mercoledì 28 gennaio 2015

Fra i mille motivi per cui devo essere grato a Giuliano Ferrara tralascio quelli che sa il mio cuore e mi limito all'unico che può tornare utile alla mia generazione perversa e degenere, di pigri saccentoni, lamentosi egotisti, trentaquarantenni puberali, superbi - quorum ego - bipolari. Un mattino di cinque anni fa, vivevo a Oxford da un bel pezzo e contribuivo al Foglio da qualche mese, il Direttore mi chiama e mi richiede un lavoro diverso: anziché il solito pezzo breve di commento o di colore in salsa accademica, perché non faccio una bella inchiesta sulla presenza di Dio nella politica britannica? Mi dà cinque giorni di tempo e io giù a telefonare a redazioni, scrivere a partiti, intervistare teologi laburisti, sempre col rovello che non sarei riuscito a combinare niente perché l'inchiesta ricadeva di là dalla mia portata o giurisdizione. Credo di avere anche contattato l'arcivescovo di Canterbury dal quale attendo fiducioso risposta. Infine il pezzo esce, come se l'avesse scritto qualcun altro prendendo possesso delle mie dita, così io capisco che questo è il guaio della mia generazione: abbiamo studiato troppo sempre le stesse cose, abbiamo pensato ancor più e fatto gran poco, ma soprattutto ci siamo convinti di essere i massimi esperti di noi stessi, i soli conoscitori in grado di sapere tutto della nostra identità, delle ambizioni, dei desideri, limiti e diritti. Invece quanto è meglio venire scrutati, capiti al primo colpo e scoperti in anfratti che non si credevano propri, in elementi che non si sapeva di avere. Anche di questo ringrazio Ferrara, e per novecentonovantanove altre cose. Per fortuna Claudio Cerasa ha quasi la mia età ma è ben discosto dall'andazzo dei coetanei; arraffo una bottiglia e brindo alla gloria di entrambi.

lunedì 26 gennaio 2015

Il pezzo sul dibattito intorno al presunto antisemitismo degli illuministi, che è iniziato a fine Ottocento ed è stato sopito solo un secolo dopo, e che qualcosa avrà pure a che fare con l'antisemitismo strisciante e culturalmente accettato della Francia di oggi, adesso si trova anche sul sito del Foglio.

giovedì 22 gennaio 2015

Qual è il valore aggiunto delle donne nell'Italia di oggi? Si può fermare il femminicidio grazie al meticciato? Laura Boldrini sarà un buon presidente della repubblica? Come si calcola il fuorigioco passivo? Che cos'è il quantitative easing? Meglio Grace Kelly o Maradona?

Ecco alcune delle domande a cui Simonetta Sciandivasci e io non risponderemo presentando il romanzo La Domenica Lasciami Sola (Baldini e Castoldi) alla Libreria Il Delfino di Pavia, oggi giovedì 22 gennaio alle 18. Vale la pena.
Se gli ebrei francesi lasciano Parigi per trasferirsi a vivere in Israele, vuol dire che la Francia sta venendo percorsa da una tentazione antisemita neanche tanto sotterranea. Ma come, dice uno, proprio nella terra dei Lumi? Proprio lì, esatto, perché il dibattito storiografico sull'ostilità degli illuministi nei confronti degli ebrei è iniziato ai tempi di Theodor Herzl, è esploso con la Seconda Guerra Mondiale e non è finito ancora oggi. Sul Foglio in edicola spiego perché e percome.

lunedì 19 gennaio 2015

Se volete un antidoto contro la predica intitolata "Il pugno di Francesco e la lezione di Voltaire" scritta da Eugenio Scalfari e uscita ieri su Repubblica, oppure contro il pessimo bigino del Trattato sulla tolleranza uscito oggi su Repubblica a firma di Michela Marzano, potete leggere sul sito del Foglio il pezzo in cui spiego carte alla mano perché gli illuministi oggi non sarebbero affatto tolleranti con l'Islam.

mercoledì 14 gennaio 2015

Lo ripeto adesso che è vacante anche se si tratta di un'idea che mi era balzata in mente mesi e mesi fa, credo in aprile, mentre a Roma mi affacciavo accorgendomi che dalla sommità di un colle si vedeva distintamente una cupola e quindi, presumo, viceversa. Se uno considera la sorpresa collettiva, l'iniziale incomprensione, il successivo smarrimento e la diffusa sensazione di trovarsi di fronte a un evento storico talmente enorme da non avere quasi precedenti e da poter restare forse irripetibile, ecco, se fatto trenta si fosse deciso di fare trentuno sarebbe bastato che Ratzinger, annunziando la rinunzia al soglio pontificio, si fosse detto disponibile a trascorrere il resto dei suoi giorni in serenità spirituale e monastico isolamento nelle stanze pontificie, da tempo in disuso, del palazzo del Quirinale.

