Italia, di trent'anni di storia della società italiana". Mah. Alberto Asor Rosa, un nome che sarebbe perfetto per la lista Tsipras ed è pure ancora vivo, la pensava uguale e riteneva che Mastronardi, intitolando ossessivamente i propri romanzi a Vigevano, nei propri romanzi non intendesse rappresentare Vigevano bensì "la società capitalistica". Doppio mah: non credo proprio che Mastronardi avesse preso in considerazione e poi scartato i titoli Il maestro della società capitalistica, Il calzolaio della società capitalistica e Il meridionale della società capitalistica. Io resto dell'idea che, parlando sempre e solo di Vigevano, Mastronardi intendesse vedere e rappresentare Vigevano, la singola città concreta in cui era sempre vissuto e che dopo averlo fatto suicidare avrebbe patteggiato dedicandogli un convegno. Altrimenti sarebbe stato un nome perfetto per l'espressione di generiche intenzioni fumose e avrebbe trovato posto nella Lista Tsipras anziché buttarsi nel Ticino.

martedì 4 marzo 2014

Domenica ero a Messa al Duomo di Ferrara. L'attenzione dei mormoratori era stata catalizzata dalla lunga lettera che il vescovo Luigi Negri aveva rivolto ai suoi diocesani da lì fino a Comacchio ammonendoli di non lasciarsi abbindolare dalle interpretazioni parziali del pensiero del Papa, perché sono tendenziose e perché (aggiungo io) i sottili distinguo sono la benzina dell'Anticristo. Mica per niente Dante fa dire a un diavolo, in pieno girone dei consiglieri fraudolenti, "Tu non credevi ch'io loico fossi"; a Ferrara però si leggerà poco Dante in quanto attorno a me era pieno di fedeli che sbuffavano e qualcuno se n'era perfino andato a metà lettera, senza aspettare la benedizione che evidentemente era meno importante della protesta o dell'aperitivo.

Io non sbuffavo invece, sia perché mi capitava di essere d'accordo sia perché pensavo ad altro. Stavo guardando il maestoso giudizio universale affrescato nel catino absidale: durante la Messa era illuminato completamente mentre il giorno prima avevo notato che, per risparmiare, a chiesa deserta la luce era concentrata tutta sul Cristo al centro. Per allargarla bisognava infilare l'obolo nell'apposito macchinario. Ora, questo sembrava in contraddizione con quanto il prete aveva appena letto nel Vangelo domenicale: "Non potete servire a Dio e a Mammona". In stretta linea teorica, se dunque avessi voluto servire Dio e non Mammona, anziché infilare l'obolo avrei dovuto sfasciare il macchinario inneggiando al pauperismo protocristiano. Dopo di che però avrei avuto molto da fare per completare il vasto programma poiché a Ferrara il Duomo è calato nella postmodernità: sul fianco destro gli cresce un porticato nel quale alberga negozi turbocapitalisti, di fatto attaccati al corpo della chiesa; e, per quanto mi sia sforzato di non vederci bene, pare proprio che al primo piano del palazzo che per il resto è sede della Curia ci sia una boutique di abbigliamento lussuoso. Mi avrebbero arrestato prima della fine.

Ho fatto bene a non andarmene e ad aspettare la benedizione, per quanto lunga fosse la lettera, perché col segno della croce è scesa su di me una comprensione più profonda. Il fatto che la figura centrale di Gesù fosse sempre illuminata ma che bisognasse pagare di tasca propria per non lasciarla isolata e mettere in luce tutto il resto significava un'ammonizione precisa: Cristo è sempre gratis per tutti ma ricordatevi che l'apparato per sorreggerlo costa, tirchioni, non lasciate che prevalgano le tenebre.

lunedì 3 marzo 2014

Tutte le reazioni all'Oscar de La grande bellezza sono sbagliate. Sbagliano i detrattori snob che hanno iniziato a parlar male del film solo dopo che è stato premiato. Sbagliano i detrattori benaltristi i quali ritengono che lo spirito del cinema italiano contemporaneo sarebbe stato rappresentato meglio da ben altri film, magari di nicchia, magari addirittura di Emma Dante. Sbagliano i patrioti disfattisti irritati dal fatto che Paolo Sorrentino esporti un'immagine negativa dell'Italia come Saviano e i suoi gomorroidi. Sbaglia chiunque non riconosca che il film è noiosetto e Sorrentino sa fare di meglio ma anche che l'operazione Oscar è stata condotta in maniera  magistrale, a tavolino.

Anzitutto si è scelto un titolo-marchio che unisce due parole italiane di vasta risonanza simbolica ma facilmente comprensibili agli anglofoni. Inoltre è stato (spero) consapevolmente deciso di non rendere troppo sfaccettati e verosimili i personaggi che fanno corona a Jep Gambardella così da venire incontro alle limitate capacità intellettive d'oltreoceano, dove non è che abbiano tutto questo tempo o voglia di correr dietro alle sottili mattane della nostra classe intellettuale. Giuseppe Tornatore aveva vinto l'Oscar con Nuovo cinema paradiso tagliando cinquanta minuti della versione italiana per renderla internazionale; Sorrentino l'ha vinto tagliando l'iceberg e mostrando solo la punta, lasciando che il resto sembrasse sottinteso anche se non c'era: in entrambi i casi, in un modo o nell'altro, il film è andato in onda in versione ridotta per venire incontro alla giuria dell'Academy. Infine, con grande sagacia, è stato dato agli americani e più in generale agli stranieri ciò che all'estero si aspettano di sentirsi dire sull'Italia; impacchettato però in una confezione grondante intellettualismo, addomesticato a sua volta in modo tale da convincerli di essere davvero stati spettatori partecipi di un alto esercizio cerebrale. Mutuando i termini di Umberto Eco, la bravura di Sorrentino è stata di risultare integrato fingendosi apocalittico.

Sbagliano gli adulatori snob che esultano perché finalmente è stata premiata l'Italia che vale: non si accorgono che una nazione è una nazione, si prende tutta intera come viene nel bene o nel male e non al self service. Sbagliano gli adulatori benaltristi che si complimentano con regista e cast specificando tuttavia che "in queste ore dobbiamo pensare ad altro e lo stiamo facendo" (scusa, Matteo, lo sai che ti voglio bene lo stesso). Sbagliano soprattutto i patrioti della ventitreesima ora che scoprono l'improvviso orgoglio di essere italiani perché uno di noi ha finalmente combinato qualcosa, anche se loro no. Mi ricordano quelli che nel '69 dicevano sussiegosi "Ora che siamo andati sulla Luna...", ciò che secondo Gianni Brera era esattamente come dire: "Ora che abbiamo composto la sesta sinfonia, detta Pastorale...". La loro esultanza mattutina sui social network mi ha fatto sentire, per la prima volta in vita mia, fiero di essere vissuto in Inghilterra; mi ha anche fatto capire che certi giorni gli Italiani sono così provinciali da essere disposti a credere a tutto. Perfino che, se solo la Bonino fosse rimasta ministro degli Esteri, Putin non si sarebbe mai azzardato.