Fra i mille motivi per cui devo essere grato a Giuliano Ferrara tralascio quelli che sa il mio cuore e mi limito all'unico che può tornare utile alla mia generazione perversa e degenere, di pigri saccentoni, lamentosi egotisti, trentaquarantenni puberali, superbi - quorum ego - bipolari. Un mattino di cinque anni fa, vivevo a Oxford da un bel pezzo e contribuivo al Foglio da qualche mese, il Direttore mi chiama e mi richiede un lavoro diverso: anziché il solito pezzo breve di commento o di colore in salsa accademica, perché non faccio una bella inchiesta sulla presenza di Dio nella politica britannica? Mi dà cinque giorni di tempo e io giù a telefonare a redazioni, scrivere a partiti, intervistare teologi laburisti, sempre col rovello che non sarei riuscito a combinare niente perché l'inchiesta ricadeva di là dalla mia portata o giurisdizione. Credo di avere anche contattato l'arcivescovo di Canterbury dal quale attendo fiducioso risposta. Infine il pezzo esce, come se l'avesse scritto qualcun altro prendendo possesso delle mie dita, così io capisco che questo è il guaio della mia generazione: abbiamo studiato troppo sempre le stesse cose, abbiamo pensato ancor più e fatto gran poco, ma soprattutto ci siamo convinti di essere i massimi esperti di noi stessi, i soli conoscitori in grado di sapere tutto della nostra identità, delle ambizioni, dei desideri, limiti e diritti. Invece quanto è meglio venire scrutati, capiti al primo colpo e scoperti in anfratti che non si credevano propri, in elementi che non si sapeva di avere. Anche di questo ringrazio Ferrara, e per novecentonovantanove altre cose. Per fortuna Claudio Cerasa ha quasi la mia età ma è ben discosto dall'andazzo dei coetanei; arraffo una bottiglia e brindo alla gloria di entrambi.