martedì 13 gennaio 2015

Va bene, i manifestanti di Parigi ci hanno tenuto a sfilare sul boulevard Voltaire e perfino i telegiornali italiani si sono dilungati in citazioni del tipo "Non sono d'accordo con ciò che dici ma darò la vita affinché tu possa dirlo". Citazioni apocrife, manco a dirlo, e fasulle, in quanto tipiche dell'illuminismo immaginario di cui si parla abitualmente per sentito dire. Gli illuministi veri invece si sarebbero regolati in modo parecchio più drastico; spiego perché e percome sul Foglio in edicola oggi.

domenica 11 gennaio 2015

Super-Houellebecq, parte quarta. Cinque anni fa, in esilio a Oxford, leggevo il fantaromanzo La carta e il territorio e mi domandavo: ma quand'è ambientato? Così notavo che Houellebecq non dava una data esplicita ma forniva indizi più che esatti, e iniziavo un ragionamento che va ben oltre il 2022 in cui è ambientato Sottomissione. Eccolo qui.

---

Quesito per solutori più che abili: in che anno si colloca la voce narrante dell’ultimo romanzo di Houellebecq? Inutile mettersi a sfogliarlo parossisticamente alla ricerca di un numeretto: l’indizio si trova a pagia 346, quando viene menzionata la morte di Frédéric Beigbeder, “avvenuta all’età di settantun anni”. Poiché Beigbeder esiste veramente, in quanto autore de Un roman français e di 99 francs, e poiché Beigbeder è nato nel 1965, si deduce che l’anonima voce narrante si pregia di parlarci dal 2036. Si tratta di una voce anonima che sicuramente non coincide con quella dell’autore, in quanto Houellebecq – è stato ripetuto fino alla nausea su tutti i giornali, quindi guai a chi non lo sa – compare nel romanzo in qualità di personaggio secondario, alter ego del protagonista Jed Martin. Se dalle pagine emerge chiaramente la predilezione di Martin per Houellebecq, che come lui è solitario, beone e ex donnaiolo e ciclotimico, è più difficoltoso ma non peregrino stabilire la corrispondenza inversa secondo la quale Martin è una riproduzione su piano differente di Houellebecq ai suoi esordi. Gli indizi ci sono, sparsi qua e là: Martin è più giovane di Houellebecq e come lui viene travolto da una fama improvvisa e universale che non sembra in grado di gestire. Soprattutto, le opere con le quali l’artista figurativo Martin guadagna fama sono, nell’ordine, una serie di fotografie dettagliate di oggetti inerti, la riproduzione di carte topografiche riprese da angolazioni tali da conferirvi profondità e una serie di ritratti pittorici di uomini famosi e no intenti ad attendere alla propria professione. Chi ha letto Houellebecq dagli esordi potrebbe senza difficoltà riconoscere nelle opere di Martin i suoi primi tre romanzi: la prosa tagliente e i personaggi inermi de L’estensione del dominio della lotta (1994); la percezione allucinata della globalizzazione che travolge la sfera privata in Piattaforma (2001) e la cristallizzazione delle ossessioni degli uomini in base alla loro professionalità che caratterizza la dicotomia fra i fratellastri Michel Djerzinski e Buno Clément ne Le particelle elementari (1998). Sono tutti tradotti da Bompiani, quindi se non li avete letti potete agevolmente documentarvi. Si potrebbe contestare quest’allegoria argomentando che la seconda e la terza opera sono disposte in ordine cronologico inverso, ma personalmente ritengo che sia fatto a bella posta e in piena coerenza con la leggera sfasatura fra vero e falso che si presenta nel romanzo: il lettore sa che Jed Martin non esiste ma che tutto ciò che lo circonda (Houellebecq e Beigbeder, i celebri soggetti del suo ciclo di quadri sui mestieri, le carte Michelin, le compagnie idrauliche che omettono di riparargli la caldaia) esiste e come. Addirittura, per narrare di sé in terza persona in maniera più asettica, Houellebecq inizia a definirsi come “l’autore de Le particelle elementari”, “l’autore del Senso della lotta”, e così via fino a citare l’unico seminario di scrittura creativa tenuto da Houellebecq, all’università di Louvain-la-Neuve (un’università cattolica che esiste veramente) nel 2011. Il 2011, per chi non se ne fosse accorto, è l’anno venturo. Ponendosi come narratore da un lontanissimo futuro, oltre a poter citare seminari di creative writing che forse non terrà, Houellebecq acquisisce la prospettiva vertiginosa che gli consente di risultare credibile come personaggio e scrivere un romanzo estremo in forma tradizionale. Se Houellebecq non avesse vinto il premio Goncourt neanche stavolta ci sarebbe stato da scendere in strada e fare la rivoluzione, altro che per la riforma delle pensioni. L’unico rimpianto è che, coerentemente con la sua scelta di understatement, non abbia giocato di più con la prospettiva temporale indicandosi anche quale autore di romanzi che non ha ancora scritto. In compenso ha descritto la propria morte con particolare realismo, non immemore della morte di Moni Vibescu ne Le undicimila verghe di Apollinaire. Lui e il suo amico Beigbeder possono essere contenti: morire in un romanzo allunga la vita anche oltre il 2036.

sabato 10 gennaio 2015

Il solo fatto di esser nati uomini gli pare precludere ogni possibile felicità, con l’aggravante che se ne avverte in ogni cuore il desiderio inesausto (ma Houellebecq, viene il dubbio, ha letto Leopardi? e se lo ricorda?). Figuriamoci il sesso, al quale l’uomo dedica tanta energia e Houellebecq tanta attenzione sin dai suoi esordi, nei minimi dettagli: al proposito è indicativo il personaggio di Isabelle, amante del protagonista, che accetta di accoppiarsi solo da tergo come gli animali e, quando decide che s’è innamorata e può scopare di faccia, da donna a uomo, si rende conto che è l’inizio della fine.

Super-Houellebecq, parte terza. Sempre nove anni fa, e sempre su una rivistella che non esiste più, mi accorgevo all'improvviso che era tardi per andare a messa e allora mi mettevo a scrivere un lungo comizio sui rapporti dell'Houellebecq de La possibilità di un'isola con il libro di Daniele, i manifesti elettorali dell'Ulivo, Woody Allen, Mirabeau e la partecipazione straordinaria di Jenna Jameson. Trovate il testo completo cliccando qui.

venerdì 9 gennaio 2015

Ho preso in mano Lanzarote e mi sono reso conto di più cose in un sol colpo. La prima è che Houellebecq aveva remore sui mussulmani prima dell’11 settembre, ma che la traduzione posticipata ha creato uno ysteron proteron (per quelli che frequentano l’università riformata da Berlinguer: ha invertito l’ordine fra il prima e il dopo). La seconda è che ho fatto bene a prendere Lanzarote in biblioteca, perché altrimenti avrei sprecato soldi abbastanza da poter permettermi una bottiglia e mezzo di Merlot all’enoteca in via Gallucci. La terza è che il nucleo della trama de La Possibilità di un’Isola è già presente in Lanzarote, sebbene con un numero radicalmente inferiore di pompini. La terza e mezzo è che non andrò mai in vacanza nelle Canarie, piuttosto in Gargano o addirittura in Salento. La quarta è che il già esiguo numero di pagine veniva reso addirittura ridicolo dalla peculiare divisione del libro in due metà: sessantacinque pagine numerate di testo, altrettante all’incirca di foto della landa desolata.

Super-Houellebecq, parte seconda. Un mattino di nove anni fa mi svegliavo con una certa fatica e scrivevo tutta un'omelia sui rapporti fra l'Houellebecq di Lanzarote e Wagner, i cactus, Umberto Eco che canta e una foto di Leonardo Sciascia, per tacere di Heidegger. Trovate il testo completo cliccando qui.

giovedì 8 gennaio 2015

Personalmente trovo impressionanti le rispondenze fra Sade e Houellebecq, al quale auguro comunque di fare miglior fine. Le pagine di Justine e quelle de Le Particelle Elementari costituiscono un’antologia di esperimenti sul vizio scientifico, sul sistematico tentativo di migliorare la vita umana (quanto meno la propria, a discapito altrui) e sul corrispondente inevitabile frustrante fallimento. Le digressioni metafisiche de La Filosofia nel Boudoir (tutte copiate da d’Holbach, ma non importa) servono a riposarsi dopo gli sforzi e il più delle volte sono scintilla d’eccitazione e preludio a migliori acrobazie; la teoria disperata di Piattaforma, il vano tentativo di costruire un paradiso terrestre su una terra infernale, il continuo cozzare contro la deficienza propria ed altrui, tanto fisica quanto intellettuale, sono un vero e proprio manifesto antiumano (che giustifica in parte l’espressione contrita con la quale Houellebecq accetta il ruolo di romanziere di grido).

Super-Houellebecq, parte prima. Nove anni fa, in un pomeriggio di malumore, scrivevo per una rivistella che non esiste più una lunga disamina dei rapporti dell'Houellebecq de Le particelle elementari con le mucche, la televisione, l'erotismo francese e le varie cose che si possono fare con una mano e una coscia. Trovate il testo completo cliccando qui.